L’unità dei contrari…

L’EDITORIALE
di don Giorgio

L’unità dei contrari…

È facile oggi dire magari urlando in piazza NO ALLA GUERRA, forse è più difficile testimoniare ogni giorno nel nostro ambiente SÌ ALLA PACE, se per pace s’intende il voler a tutti i costi, al di là di facili parole o di scontati slogan, quel bene che è al di sopra di faziosità o di interessi che sono il frutto di un ego di potere che, già nel proprio piccolo regno di un orticello chiuso ad ogni apertura mentale, ottenebra gli occhi e blocca l’intelletto.
Si va in piazza, magari in massa, e ciascuno – un sé separato, come un’isola – grida scaricando ogni colpevolezza di tutto il male di questo mondo sugli altri che compongono la stessa massa: più sono vicini più sono irritanti, non importa se hanno problemi molto più gravi dei miei e se perciò avrebbero più diritto a far valere le proprie ragioni.
Io sono il problema, l’unico problema che conta più di tutto il mondo.
Sì, si grida NO ALLA GUERRA, ma contro coloro che ci fanno qualche violenza, nel nostro piccolo. La guerra che conta, contro cui lottare, è quella che mette in pericolo i propri interessi, la propria pace, la propria tranquillità. Basta poco, uno sguardo un po’ avido su qualche nostro piccolo bene, e la lotta inizia. Con sguardi torbidi.
E li chiamano pacifisti, eppure bisognerebbe chiamarli egoisti.
Non vorrei fare il solito discorso generalista, senza guardare in faccia la realtà del nostro quotidiano vivere esistenziale. E mi preme qui toccare un tasto su cui i cittadini sorvolano, perché già toccarlo li renderebbe irrequieti, contro quel sacrosanto principio per cui: Mi interessa solo ciò che mi torna comodo!
Vedete, posso perdonare ogni cosa al cittadino comune, anche quel suo talora morboso attaccamento al proprio orticello, ma non posso perdonare chi, avendo delle responsabilità di bene comune, pensa e agisce violando quell’armonia che compone e ricompone magari con fatica ogni elemento che basta poco perché divida, separi, emargini.
Il tutto è composto di un insieme di particolari, apparentemente contraddittori, ma che si ricompongono nell’armonia finale. È l’armonia dei contrari che, proprio perché tra loro differenti, danno al Tutto la sua bellezza, il mosaico del capolavoro divino.
In un frammento di Eraclito di Efeso, filosofo greco antico (vissuto tra il VI e il V secolo a.C.), uno dei maggiori pensatori presocratici, troviamo queste parole: “Ciò che è opposto si concilia, dalle cose in contrasto nasce l’armonia più bella, e tutto si genera per via di contesa”.
Secondo gli studiosi la dottrina dell’unità dei contrari è forse l’aspetto più originale del pensiero filosofico di Eraclito. La legge segreta del mondo risiede nel rapporto di interdipendenza di due concetti opposti (fame-sazietà, pace-guerra, amore-odio ecc.) che, in quanto tali, lottano fra di loro ma, nello stesso tempo, non possono fare a meno l’uno dell’altro, poiché vivono solo l’uno in virtù dell’altro: ciascuno dei due infatti può essere definito solo per opposizione, e niente esisterebbe se allo stesso tempo non esistesse anche il suo opposto. Così, ad esempio, una salita può essere pensata come una discesa da chi vi si trova in cima.
Tra i contrari si crea una sorta di lotta. In questa dualità, questa guerra fra i contrari (“polemos”) in superficie, ma armonia in profondità, Eraclito vide quello che lui definiva il logos indiviso, ossia la legge universale della Natura.
Bisognerebbe che noi moderni ci soffermassimo a lungo su queste intuizioni, ma sembra che sia impossibile anche solo far capire qualcosa di quanto gli antichi filosofi avevano già intuito.
Noi viviamo di contrasti a se stanti, che perciò fanno una guerra irrisolvibile, che finisce sempre unicamente in una tragedia di sangue, che produrrà inevitabilmente altro odio e altro sangue.
Talora penso ai bambini ucraini come cresceranno: con tanto odio dentro da scatenare vendetta e altro sangue.
Penso anche a quei paesi nelle mani di sindaci talmente egoisti e divisivi da creare premesse per il futuro del loro paese sempre più campanilistico e divisivo.
Credo che con la buona volontà e con la fede nel bene comune i contrasti si possano risanare tra i paesi e le comunità anche cristiane: certi campanilismi divisivi sono nati e favoriti proprio per un concetto ristretto di fede.
Ancora oggi si scambia l’amore per il proprio paese come qualcosa di troppo morboso.
E ringraziamo il Signore se ogni paese ha le sue caratteristiche o qualità, le sue tradizioni, così ci si arricchisce.
Il bene comune è un’armonia di contrari, che vanno visti nella loro complementarietà.
Io mi arricchisco ricevendo qualcosa che non ho da un altro che ce l’ha. Così, viceversa, posso dare a un altro qualcosa che lui non ha e io ho.
Il confronto dialettico è importante, talora essenziale, quando è costruttivo. Quando ero responsabile di una comunità parrocchiale, nei consigli pastorali dicevo sempre: Voi dite la vostra e io dico la mia, scegliamo poi la proposta “migliore”, evitando possibilmente il solito compromesso.
L’armonia, infine, non è omologazione dei contrari. I contrari si ricompongono per il meglio, ma non vanno annullati come se la pace fosse castrazione della coscienza di ciascuno.
Non vorrei aprire il discorso sugli spiriti liberi o sui dissidenti nella Chiesa. Dico solo che la verità è infinta, e che il dogma mette tali paletti da castrare l’infinità della verità.
03/12/2022
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