PARCO DEL CURONE: quando la bruttezza prevale sulla bellezza…
di don Giorgio De Capitani
Premetto che questo articolo è uno sfogo di parole e di emozioni, che escono dalla mente un po’ alla rinfusa, ma che partono da una identica passione: quella per la bellezza, riflesso divino nel creato.
Nessuno ha la pretesa che i grossi agglomerati urbani e le loro periferie siano dei paradisi terrestri, o che vi si possa respirare aria sempre pura, o che le strade siano viali alberati o che le rotonde siano giardini sempre in fiore. Può succedere anche questo, ma all’estero. Qui in Italia sarebbe un’eccezione. Ho vissuto a Sesto San Giovanni, negli anni ’80, e ne so qualcosa. Al mattino trovavo l’auto ricoperta di un denso smog. L’aria era irrespirabile. Sognavo di poter fare qualche uscita in aperta campagna o di tornare per qualche ora nella mia Brianza. Ma il senso del dovere non me lo permetteva, se non in casi eccezionali.
Tornato nel mio paese collinare, in Brianza, ho iniziato a respirare finalmente aria buona e ad ammirare le bellezze naturali. Ma inizialmente è durato poco, per continui spostamenti, dovuti ai miei impegni pastorali.
Arrivato a Monte, alla fine del 1996, subito rimasi colpito dalla bellezza tipica del piccolo paese, quasi fuori del mondo, su una collina immersa nel verde e nel silenzio. Ma non riuscii mai ad assaporare in pieno questo dono, coinvolto com’ero nei miei impegni ministeriali, tanto più che polemiche varie, socio-politiche ed ecclesiastiche, non mi permettevano di vivere in tranquillità, come un buon parroco a un certa età potrebbe desiderare. Abitavo nel Parco, e non mi veniva neanche la voglia di fare qualche eccezione al mio dovere, facendo ogni tanto qualche visitina. Conobbi la collinetta dei Cipressi, per doveri pastorali (Messa fine maggio e Via Crucis serale del Venerdì santo), così pure conobbi Galbusera Bianca, per le benedizioni natalizie. Per il resto, il Parco era uno sconosciuto. Stavo per dire: un tabù.
Rimosso nel 2013 da Monte, scelsi di abitare a Cereda in una casa privata, anche con il proposito di fare da sentinella per il Parco. Iniziai per prima cosa a conoscerlo, visitandolo con una frequenza sempre più giornaliera. E così conobbi sentieri nuovi, tra boschi e vigneti. Conobbi finalmente Galbusera Nera, Costa, Scarpada, Ratta, ecc., ricordi di quando ero piccolo, ora del tutto trasformate. Scoprii bellezze naturali, come i torrenti, specialmente le cascatelle del Valon, e ultimamente la ciclopedonale che fiancheggia il torrente Molgoretta.
Ogni giorno, un angolo di paradiso nuovo. Nuovo, per modo di dire. Mi riaffioravano sempre ricordi di quando ero piccolo. Ma questi ricordi sembravano proprio vecchi, in quanto sepolti sotto una veste che, col tempo, aveva tolto la bellezza naturale e originaria. Iniziai allora a esigere sempre di più: che riaffiorasse l’antica bellezza. Il mio occhio divenne sempre più critico: aprii entrambi gli occhi, quello critico e quello sognante.
Ma perché parlo al passato, come se oggi tutto fosse finito? Parlo perciò al presente. Oggi che cosa vedo, quando esco finalmente di casa e cammino lungo i sentieri del Parco, mi addentro nei boschi, o percorro strade asfaltate, senza pedonali? Vedo sporcizia ovunque, rovi che attraversano sentieri, piante morte e mezze morte, alberi distesi per terra, alberi con l’edera avvinghiata attorno, pali della luce tra i rami, rami che scendono sulle strade asfaltate, sentieri sconnessi da grossi trattori, strade piene di buche. Continuo? Quando piove, è sempre emergenza; quando tira vento, è sempre emergenza: le strade si allagano, le piante cadono, i sentieri portano giù di tutto sulle strade asfaltate. E così gli stradini, o operatori ecologici, spendono parecchio del loro prezioso tempo a pulirle, senza neppure che qualche amministratore previdente studi il modo di risolvere i problemi all’origine. Piove? I soliti problemi. Tira vento? I solidi problemi. La colpa è sempre della pioggia o del vento.
