Sinodo, che cosa c’è da sapere

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28 Settembre 2023

Sinodo, che cosa c’è da sapere

Dal significato del termine alle parole-chiave, dalle tappe del cammino in corso al rapporto con il processo diocesano di costituzione delle Assemblee decanali: una mini-guida sull’Assemblea che avvierà i suoi lavori il 4 ottobre
Che cosa si intende con il termine “Sinodo”?
La parola greca synodus è composta da due termini che significano “con” e “strada”: da qui deriva l’accezione “camminare insieme”. Nel gergo comune si utilizza per indicare una forma di convegno o adunanza. Nel linguaggio ecclesiale indica un’assemblea che può essere a livello diocesano, nazionale o universale e che può coinvolgere sacerdoti, religiosi e laici.
E con il termine “cammino sinodale”?
“Cammino sinodale”, nel caso del Sinodo in corso, vuole indicare un percorso che, più che in un evento, si concretizza in uno stile.
Che cosa è il Sinodo dei vescovi?
È un’assemblea in cui i Vescovi sono chiamati a fornire consigli al Papa per aiutarlo nel suo ministero. Fu istituito da Paolo VI per mantenere viva l’esperienza del Concilio Vaticano II.
Quando e come viene convocato?
Può essere convocato su un determinato argomento, oppure per area territoriale. In forma ordinaria viene convocato ogni tre anni, in forma straordinaria in base alle esigenze del momento.
Che cosa è, in particolare, il Sinodo dei vescovi sulla sinodalità?
Il tema è «Per una Chiesa sinodale: Comunione, partecipazione e missione». Convocandolo papa Francesco ha invitato la Chiesa a interrogarsi sulla sinodalità, uno stile e un modo di essere con cui la Chiesa vive la sua missione nel mondo.
Che obiettivo si pone?
«Far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, resuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani»
Quali sono le parole-chiave?
Comunione: insieme, siamo ispirati dall’ascolto della Parola di Dio, attraverso la tradizione vivente della Chiesa e radicati nel sensus fidei che condividiamo
Partecipazione: tutti i fedeli sono qualificati e sono chiamati a servirsi l’un l’altro, attraverso i doni che ciascuno ha ricevuto dallo Spirito santo nel Battesimo
Missione: questo processo sinodale ha lo scopo di permettere alla Chiesa di testimoniare meglio il Vangelo
In quali tappe è articolato?
Il cammino sinodale si è aperto in Vaticano il 9 ottobre 2021 e proseguirà in varie tappe nelle Chiese locali, per poi concludersi nuovamente a Roma nell’ottobre 2024. Ecco il dettaglio:
Ottobre 2021: apertura del Sinodo universale e inizio della fase sinodale diocesana
Aprile 2022: restituzione dei contributi diocesani alle Conferenze episcopali (fase narrativa 1) e sintesi
Settembre 2022: Instrumentum Laboris 1, per la Tappa continentale
Ottobre 2022: inizio della Tappa continentale del Sinodo e del secondo anno della fase narrativa nelle diocesi (I cantieri di Betania)
Febbraio 2023: Assemblea sinodale continentale europea a Praga
Giugno 2023: restituzione dei contributi diocesani alle Conferenze episcopali (fase narrativa 2) e sintesi
Giugno 2023: Instrumentum Laboris 2, per l’Assemblea Sinodale dei Vescovi
4-29 ottobre 2023: Assemblea sinodale dei Vescovi, I sessione
Ottobre 2024: Assemblea sinodale dei Vescovi, II sessione
Chi partecipa alla assemblea a Roma?
Oltre a vescovi di tutto il mondo eletti dalle proprie Conferenze episcopali, anche presbiteri, diaconi, consacrate e consacrati, laici e laiche, nominati dal Santo Padre. Per la Diocesi di Milano vi sarà l’Arcivescovo, monsignor Mario Delpini, eletto dalla Cei. Nella delegazione Cei anche l’ambrosiano vescovo di Novara, monsignor Franco Giulio Brambilla. Tra i vescovi presenti anche monsignor Paolo Martinelli, oggi vicario apostolico dell’Arabia del Sud, per anni ausiliare della Diocesi di Milano.
Altro milanese uno dei Segretari speciali, il gesuita padre Giacomo Costa, presidente della Fondazione culturale San Fedele di Milano.
Tra i membri direttamente nominati dal Santo Padre, la brianzola suor Simona Brambilla, superiora generale delle Missionarie della Consolata. Madre Ignazia Angelini, del Monastero di Viboldone, sarà assistente spirituale.
Saranno presenti come esperti, facilitatori, consulenti don Mario Antonelli, padre Carlo Casalone, Paolo Foglizzo, monsignor Pierangelo Sequeri, Erica Tossani.
Che rapporto c’è tra il Sinodo in corso e le Assemblee sinodali decanali in via di costituzione nella Diocesi di Milano?
Immaginate come frutto del Sinodo “Chiesa dalle genti”, le Assemblee sinodali decanali sono un modo concreto – anche se non l’unico – attraverso cui la Diocesi di Milano intende realizzare il cammino sinodale chiesto dal Papa e dalla Conferenza episcopale italiana a tutte le Chiese locali.
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DA AVVENIRE

