4/ Tradizionalisti o progressisti?

L’EDITORIALE
di don Giorgio

4/ Tradizionalisti o progressisti?

Vorrei ora rispondere alla domanda: tra tradizionalisti e progressisti da che parte stare? chi ha ragione: il tradizionalista o il progressista?
Anche io ritengo che la domanda sia ambigua o mal posta: bisognerebbe anzitutto chiarire i due termini: tradizionalista/tradizionalismo, e progressista/progressismo.
Già la parola “tradizione” ci obbligherebbe a soffermarci a lungo.
“Tradizione” è un termine che deriva dal latino “traditio”, a sua volta dal verbo “tradere”, composto di “tra”, oltre, e “dare”. L’italiano “trasmettere” traduce esattamente il latino: “trans”, oltre, “mittere, mandare.
Se ci soffermassimo sull’etimologia esatta delle parole!
Non ci interessa qui l’uso giuridico indicante la consegna di una cosa mobile o immobile, che ha per effetto il trasferimento del possesso della cosa. Vorrei invece soffermarmi sulla parola “tradizione”, intesa come consegna o trasmissione nel tempo, da una generazione a quelle successive, di memorie, notizie, testimonianze, distinguendo tra trasmissione orale e tradizione scritta.
La tradizione orale è l’insieme delle testimonianze del passato (racconti storici, miti, poesie, formule sacre, ecc.), trasmesse di bocca in bocca, di generazione in generazione, considerate una delle fonti fondamentali per gli studi etnologici.
Non dimentichiamo che gli antichi, compresi gli ebrei, vivevano di trasmissioni orali, che richiedevano una grande memoria, supportata anche da particolari tecniche per ricordare più facilmente e a lungo.
Trovo scritto: “Nella teologia cattolica, la tradizione è la trasmissione delle verità rivelate che risalgono all’insegnamento di Cristo e degli apostoli, sviluppate e definite nella storia della Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo; come tale la tradizione è considerata fonte della rivelazione, insieme alla Scrittura”.
Credo che la cosa più importante sia proprio risalire alla fonte originaria, e attingervi: la tradizione è la consegna o trasmissione dell’originale, senza se e senza ma.
Quando parlo di messaggio radicale di Cristo intendo proprio questo. È chiaro che, lungo i secoli e millenni, sono cambiate tante cose nella Chiesa: gli usi e i costumi, i riti liturgici, anche il linguaggio e la lingua, e ciò ha comportato non poche difficoltà di comprensioni e di traduzioni. Ancora oggi non si fa che ritoccare traduzioni, per essere fedeli al termine più esatto. Non sono contro gli studiosi o esegeti, anzi ben vengano, purché facciano bene il loro mestiere. Ma vorrei essere spietato nel dire che non sopporto quell’ecumenismo accomodante, per cui si sceglie una parola o un’espressione come compromesso per non urtare una fede religiosa: gli ebrei o i protestanti.
L’originale va preso per quello che è, senza guardare in faccia ai cattolici, agli ebrei o ai protestanti. Anche qui ciò che conta non è quella “politica” per cui si tengono buoni un po’ tutti, ma ciò che conta è la scienza esegetica. Sì, perché anche l’esegesi è una scienza!
E c’è un’altra cosa che non accetto: quel gusto diciamo di moda per cui si va alla ricerca del sensazionale o di qualcosa di esotico, per cui mettiamo in dubbio anche l’autenticità della Parola di Dio, arrivando al punto di preferire i vangeli cosiddetti apocrifi ai Vangeli canonici. È una moda, e questo basta per stare all’erta.
Certo, come direbbe San Giustino, ovunque ci sono “semina Dei” o “Logoi spermatikòi”, ma questo non giustifica che basta un “seme” sparso chissà dove per mettere in discussione tutta la Bibbia. E anche qui, attenzione: è vero che, come diceva Sebastian Franck nei “Paradossi” (libro che vi invito a leggere), la Bibbia non è da prendere nel suo aspetto carnale, ovvero come scrittura. Per Franck, il Nuovo Testamento non è un libro, una Scrittura, una legge, un ordinamento, ecc., bensì il patto dello Spirito santo, di una buona coscienza, con Dio, anzi, lo Spirito santo stesso. Il Nuovo Testamento stesso è pensato da Franck non come un libro, una legge, bensì come lo Spirito santo che parla all’uomo interiore, all’uomo completamente distaccato. Affermazioni che nella loro paradossalità, anche stilistica, riprendono temi della mistica speculativa di Meister Eckhart.
