Covid, la tentazione della via giudiziaria per il regolamento di conti e quei calcoli assurdi sulle vittime

La Rassegna politica

Covid,

la tentazione della via giudiziaria

per il regolamento di conti

e quei calcoli assurdi sulle vittime

di ALESSANDRO TROCINO
Ci risiamo. Come accade spesso, i disastri politici non trovano la loro sanzione più efficace, la più naturale, nella rivolta dei cittadini-elettori che cacciano i responsabili dai posti del potere, non a calci ma attraverso il voto. No, i disastri politici – che si susseguono con una frequenza impressionante (insieme, va detto, a una grande crescita economica e sociale garantita anche dalla classe politica) – vengono contrastati attraverso lo strumento giudiziario, con l’arma contundente, ma anche spuntata, della magistratura. E con strumenti paragiudiziari, come le commissioni d’inchiesta parlamentari. Sta succedendo con il Covid, ma in parte anche con il naufragio di Crotone, ed è una coazione a ripetere che assume proporzioni inquietanti.
C’è un rapporto sulla gestione del Covid che è stato elaborato da Andrea Crisanti, microbiologo che ora è diventato senatore del Pd e che ha firmato la super consulenza per la procura di Bergamo, impegnata nella ricostruzione delle prime fasi della pandemia. È la base sulla quale la magistratura ha avviato un’inchiesta per epidemia colposa aggravata che mette sotto accusa molti politici ai vertici del governo durante la stagione più acuta della pandemia, da Roberto Speranza a Giuseppe Conte, da Attilio Fontana a Giulio Gallera. Crisanti non vuole che la sua «mappa logica», come l’ha chiamata, sia definita un atto d’accusa, ma di fatto lo è. Secondo il microbiologo, «in base a un modello matematico, se fosse stata istituita in Val Seriana una ‘zona rossa’, al 27 febbraio i morti sarebbero stati 4.148 in meno, e al 3 marzo 2.659 in meno».
Già, le cifre fanno impressione. Gli «errori»politici, in sostanza, hanno causato almeno 7 mila morti. Ma davvero hanno senso queste cifre? Chi ha seguito la gestione del Covid sa che i politici avevano due problemi fondamentali: il primo era l’incertezza assoluta delle evidenze scientifiche, che potevano cambiare da un giorno all’altro; il secondo era il bilanciamento di due esigenze in contraddizione, anzi di tre:
– garantire la salute pubblica, e quindi diminuire avanzamento della pandemia e aumento dei morti
– evitare la paralisi completa e prolungata dell’economia.
– infine, rispettare i diritti fondamentali della democrazia e della libertà stabiliti dalla Costituzione.
Come conciliare queste esigenze antitetiche? Con la politica. Che si basa proprio sul bilanciamento di interessi e istanze diverse e talvolta contrapposte.
Per capirci, lo scorso anno ci sono stati 70 mila incidenti stradali con 1.489 vittime. In città il limite massimo di velocità è generalmente di 50 all’ora, sulle autostrade di 130 all’ora. È del tutto evidente che se il limite fosse abbassato, rispettivamente a 30 e 90 all’ora, il numero delle vittime calerebbe drasticamente. Se poi un decreto governativo vietasse l’uso delle automobili, il numero di vittime si approssimerebbe a zero. Niente di tutto questo viene fatto. O, meglio, si valuta se abbassare il limite di velocità, in relazione alle esigenze di mobilità. Dunque la classe politica andrebbe condannata per strage? Conte e poi Draghi e ora Meloni vanno processati per quelle vittime? Nessuno, naturalmente, si sognerebbe di mettere in piedi un processo del genere.
Questo non vuol dire che nella gestione del Covid non ci siano stati errori,anche gravi. E magari anche reati, se ci sono stati falsi e documenti manomessi. Ma davvero lo strumento giudiziario è il migliore per valutare le ordinanze sulla zona rossa? È vero, come dice la magistratura, che la mancata applicazione del piano pandemico (datato 2006) ha «cagionato» la propagazione «del virus così determinandone la diffusione incontrollata con l’aggravante di aver causato la morte di più persone»? Probabilmente sì. Non aggiornare il piano è stato un errore grave. Ma non possiamo dire lo stesso di chi ha preferito buttare via soldi in finanziamenti inutili, o peggio, invece di rafforzare la sanità, gli ospedali, i medici di base? Con più centri territoriali, più sanitari, più infermieri non si sarebbe abbassato il numero delle vittime? Probabilmente sì. Ma sono scelte politiche. Magari sbagliate, ma fatte dai governi e dalle maggioranze che sono scelte dai cittadini. Questi non li esime da responsabilità penali, se ci sono. Ma davvero le inchieste sono lo strumento giusto per ripristinare la verità storica e per assegnare colpe e ragioni in questa vicenda?
E la commissione parlamentare d’inchiesta? A volerla sono stati soprattutto Fratelli d’Italia e Italia Viva. L’obiettivo ufficiale è «fare luce», ma in molti temono che si tratti semplicemente di un processo politico, di un regolamento di conti contro gli avversari. Contro il Conte bis, e quindi i 5 Stelle di Conte, la Lega di Fontana e Gallera, la sinistra di Speranza. Ad aprile il provvedimento approderà in Aula per il voto.
Scrive Lucia Annunziata sulla Stampa, che alla base dell’identità della nuova destra c’è anche questa battaglia contro la gestione del Covid del Conte 2, che è stata considerata «inadeguata, irrazionale, autoritaria» e perfino corrotta. Solo che c’è un problema. Si lamenta una scarsa severità, un ritardo nell’istituire le zone rosse e quindi un aumento delle vittime, ma per mesi la destra ha fatto pressioni per lasciare liberi gli imprenditori di agire, per non soffocare il mercato: «C’è un anello che non funziona in questo cerchio: come fa a stare insieme quel movimento di opinione della destra che è stato sempre contrario al lockdown, con una inchiesta in cui si accusa il governo Conte 2 di non aver fatto il lockdown?».
Sono scelte politiche, come si è detto. Rinfacciarsele a suon di morti è un degrado pericoloso. Persino il giustizialista Marco Travaglio (garantista ad personam per il suo protetto Conte) contesta i magistrati che vogliono «soddisfare la sete di verità dei cittadini», come se il loro mestiere non fosse invece verificare la violazione della legge e non avventurarsi in filosofiche ricerche di verità.
Alessandra Sardoni, su La 7 ha intitolato la puntata di Omnibus «pandemia giudiziaria». Un’incontrollata epidemia di processi, che mettono sotto accusa gli scienziati che non hanno saputo prevedere il terremoto dell’Aquila, chi non ha saputo contenere un contagio, chi non ha saputo salvare i migranti da un naufragio. Anche in quest’ultimo caso, se ci sono responsabilità penali andranno accertate, ma già qualche certezza i cittadini potrebbero trarla da una maggioranza che ha criminalizzato i soccorsi, trasformando la Guardia Costiera in un organo quasi esclusivamente di polizia e non più di salvataggio. Una scelta politica, naturalmente.
Infine, che accadrebbe se i processi, come spesso accade, finissero nel nulla? Che i politici accusati rivendicherebbero la loro innocenza, non solo giudiziaria ma anche politica. Vedete? Ci hanno assolto. Abbiamo fatto il nostro dovere. Ma purtroppo, spesso, non è così e la clava giudiziaria rischia di essere un boomerang che finisce per confondere le acque e assolvere tutti.

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