Il teologo Vitali:

con il Sinodo la Chiesa cambia e torna alle fonti

Storia di Stefania Falasca
Quello che si apre domani è il primo Sinodo che si celebra secondo la normativa della costituzione apostolica Episcopalis communio, firmata da papa Francesco il 15 settembre 2108. «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione»: la prima sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, apre i battenti. Ma non è più un evento. È la prima sessione di un processo iniziato il 10 ottobre del 2021, che apre un’altra fase che si concluderà con la seconda sessione il prossimo anno in ottobre. Il primo che vede la partecipazione attiva e con diritto di voto di settanta non vescovi, oltre alla presenza di una cinquantina di esperti, distinti in facilitatori e teologi.
Questa è «la prima volta che viene applicata l’ecclesiologia del Concilio recuperando idealmente la prassi sinodale del primo millennio», afferma don Dario Vitali, ordinario di ecclesiologia nel Dipartimento di teologia dogmatica della Pontificia Università Gregoriana, nominato da papa Francesco coordinatore degli esperti teologi impegnati nel Sinodo. Ed è con lui che entriamo nel metodo e nelle ragioni di questo processo che mette al centro la dimensione costitutiva, quindi irrinunciabile e urgente per la vita della Chiesa: la sinodalità.
Professore, come si svolgeranno i lavori? Quali novità rispetto al passato?
Mentre nei precedenti Sinodi i lavori cominciavano in assemblea plenaria (Congregazioni generali) e vedevano poi la presenza di tutti i membri negli incontri dei gruppi di lavoro (Circoli minori), adesso l’ordine è rovesciato: si comincia con i Circoli minori affrontando i diversi temi previsti dall’Instrumentum laboris: sulla sinodalità, sulla sulla comunione, sulla missione e partecipazione.
Anche il suo ruolo di coordinatore degli esperti teologi non era previsto. In che consiste?
Si tratta di una funzione pensata in deroga alla Episcopalis communio. Aiuta il gruppo degli esperti a svolgere un lavoro in équipe, legato alla prassi della nuova metodologia dell’assemblea.
Può spiegarci in breve questa nuova metodologia?
Papa Francesco ha chiesto che tutta la Chiesa sia partecipe, tutti siano protagonisti nella logica dell’ecclesiologia del Popolo di Dio. Questo spiega perché Episcopalis communio trasforma il Sinodo da evento a processo, articolato in fasi. La prima fase ha visto la partecipazione di tutta la Chiesa e di tutti nella Chiesa, attraverso la consultazione del Popolo di Dio nelle Chiese particolari e poi i due momenti di discernimento, nelle Conferenze episcopali e nelle Assemblee continentali. Il Popolo di Dio ha svolto la sua funzione attiva, secondo quanto dice il Concilio Vaticano II, che il Popolo di Dio partecipa della funzione profetica di Cristo (Lg 12). Per questo all’Assemblea partecipano a pieno titolo ai lavori dei membri non vescovi, i quali non rappresentano il Popolo di Dio, ma sono i testimoni dell’unità del processo sinodale. La loro presenza e il loro contributo dicono che il Sinodo non consiste in un’Assemblea circoscritta e che la prima fase è essenziale al discernimento. E che i temi che si affrontano sono quelli emersi dalla consultazione del Popolo di Dio.
Quindi con questo Sinodo, a più di mezzo secolo dal Concilio, lei pensa che per la prima volta si comincia ad applicare l’ecclesiologia conciliare?
Esattamente. Questo processo sinodale permette che tutti i soggetti nella Chiesa siano partecipi e quindi tutta la Chiesa sia partecipe. La prima fase di questo processo ha permesso di ascoltare tutto il Popolo di Dio. E per favore la P di Popolo sia scritta in maiuscolo… perché il Popolo di Dio è la Chiesa come totalità di battezzati, soggetto del sensus fidei. Il fatto quindi di cominciare dal Popolo santo di Dio corrisponde alla scelta del Concilio: la costituzione Lumen Gentium contiene un capitolo sul Popolo di Dio che costituisce la “rivoluzione copernicana” in ecclesiologia, perché pone l’uguaglianza prima delle differenze, la dignità dei battezzati prima delle funzioni gerarchiche, che sono al servizio della Chiesa.
