Anno 2016: più doveri e meno consenso popolare
di don Giorgio De Capitani
Perché ci sia una società “migliore”, bisognerà assolutamente partire da una radicale rivoluzione culturale. In sintesi: più doveri e meno consenso popolare.
Dicendo più doveri non intendo moltiplicare gli obblighi come se si dovesse gravare la società di ulteriori pesi e affanni. In realtà, si tratta di comprendere che esiste un unico dovere essenziale, da cui necessariamente diramano i cosiddetti doveri quotidiani.
L’unico essenziale dovere è il proprio essere, nella sua radicalità di fondo. L’essere, in altre parole, non è un proprio diritto da pretendere. Che senso ha parlare di diritto ad essere se stesso? Io “sono” già quello che “sono”: spetta a ciascuno essere se stesso. Non è un proprio diritto: è un proprio dovere!
È chiaro che ho il diritto di essere rispettato dagli altri, ma tale diritto proviene dal mio “dover” essere me stesso.
Il più grosso sbaglio di questi ultimi anni consiste nell’aver parlato solo di diritti da conquistare, a danno talora di doveri che sono stati soppiantati da assurde pretese, creando così un divario sempre più abissale tra l’essere e l’avere. Il mondo interiore, quello dell’essere, è stato separato dal mondo esteriore, quello esistenziale, consumato da cose o da desideri di cose senz’anima.
Il progresso materiale, frutto di un mal-essere generale, è diventato una macchina tale da correre all’impazzata, lasciando dietro il mondo interiore. Anni fa, ho sentito uno scienziato lanciare l’appello: Uomini moderni, fermatevi, e aspettate l’anima che avete dimenticato!
L’essere ha un suo passo naturale che non può competere con il passo innaturale del progresso folle. E tale progresso è diventato come una betoniera che stritola l’essere umano.
Tutti abbiamo il diritto di rispettare l’essere, e se parliamo di diritti, allora diciamo che è l’essere ad avere il primo diritto ad essere rispettato. Tutti gli altri diritti umani dovrebbero provenire dal nostro dover essere. Purtroppo non è così: i diritti che pretendiamo sono fondati sul nostro egoismo o su quella egoità, come direbbero i mistici, che è la vera fonte del male di questo mondo.
È chiaro che parlare anzitutto di doveri comporti una certa impopolarità. Non otterrete mai il consenso della gente, se la mettete di fronte ai suoi essenziali doveri. I partiti di protesta, che prendono facili consensi, sono quelli che agiscono sulle facili pretese di cittadini che vogliono solo diritti.
Ciò succede anche nella Chiesa, ma in un modo del tutto singolare.
Mai come in questi tempi la Chiesa, capitanata da papa Francesco, sta vivendo un momento di facile consenso mondiale. Tuttavia, non accetta volentieri i diritti cosiddetti civili. Nonostante la bonaria apparenza, essa resta ferma ai propri doveri. Ma quali sono questi doveri? Quelli di una religione che è ben lontana dallo spirito interiore. Certo, la Chiesa parla di anima, parla di spirito, ma a modo suo. L’essere profondo è ancora un tabù per la Chiesa, che vive anch’essa, come la società civile, all’esterno, in superficie, e qui costruisce un consenso che sta diventando deleterio per il mondo dell’essere.
Questo Papa porterà la Chiesa ancor più lontana dalle fonti dell’essere. Sta giocando tra un apparente frivolo umanesimo e una struttura religiosa ancor più opprimente di quella di un passato che, se non altro, appariva in tutta la sua contraddizione radicale.
Oggi, si è ancora in superficie, all’esterno, e la società si illude, sotto il fascino di una religione mostruosamente materialista.
https://youtu.be/7YEGYNrQxTY
Il richiamo è duro, specialmente di questi tempi. La società tecnologica è permeata dalla voglia di emergere, di prevaricare e rendersi visibili a tutti i costi. La pubblicità, che è il veicolo di punta dell’età del benessere ce lo insegna con le sue regole: l’importante è l’apparenza che, possibilmente, deve avere i connotati di un mondo ideale, così da attirare consensi e vendere il prodotto. Che, al limite, potresti essere anche tu, o per essere più precisi, l’immagine che offri di te. Questo stesso mezzo che stiamo usando adesso, potrebbe essere solo un sistema per farsi notare e cercare l’approvazione altrui. Siamo talmente abituati alla finzione dei reality che, grazie ai mezzi di comunicazione stanno invadendo le nostre vite, da aver smarrito la nostra identità e adesso, forse, non sappiamo più chi siamo veramente. Perché, come nelle commedie di Shakespeare o di Pirandello, quasi senza rendercene conto finiamo per interpretare più parti, a seconda delle circostanze. Invochiamo giustizia, uguaglianza e parità di diritti, che rivendichiamo urlando e utilizzando ogni mezzo a disposizione, ma poi, a partire dal nostro piccolo sorvoliamo sugli obblighi e i doveri, anche perché l’esempio ci viene da coloro che dovrebbero essere un punto di riferimento per la società, e invece, spesso, sono i primi a tradire se stessi.