Mi chiedo dove siano le rogge o gli scoli dell’acqua: coperti e deviati dalla dissennatezza dei signorotti o di contadini che oggi si credono in potere di fare ciò che vogliono. Mi chiedo dove siano i sentieri che percorrevo da bambino: coperti o fuori uso. Mi chiedo perché i boschi siano sterpaglie inospitali. Mi chiedo perché non si possa camminare per i sentieri del Parco, senza essere disturbati da ciclisti screanzati. Mi chiedo perché il Parco sia diventato un luogo per gare podistiche.
Dov’è, dunque, la bellezza tanto conclamata dal Parco? Dov’è la fauna o la flora, così reclamizzate? Certo, il Parco è bello dall’alto. Andate sulla collinetta Belvedere (sopra Cereda) e da lì, a 360 gradi, potete ammirare un panorama incantevole. Ma basta scendere un po’, su un sentiero, e l’incanto finisce.
Sento in continuazione dire che la colpa in gran parte è dei proprietari privati. Una bella scusa? Ma questi proprietari privati sono liberi di fare ciò che vogliono, ovvero di non fare ciò che dovrebbero fare? Potrei sapere perché alcuni proprietari privati sono diventati tanto potenti da aggiungere terre a terre, senza un limite? Mi si dirà che questi boss locali sono più gestibili, e che invece sono i piccoli proprietari ad essere i più indisciplinati. Ma almeno per ciò che è di proprietà del Parco, c’è più cura?
Abitando all’interno del Parco, pensavo che potessi gustare un po’ di pace, e invece? Pensavo che la gente fosse più civile, e invece? Pensavo che si imparasse ad ammirare di più la natura, e invece? Pensavo che i paesi, all’interno o nei pressi del Parco, fossero più belli e curati, e invece?
Anni fa, come scrissi sopra, abitavo in città, e mi sembrava di vivere tra il cemento e le ciminiere, ma i contratti con i cittadini mi davano vita, entusiasmo, voglia di vivere e di fare il prete.
Ora, qui in Brianza, a contatto con la bellezza della natura, mi sembra di vivere tra gente preoccupata solo di riempirsi la pancia, tra ragazzi e giovani spenti e lumaconi. Paesi dove la festa continua, dove la cultura è un lusso per chi non ha nulla da fare, dove il cervello funziona quando si tratta di far girare i soldi o di fare affari.
Un tempo, la Brianza era il luogo di villeggiatura dei “signori”, oggi è il luogo di gente che sta bene, anche per i sacrifici che ha dovuto fare, ma senza rendersi conto di avere una bella fortuna da gestire e da amare.
Un tempo, la terra era amata da poveri cristi che la coltivavano con passione come la loro casa, anche per il futuro dei figli. Oggi la terra è un affare, e come tale viene sfruttata. Anche gli orti botanici e i vigneti sanno di mercato, e nulla più. La bellezza viene privatizzata, chiusa tra siepi protettive. Dov’è finita la gratuità della bellezza?
Tutto, proprio tutto così negativo? No!
Ci sono paesi che si curano, si amano, si proteggono dal cemento selvaggio o dalla maleducazione di cittadini incivili.
Ci sono iniziative, con il nobile intento di salvaguardare la natura dallo scempio dei barbari.
Ci sono amministrazioni, attente al rispetto dell’ambiente, preoccupate di salvaguardare le bellezze, favorendo la riscoperta di angoli caratteristici.
Ma bisogna fare di più. Bisogna osare di più. Bisogna impegnare risorse per l’ambiente. Bisogna partire dai più piccoli, ed educarli ad avere un amore speciale per il proprio ambiente, come se fosse la loro prima casa.
Non occorre fare chissà quali grandi opere: partire dai piccoli gesti, ogni giorno.
Bisogna anche ricordare che l’ambiente rispettato e curato, ovvero un bell’ambiente, a sua volta si fa rispettare.
Mi chiedo il motivo per cui i brianzoli, che vivono in angoli di paradiso, siano ancora così maleducati e rozzi. La prima cultura è la stessa natura: se la natura non eleva lo spirito, che cosa pretendiamo? In questi anni, in cui la gente studia di più, è forse diventata più Umana? Occorre sì studiare, ma non basta, se è vero che sarà la Bellezza a salvare il mondo.
