Omelie 2019 di don Giorgio: SECONDA DOPO LA DEDICAZIONE

3 novembre 2019: SECONDA DOPO LA DEDICAZIONE
Is 25,6-10a; Rm 4,18-25; Mt 22,1-14
Una parabola difficile e complessa
Nel primo e nel terzo brano si parla di banchetto, e basterebbe questo per farne una omelia, tanto più che il brano del Vangelo riporta una parabola che è una tra le più difficili e complesse da interpretare. Secondo gli esegeti probabilmente si tratterebbe di due parabole fuse insieme e ciò complicherebbe ancor più le cose.
Solitamente i preti saltano gli ostacoli e si soffermano, in modo del tutto semplicistico, sulla prima parte della parabola, ovvero sul rifiuto dell’invito al banchetto di nozze, e di questo rifiuto si fa una buona, per non dire ottima, occasione per fare una morale sul comportamento dei credenti che rifiutano gli inviti di Dio a partecipare al suo Regno e gli inviti della Chiesa a partecipare ai sacramenti, soprattutto al banchetto eucaristico. E a proposito del banchetto eucaristico entra in scena la parte finale della parabola, ovvero quella che riguarda colui che non ha l’abito nuziale, ovvero adatto al banchetto, e quindi al banchetto eucaristico. Sull’abito nuziale adatto o inadatto la Chiesa nei suoi rappresentanti ne ha fatto un vasto campo di prescrizioni moralistiche inerenti alla recezione di Gesù eucaristia.
Come intendere le parabole
Siamo sempre al solito punto: si prende ogni parabola di Gesù e la si rivolta a proprio piacere in vista del comportamento morale, dimenticando che la parabola di per sé è rivolta al regno di Dio da vivere interiormente.
Mi hanno insegnato che Gesù, quando diceva una parabola, invitava gli ascoltatori a elevare lo sguardo verso Dio onde coglierne qualche flash divino, per poi rivolgersi nel proprio essere interiore, per cogliere la presenza profonda di Dio.
In altre parole, Gesù non aveva alcun intendimento moralistico, in vista cioè del comportamento umano. La Chiesa ha inteso le parabole fin dall’inizio proprio in senso moralistico. Questa mania di ridurre ogni parola di Cristo sul piano umano o comportamentale è la peggiore deviazione dall’intento di Dio, che consiste nell’elevare lo spirito, prima che pensare al nostro agire esteriore.
Cristo, quando parlava, puntava l’obiettivo sul volto del Padre celeste, per poi afferrare lo spirito umano e coinvolgerlo nella luce divina.
Nella Chiesa è sempre prevalsa la teologia cosiddetta morale o comportamentale, quando invece tutto il Vangelo è una teologia mistica, ovvero una teologia dell’essere e non  anzitutto dell’agire. La Chiesa ha sempre preso i credenti per il loro agire, imponendo le sue norme, tradendo così il vero intento di Cristo, che è quello di convertirci nel nostro essere interiore. Prima si pensa, e poi si agisce. Ma il pensiero è quello legato al proprio intelletto interiore, quello che è illuminato dall’Intelletto divino.
Che le parabole invitino anche a comportarsi in un certo modo, è fuori dubbio, ma il vero intento è quello di riprendersi quello Spirito che ci è stato donato dal Cristo morente e che poi sarà l’anima della Chiesa, la quale però ha preferito allo Spirito il proprio espandersi, l’evangelizzazione dogmatica, ovvero quella struttura che sta all’esterno della realtà spirituale.
Ancora oggi viviamo di dogmatismo strutturale, e a pagarne le conseguenze non è solo il nostro essere interiore, ma anche la società, la cui vacuità interiore è spaventosa.
Banchetto
Vorrei soffermarmi sulla parola “banchetto”. Può avere diversi sinonimi: convito, convivio, simposio, pasto, festino, ecc. Solitamente, nella Bibbia e nelle parabole di Gesù, non ha mai il significato di un pasto privato, ma di un grande pranzo, in genere con molti convitati, di solito per onorare una persona o per festeggiare un avvenimento. È un momento in cui ci si trova attorno ad una mensa per mangiare e per bere, ma anche per discutere, per parlarsi, per godersi un momento di gioia. Sì, al banchetto si mangia e si beve, si parla, ma può diventare un momento per discutere di cose politiche, affaristiche (banchetti di lavoro) o di realtà religiose. Chi non ricorda il Convivio di Platone?
C’è un pane e un vino intesi in senso fisico, e c’è un pane e un vino intesi in senso simbolico. Qui non si parla del cibo che manca di chi non può neppure sedersi a tavola. È la storia drammatica di milioni di esseri umani alla ricerca di un po’ di sopravvivenza. Ma è proprio pensando a loro che si dovrebbe discutere, simbolicamente a tavola, per risolvere anche i problemi sociali.
Ma credo che i profeti e Gesù stesso andassero oltre, pensando a problemi ben più vitali, anche se di un altro piano, al di là di quello materiale. C’è una massa di gente che muore di fame, e c’è una massa di gente che ha di tutto, una mensa piena di vivande, ma che ha il cuore arido come una pietra.
Non si tratta di due piani completamente diversi: quello materiale e quello spirituale. I profeti e Gesù sembrano parlare di un banchetto dove tutti, vicini e lontani, credenti e non credenti, dovrebbero riunirsi per formare un’unica famiglia, e così risolvere anche i problemi concreti, quelli di tipo economico e sociale.
Certo, i profeti e Gesù parlano un linguaggio completamente diverso da quello socio-politico, ma non mettono in contrasto tra loro il corpo e lo spirito: ciò che riguarda la parte materiale e ciò che riguarda la parte spirituale. Ma ci dicono chiaramente una cosa: i problemi sociali non si risolvono sul piano prettamente umano o terreno.
Tutta la predicazione profetica e il Vangelo stanno a dirci che, finché l’essere umano resterà esterno a se stesso, al proprio essere interiore, non risolveremo nulla di ciò che riguarda la parte materiale.
Il banchetto diventa simbolicamente quel volere di Dio per cui tutti i popoli, tutte le razze, tutte le culture dovrebbero riunirsi attorno alla stessa tavola, che è dunque simbolo di unitarietà, di senso profondamente solidale, senza più divisioni, ponti interrotti, porti chiusi, frontiere elevate.
Ma che cosa sarà a riunire tutti i popoli? Il pane materiale? Solo il pane materiale no! Si tratta di un altro pane oggi sconosciuto perfino ai credenti, ed è quella realtà del tutto spirituale, lo Spirito santo, che smuove le coscienze, unisce e non divide, facendo di ogni popolo una risorsa materiale e spirituale per formare un’unica famiglia.

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