L’EDITORIALE
di don Giorgio
Davide contro Golia
Non serve oggi fare filosofia per gente che di filosofia ha solo una brutta idea: quella che si vive solo di pancia.
E non serve neppure fare teologia per un gregge di credenti ingessati, a cui interessa solo l’idolo istituzionale.
Ma la verità, che la si voglia o no vedere, è sotto gli occhi di tutti, anche dei ciechi più ottusi: nella storia di tutti i tempi, e anche dei nostri, del Divino è rimasta qualche ombra, con qualche timida speranza che, in ogni caso, è presente nella coscienza di chi del Divino vede solo la purezza del Sommo e Unico Bene.
Basta poco, ovvero uscire dal proprio essere interiore, anche solo con uno sguardo a questa massa di carname che puzza perfino nelle chiese, e si rimane isolati, mal visti, condannati come ribelli.
Una cosa sembra evidente: il Divino è sparito nella nebbia della alienazione di massa di una società che, per coerenza con l’etimologia della parola, bisognerebbe chiamarla invece inciviltà o barbarie.
Neppure la Chiesa è mai riuscita, fin dagli albori del cristianesimo, immettere nella inciviltà o barbarie quel seme di risurrezione che non poteva non civilizzare i figli di Dio: da barbari renderli Umani!
E oggi? Dopo due millenni di fallimento, la Chiesa è tronfia di una presunzione del tutto allucinante: far credere al mondo intero di essere portatrice di un messaggio di salvezza, accompagnato da mezzi taumaturgici dichiaratamente efficaci, nella magia dell’ex opere operato.
In un gioco al massacro, tra la presunzione delle religioni (non c’è solo la Chiesa istituzionale) e la presunzione dello stato, nei suoi molteplici organismi carnali, credenti e cittadini, in una oscena commistione di fede religiosa e di fede politica, sono frantumanti in quell’essere che, al di là della fede religiosa e della fede politica, è un’entità unica e originale, là dove lo spirito può divinizzarsi, nell’unità del cosmo.
La lotta tra l’interiorità, ovvero lo spirito dell’essere umano, e l’esteriorità, ovvero la carne, si impone nella sua drammaticità, quando il corpo sociale o il grosso bestione riesce a far tacere la voce dello spirito.
Gli spiriti gemono, ma in massa finiscono per adeguarsi alla bestialità dominante, senza avere neppure una consolazione da parte di una Chiesa, che dovrebbe invece contrapporre alla carne da macello la forza vitale dello Spirito interiore.
Sembra che la contrapposizione sia lasciata ai singoli spiriti liberi, ma non sarà una questione di quantità o di peso: la vittoria finale dipenderà dalla violenza dell’essere nella sua interiorità più radicale.
Una violenza per determinazione, una violenza per purezza d’intenti, una violenza per impegno radicale.
Solo così si rinnoverà la vittoria di Davide su Golia.
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