Cosa significa in pratica?
Significa che la vocazione fondamentale data dal battesimo è quella di essere figli di Dio. Il primato della dignità battesimale determina anche il recupero di una funzione propria del Popolo di Dio che torna ad essere soggetto attivo nella vita della Chiesa. Il Concilio ci riconsegna la funzione propria del Popolo santo di Dio conosciuta come sensus fidei o sensum fidelium, cioè la totalità dei fedeli che è «infallibile in credendo». Questa funzione che Pio IX e Pio X invocarono come prova per definire il dogma dell’Immacolata concezione e l’Assunzione di Maria al Cielo, torna ad essere esercitata come momento iniziale di tutto il processo sinodale.
E in questo processo qual è il compito dei pastori?
C’è un legame necessario tra l’esercizio del sensum fidelium e l’esercizio del magistero dei pastori durante il processo sinodale. I vescovi svolgono un atto di discernimento su quanto è emerso dal Popolo di Dio come manifestazione della funzione profetica. Mi rendo conto che la parola “discernimento” è inflazionata, ma va sottolineato come per la prima volta la funzione dei vescovi si svolge in stretta relazione con quella del Popolo di Dio. San Paolo invita a non spegnere lo Spirito a non disprezzare le profezie, a vagliare ogni cosa e a trattenere ciò è buono (1Ts 5,19-21).
Il Papa ripete sempre che «il protagonista del Sinodo è lo Spirito Santo». Può spiegare in breve che vuol dire?
Nella seconda sessione del Concilio Vaticano II risuonò in aula la domanda provocatoria di un vescovo maronita di Beirut: Ignatius Ziadé. Questo vescovo chiese: «Chiesa latina, che ne avete fatto dello Spirito Santo?». Per motivi storici la Chiesa in Occidente aveva sempre più taciuto la presenza dello Spirito privilegiando l’aspetto visibile istituzionale della Chiesa. Il recupero della presenza e dell’azione dello Spirito nella Chiesa è un altro dei guadagni del Concilio. D’altronde, se la Chiesa è pellegrina – così si esprime il Concilio – ed è in cammino verso il Regno, bisogna ascoltare lo Spirito Santo per sapere la strada da percorrere.
Ma in concreto come si ascolta lo Spirito Santo?
Il Papa ripete sempre: ascoltarsi per ascoltare lo Spirito. Se lo Spirito Santo è dato nel Battesimo, il primo atto di ascolto dello Spirito è ascoltare il Popolo santo di Dio. Tutto il processo sinodale è un atto di ascolto dello Spirito: la consultazione del Popolo di Dio e il discernimento dei Pastori. Il medesimo Spirito che guida il Popolo santo di Dio, guida i suoi pastori. Da questo ascolto sinfonico emerge ciò che lo Spirito dice alla Chiesa.
Quindi la Chiesa va avanti ritornando alle origini?
Il Concilio Vaticano II ha assunto il ritorno alle fonti non come un vezzo metodologico ma una scelta di verità per la Chiesa. Il Concilio ha recuperato il modello di Chiesa dei Padri, senza rinunciare in nulla al progresso dogmatico del secondo millennio. Per questo ha potuto inserire la dottrina del primato nella costituzione gerarchica della Chiesa e ripensare la struttura gerarchica della Chiesa a servizio del Popolo di Dio. Questo recupero ha determinato la ricomprensione della Chiesa cattolica come corpo delle Chiese (cfr Lg 23). Il processo sinodale applica questa ecclesiologia del Concilio recuperando idealmente la prassi sinodale del primo millennio. Per questo si può dire che la Chiesa è gerarchica e sinodale insieme.
Qual è in sostanza lo scopo finale di questo processo?
È quello di far radicare uno stile e una forma sinodale di Chiesa, in modo che la sinodalità, come dimensione costituiva della Chiesa, possa e debba configurare la Chiesa stessa, la sua vita, le sue istituzioni, il modo di pensarsi e di operare, la sua missione. Significa quindi rivedere molte cose alla luce di questo principio costitutivo, maturato nel solco della Tradizione in continuità con il Concilio, che non contraddice la Chiesa di sempre ma la illumina di una luce nuova, di quella novità che è sempre nell’ordine della grazia, quindi nova et vetera, nuova perché antica.
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Sinodo dei vescovi,