Angelus Silesius termina il suo capolavoro “Il Pellegrino Cherubico (altro libro da leggere) con questo distico: “Amico, basta oramai. Se vuoi leggere ancora, va’, e diventa tu stesso la Scrittura e l’Essenza”.
Certo, tutto è paradossale, anche il fatto di rifiutare o di sottovalutare magari un testo, dimenticando che, se non ci fosse stato quel testo, non saremmo venuti a conoscere quella verità contenuta nel testo: una verità che certamente va oltre il testo.
Ma il vero problema è un altro, ed è questo che dovrebbe seriamente preoccuparci: il fatto cioè del contenitore. Se il contenitore stringe la verità mortificandola fino a soffocarla, se il contenitore è come una ferrea prigione, allora ci si chiede come si possa dire di essere fedeli alla Sorgente, che, nel nostro caso, parlando di Verità divina, è infinita, ovvero senza confini.
In altre parole: la Chiesa istituzionale può trasmettere lungo i secoli la Verità originale, ovvero può garantire di essere fedele alla Sorgente divina? Ma se il Cristianesimo, così come è uscito dal Pensiero di Cristo, non doveva essere una religione, e la Chiesa istituzionale si è fatta fin da subito una religione, come si può dare credito alla tradizione cattolica?
La Chiesa istituzionale è stata come un cammino di dogma in dogma, fissando cioè lungo la strada continuamente dei paletti alla Verità divina.
Siamo più chiari: se tra il Cristianesimo puro di Cristo e la Chiesa istituzionale c’è come un divario, come si può parlare di tradizione nel senso di consegna o di trasmissione del Vangelo più autentico di Cristo?
Mi importa relativamente che già nei Vangeli canonici, così come ci sono stati trasmessi (non dimentichiamo l’iter lungo e complesso della loro definitiva stesura!), scopriamo già alcune interferenze della primitiva Chiesa istituzionale (ad esempio, la spiegazione che si dà di alcune parabole), ma basterebbe il Vangelo di Giovanni a sconvolgere una Chiesa istituzionale che, man mano si allontanava dagli inizi, assumeva un volto sempre più carnale anche in senso dogmatico e moralistico.
Se qualcuno mi chiedesse, e non sarebbe il primo, e spero sia l’ultimo di una lunga serie, il motivo per cui resto ancora nella Chiesa cattolica, rispondo, come solitamente rispondo, che ci resto e ci resterò, magari aggrappato all’orlo della veste, per tentare di cambiare anche solo per un soffio qualcosa di questa Chiesa istituzionale: dal di dentro, e non dal di fuori. Le porte e le finestre si aprono solo dal di dentro, e non dal di fuori, e c’è un’altra cosa che vorrei dire: uscire dalla chiesa per entrare in un’altra confessione religiosa sarebbe non solo inutile, ma ancor più deludente.
Conosco credenti, anche preti cattolici, che non fanno altro che provare un po’ tutto, uscendo da una religione per entrare in un’altra, e poi si accorgono, quando aprono gli occhi, che ovunque c’è qualcosa che non va.
Ogni religione è una prigione, chi più chi meno. E non tentate di cambiare il nome togliendo magari la parola “religione”, in realtà non cambierebbe nulla.
Che volete? Odio quel vagabondare a destra e a sinistra, magari in oriente, per cercare una felicità, o quella beatitudine eterna, che è già in nostro essere, ovunque siamo.
Certo, la struttura conta, è pesante, magari opprimente, ma ovunque vai la trovi, sotto forme diverse, magari più ingannevoli.
Rientra in te stesso, è troverai la Sorgente della Vita. Ciò che devi temere, più che la struttura carnale, è quell’ego, o “amor sui”, che è quel male da cui deriva ogni male.
Puoi anche fuggire sulla cima più alta di una montagna, lontano da tutto e da tutti, e lassù troverai ancora il tuo ego. Resta in città, o tra la
massa di gente alienata, e potrai essere libero e beato, se avrai vinto il tuo ego.
Dovrei ora parlare di progressismo, ma sarà per la prossima volta.
(4/continua)
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