Pensare che con il determinismo si riesca a dirigere le societa’ e la propria coscienza e’ semplicemente assurdo.Sarebbe opportuno rifarsi al premio Nobel che ha scoperto l’espansione dell’ universo saul Perlmutter:
Soprattutto in politica, dove in genere manca la modestia di ammettere che le proprie idee di partenza possono essere sbagliate, devono essere messe alla prova, e possono beneficiare del contributo degli avversari. Personalmente tendo a dare più fiducia a chi fa proposte modeste e sensate, che a chi sbatte il pugno sul tavolo e pretende di sapere come risolvere in quattro e quattr’otto un problema difficile.
L’economia e’ scienza probabilistica diventa deterministica solo quando sfrutta l’umanita attraverso il mercantilismo e oggi la politica becera in questo riesce bene come e’ sempre successo nella storia dell’ uomo.
Il resto e’ pura teoria e speculazione intellettuale fine a se stessa
Diritto e dovere sono spesso due diversi aspetti di una stessa realtà, un connubio assolutamente inscindibile.
Soprattutto quando parliamo di dovere di onestà intellettuale, nel senso di dovere, soprattutto morale, di coerenza con quello che si pensa, e quindi pensare quello che realmente si dice, e dire quello che si pensa, oltra a dovere di comportarsi secondo i propri convincimenti.
Ma, evidentemente, nessuno può adempiere un dovere che non gli sia consentito di adempiere, come quando circostanze esterne o la volontà di altri soggetti lo impediscono.
Non è solo un discorso teorico.
Pensiamo, ad esempio, al lavoratore onesto, che voglia contribuire al migloramento delle cose sul luogo di lavoro, dicendo cosa, secondo lui, non va.
Ma poi non lo fa perché quell’ambiente non vuol sentirsi dire cosa non va.
Pensiamo ad una religione che o non ammette contraddizioni, oppure le copre con il mistero della fede, formula per non dire che non si sa come rispondere a certi quesiti, e quindi non ammette libera ricerca teologica.
Ma pensiamo, anche più prosaicamente, a quanti non possono fare il loro lavoro onestamente, perché l’ambiente di lavoro non lo permette.
Penso, ad esempio, ai giuristi di enti e società, che magari riconoscono che una controparte ha ragione, ma non possono ammetterlo perché contrario agli interessi del proprio ente di riferimento.
Talora è proprio la società in cui viviamo a spingere per impedire la piena attuazione di un diritto-dovere.
E la religione rischia di restare in superficie, se non scende nel merito delle questioni, ed anzi impedisce d farlo.
Praticamente, pretende che ci si affidi ad un puro mistero metafisico, senza dare risposte.
Ma, se non è capace di offrire quanto meno un barlume di risposta, come può pretendere che gli altri la seguano?
Anche questo, si direbbe, è forse un segno dei tempi, ed anche per questo è salito al soglio petrino Bergoglio, cioè proprio perché la chiesa sapeva che difficilmente sarebbe riuscita a tornare ad un certo consenso, continuando a non rispondere a determinati quesiti, oltre al fatto di essere in decisa caduta d’immagine per i vari scandali, che forse hanno anche contribuito al pensionamento di Ratzinger.
Proprio per questo, si è scelto un papa che devia l’attenzione dall’interno della chiesa verso la sua figura bonaria.
E, quindi, con tale distrazione si cerca di portare l’attenzione altrove, per evitarla dove non fa comodo, cioè ancora una volta all’interno di una curia che vive di continue contraddizioni.
E, quand’anche facciamo riferimento a persone intellettualmente oneste con la loro missione, si tratta comunque di un ambito che ancora oggi non sa, né, probabilmente, saprà mai dare una risposta ai quesiti che la fede pone, appena uno non si accontenti di meri formalismi e di viverla in superficie.
Ma, appunto, con Bergoglio l’attenzione si è spostata su altro.
Dai quesiti che la fede pone, a evidenti contraddizioni curiali, tutto ormai viene mediaticamente spostato e ci si concentra sulla figura del papa, così da quietare gli animi, e da distrarre rispetto a ciò che non fa comodo.
Forse, è stato intellettualmente più onesto Ratzinger, quando, non riuscendo più nel suo compito, per motivi di salute ma anche, probabilmente, perché vedeva le continue ed insanabili contraddizioni di una chiesa diversa da quella che pensava, decise di dimettersi.