padre Spadaro assicura:

“Non si lascerà tutto come prima nella Chiesa”

Storia di di GIOVANNI PANETTIERE
La Chiesa, che entra in Sinodo, sarà diversa da quella che ne uscirà. Perché, se si dà vita ad un’assemblea sinodale, “non è per lasciare tutto com’era prima”. E, nonostante “non vi sarà un cambio radicale” dell’insegnamento della Chiesa – assicura padre Antonio Spadaro, tra i 365 membri effettivi del vertice che catalizzerà da mercoledì al 29 ottobre la cronaca religiosa –, avremo comunque “un’evoluzione nella comprensione delle questioni di fede e di morale”, nella consapevolezza che “la dottrina progredisce”. Da qui a paventare rischi di scisma all’interno della comunità ecclesiale ce ne corre, puntualizza il neo sottosegretario al dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede. Certo “si discute e si litiga”, ma “le sensibilità sono chiamate ad armonizzarsi nella comunione, altrimenti si cade nell’ideologia.
Padre Spadaro, che cosa rappresenta il Sinodo dei vescovi per la società?
“È un evento ecclesiale che coinvolge partecipanti da tutto il mondo. In un tempo nel quale il pianeta è diviso, spaccato, nel quale lo stesso ordine mondiale è in crisi, questo è un incontro importante. E i partecipanti porteranno le dinamiche vive delle loro realtà, le domande delle diverse società, che a volte hanno anche esigenze opposte. Poi ‘sinodo’ significa ‘camminare insieme’ e questo è molto significativo oggi che si fa sempre più fatica a camminare insieme”.
Per quale motivo?
“La nostra vita sociale e politica mette al centro l’io virale e megafonico. L’uno vale uno pare sia finito per certificare la perdita del valore proprio dell’addizione. Crediamo solo nella moltiplicazione dell’io. Il Sinodo parla del potere, ma ne offre un approccio radicalmente diverso. È fatto di somme, molteplicità, differenze accolte, ascolto, tratti di strada condivisi”.
Per la prima volta votano anche i laici in assemblea. Passa anche da qui la valorizzazione della corresponsabilità di tutti i fedeli e il superamento degli ultimi residui di clericalismo?
“Si tratta di un passaggio significativo, senza dubbio. Ma il superamento del clericalismo non è certo da attribuirsi solamente a questo cambiamento. Il clericalismo è un modo di pensare e di agire. L’esperienza del Sinodo così come è stata fino ad oggi nelle sue fasi precedenti certamente è molto importante in questo senso. Ci sarà strada da fare”.
Da quanto si legge nell’Instrumentum laboris, frutto dell’ascolto primario della base, in assemblea si tornerà a parlare di diaconato alle donne, di accoglienza dei gay e di ordinazione di uomini sposati: come si spiega questo interesse trasversale ormai a tutte le Chiese locali su questi temi?
“L’Instrumentum laboris è frutto di un ascolto profondo delle Chiese locali, dei fedeli e non solo. Registra fedelmente le questioni aperte e le riporta come materia di riflessione al Sinodo. Starei attento, però, a parlare di trasversalità. In realtà, le diocesi nel mondo hanno esigenze differenti. Quel che è rilevante in un contesto culturale può non esserlo in un altro. Mi pare che lo strumento di lavoro abbia compiuto il ‘miracolo’ di dare voce a tutti i temi, e tra gli altri, anche a quelli citati”.
È auspicabile in materia un qualche aggiornamento della pastorale e della dottrina?
“Se si entra nel Sinodo, non è per lasciare tutto com’era prima. Ed è certo che il processo sinodale avrà un impatto sulla pastorale. Mi verrebbe da dire che tutto l’iter ‘dal basso’ di consultazione e confronto è un’esperienza pastorale. Ma questo non significa affatto un cambio radicale di dottrina. C’è, semmai, una giusta evoluzione nella comprensione delle questioni di fede e di morale: come diceva san Vincenzo di Lérins nel V secolo, anche la
dottrina progredisce, si consolida con il tempo, si dilata, si consolida e diviene più ferma”.
Non si corre il rischio di uno scisma, a fronte delle continue resistenze degli ambienti tradizionalisti, specie americani, all’impulso sinodale dato dal Papa alla Chiesa?
“Francamente non credo. Che ci siano tensioni e opposizioni non c’è alcun dubbio. Ma non vedo affatto la materia ‘seria’ per uno scisma. Si discute e si litiga. Semmai c’è da lamentare la polarizzazione che divide ‘conservatori’ e ‘liberali’. Le sensibilità sono chiamate ad armonizzarsi nella comunione, altrimenti si cade nell’ideologia – che nulla ha a che fare con la fede – e nella lotta di potere”.
La crisi di fiducia nell’istituzione ecclesiale, ben evidenziata tra l’altro, dal progressivo allontanamento dalla pratica religiosa, è sotto gli occhi di tutti: anche un Sinodo può contribuire ad invertire la rotta?
“Lo spero. La crisi della fede richiede anche una riflessione su come annunciamo il Vangelo oggi e un profondo ascolto del nostro tempo e delle sue esigenze. Il Sinodo certamente sarà un contributo importante per dare impulso alla missione. È già frutto di un ampio coinvolgimento dei fedeli e di ascolto delle differenti realtà del mondo. Ma bisogna andare avanti”.

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