Quale Bellezza? Quella dello Spirito, che è dentro di noi e che dialoga con lo spirito della natura. Oggi sembra che a dialogare tra loro siano solo cose, corpi mortificati o repressi nel loro spirito vitale, o pance che si lamentano che hanno poco da mangiare.
Dal Parco del Curone al Parco dell’Adda: “la bellezza prevale ancora sulla bruttezza?” La mia testimonianza. Ho camminato sulle sponde dell’Adda da Brivio fino a Trezzo. Ho gustato le voci e i silenzi dell’Adda, del bosco e degli animali che vi abitavano. Ho visto fiori e piante. Ho respirato i ricordi dell’infanzia e della gioventù. I bagni d’estate nei canali e nel fiume. Ho incontrato nelle ore mattutine prima dell’alba scoiattoli; ho visto martin pescatori e l’airone cenerino in compagnia di folaghe, cigni, anatre, germani, svassi, ecc. Ho visto la potenza dell’Adda quand’era in piena, dei fulmini che colpivano le centrali dell’Adda e tante altre cose. Ho ammirato le opere leonardesche, il traghetto di Imbersago. Ma ciò che più conta è l’aver ritrovato me stesso. L’anima che avevo smarrita mi faceva esplodere in canto gioiosi. “L’anima racchiude una sinfonia ed è essa stessa una grande sinfonia”. Ildegarda di Bingen, mistica.
Viviamo in un paese straordinario,che si allunga nel mediterraneo in maniera bizzarra e variegata, dando vita a coste sassose o rocce scoscese a strapiombo sul mare, che si alternano a spiagge sabbiose la cui riva degrada dolcemente nell’acqua salmastra fino ad abbracciarla, confondendosi con lei in una sorta di continuità dai colori variopinti, fino a trovare la sua meta nel toccare il cielo all’orizzonte, ma non prima di aver fatto emergere qua e là qualche isolotto o piccoli atolli naturali. E all’interno, il buon Dio ha voluto sbizzarrirsi, elevando colline e alte montagne come cornice a zone pianeggianti e disegnando in maniera armoniosa laghi e corsi d’acqua che ne arricchiscano il paesaggio. Per non parlare della ricca vegetazione che varia secondo le zone e annovera un microcosmo delle specie più diverse e contrastanti. Un angolo di paradiso terrestre che, a giusta ragione, gli antichi chiamavano “il giardino d’Europa” ed era conosciuto come “il bel paese”. Da sempre,oltretutto, meta ambita di coloro che desideravano sentirsi a contatto con le bellezze della natura o anche, più semplicemente o malignamente, aspiravano a entrarne in possesso.
Di tutto questo, purtroppo, nel corso dei millenni, la mano dell’uomo ha fatto scempio, e ormai è quasi impossibile riuscire a trovare distese o squarci pressoché incontaminati , tali da poter rendere una vaga idea di quanto fosse meraviglioso il nostro piccolo angolo di mondo. Il risveglio ambientale degli ultimi decenni ha potuto fare ben poco per cercare di ristabilire un sistema ecosostenibile e salvare quel poco che ancora resiste agli attacchi del “progresso”, della cementificazione e delle insensate politiche territoriali degli organi teoricamente preposti alla loro tutela e salvaguardia. Ognuno ha i suoi ricordi e tiene in modo particolare a qualche posto che li rappresenta e li fa rivivere. Credo perciò di poter condividere con tutti la mia impressione che il degrado abbia quasi subito un’accelerazione da quando ero bambino circa cinquant’anni fa, tanto che a volte faccio fatica a trovare o riconoscere dei luoghi che hanno fatto da cornice alla mia infanzia e al fiorire della mia gioventù.
Caro Don Giorgio veramente un bell’articolo. Penso che l’amore e il rispetto per la natura deve essere imparato in famiglia e a scuola. Purtroppo non funziona sempre.
E’ proprio anche questo un segno dei tempi.
I contadini che una volta curavano un a parte delle campagne non ci sono più.
Oggi prevale spesso mala gestione o, peggio ancora, abuso ad uso e consumo di privati, che fanno quello che vogliono.
A soffrire è in primis la natura, quale vittima ferita dall’incuria, dal disinteresse e dall’interesse dell’uomo spesso solo per il denaro.
Bisognerebbe stabilire maggiore intervento pubblico, anche quale controllo contro abusi e violazioni da parte di privati, e magari prevedere sanzioni più consistenti.