3 luglio 2022: QUARTA DOPO PENTECOSTE
Gen 4,1-16; Eb 11,1-6; Mt 5,21-24
Vorrei soffermarmi sul primo brano della Messa, anche qui senza la pretesa di voler esaurire l’esegesi o l’interpretazione della pagina della Genesi, dove si racconta uno dei più noti e sfruttati episodi della Bibbia: l’uccisione da parte di Caino del fratello Abele, figli, secondo il racconto biblico, di Adamo e di Eva.
Solitamente l’episodio, che ha letterariamente una sua indubbia tragicità, è stato letto unicamente come un fratricidio, e raramente si è cercato di approfondirlo al di là di ciò che il mito racconta in senso carnale.
In altre parole, secondo l’opinione comune il racconto mitico riguarderebbe un fatto di sangue, che avrebbe ferito l’umanità, anche se, ai suoi primordi, vista come quella casa comune che già il peccato originale aveva messo in crisi.
Non dimentichiamo che il peccato di per sé è una divisione, una frantumazione del disegno originario di Dio, visto nella sua unitarietà. Pensiamo alla parola “universo”, con cui intendiamo tutto il creato: universo è composto di due parole: “uni” e “verso”, ovvero “verso l’uno”.
Dunque, secondo l’opinione comune si tratterebbe di un fratricidio, e come tale l’episodio non poteva non scuotere nel tempo, fino ad oggi, la nostra coscienza di esseri umani, alla ricerca della loro unitarietà originaria.
Ho parlato di mito, a indicare un fatto risalente agli inizi dell’umanità; forse, invece che di un mito, si dovrebbe parlare di un fatto di sangue, che è successo (chissà quante volte!) lungo i secoli o i millenni dall’inizio della storia, ma preso come paradigma della divisione della stessa umanità.
Detto questo, qualche esegeta, giustamente secondo me, vede nel fratricidio un contrasto tra il mondo, quello pastorizio, rappresentato da Abele, e il mondo agricolo, rappresentato da Caino.
Ma è Abele a rappresentare la bontà della sua scelta di vita. Dunque, l’autore sacro intendeva sottolineare la bontà del mondo pastorizio, forse ricordando la maledizione divina riguardante il suolo della terra: “Maledetto il suolo per causa tua”, così il Signore aveva detto ad Adamo.
Ma c’è di più. Bisogna scendere e scendere, quando si legge la Parola di Dio. E non basta neppure limitarsi al mito, che è già qualcosa di più di un racconto carnale.
In realtà, il contrasto, più che tra il mondo pastorizio e il mondo agricolo, sarebbe tra la vita nomade, rappresentata dal mondo pastorizio, e la vita sedentaria, rappresentata dal mondo agricolo.
In altre parole, l’autore sacro avrebbe voluto mettere in evidenza i pericoli insiti in quel mondo che si stava strutturando, che oggi chiameremmo vita sedentaria, legata a una casa, legata a un territorio ben preciso.
Non dimentichiamo ciò che l’autore sacro ha scritto di Caino, dopo il fratricidio: “Ora Caino conobbe sua moglie, che concepì e partorì Enoc; poi divenne costruttore di una città, che chiamò Enoc, dal nome del figlio”.
Che significa allora vita nomade e vita sedentaria, o, meglio, quali sono i loro rischi?
In breve, la vita sedentaria lega l’individuo a un determinato territorio, dove egli risiede; la vita nomade invece è aperta a qualsiasi territorio: il nomade non ha casa, perciò non si lega ad alcun posto.
Vita sedentaria è di chi è seduto, vita nomade è di chi cammina.
Pensate al mondo d’oggi, e forse possiamo farci una certa idea di ciò che nei secoli o millenni è successo, quando l’uomo ha preferito stabilire la sua dimora in un determinato paese, a differenza della vita di un nomade senza fissa dimora.
Qui possiamo allargare il discorso sulla città, intesa nell’antichità come luogo privilegiato di civiltà, come polis, centro di democrazia, di bene comune, di cultura, senza dimenticare che il Cristianesimo, prima si diffondeva nelle città, e poi dalle città si diffondeva nei villaggi, o “pagi” plurale di “pagus” in latino, da qui il nome “pagano” (non ancora cristianizzati).
E oggi? Le città che cosa sono diventate? Come residenza di uffici e di centri commerciali, che hanno svuotato quel senso di umanesimo, disperso nelle periferie e nelle campagne.
Ma non è questo l’intento di questa omelia, che dovrebbe sempre far riflettere su qualche “perché” tutto sia crollato in un vuoto d’essere.
Tutti vediamo, tranne chi è cieco e ottuso, quanto oggi sia tutto confuso, in una commistura o confusa mescolanza di vita sedentaria per modo di dire e di nomadismo alla cieca: si va altrove, anche all’estero, lontano dal proprio centro, che è quel sé interiore, che non è né sedentario né nomade, o, meglio, è quel profondo d’essere, che da una parte è fuga da un egoismo dissipatore di quella naturale tensione all’Uno divino, e che dall’altra parte è ricerca di quella libertà di spirito, come cammino senza fissa dimora.
Se le cose vorrebbero imprigionare lo spirito in un determinato spazio, che perciò costringe lo spirito a restare come fermo, bloccato in strutture invalidanti, lo spirito esige spazio di libertà nella libertà assoluta, ovvero senza condizionamenti dello Spirito divino.
È nel campo dello spirito che si può parlare di necessario nomadismo e di relativa sedentarietà: lo spirito è nomade in assoluto, e se parliamo di sedentarietà è solo in riferimento a quella pace interiore che è immobilità contemplativa, così come la intendevano i migliori Quietisti del ‘600, condannati da una Chiesa istituzionale, tanto nomade alla ricerca di proseliti per farne poi un possesso, quanto sedentaria come dimora istituzionale o dogmatica.
Come dimenticare le parole di Cristo, sempre di quel capitolo 23 del Vangelo secondo Matteo, da leggere e rileggere: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito, e, quando lo è divenuto, lo rendete degno della Geenna (letteralmente “figlio della Geenna”, ovvero “destinato alla perdizione”) due volte più di voi”.
Gli spiriti liberi sono i veri nomadi alla ricerca della contemplazione più pura del Mistero divino.
Gli adepti delle religioni istituzionali sono sedentari cadaverici.
Chiediamoci allora chi sono i caini che uccidono gli spiriti liberi e nomadi, sempre alla ricerca di spazi liberi, quelli del mondo divino?
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