L’EDITORIALE
di don Giorgio
“La bellezza salverà il mondo”: chiariamo
Se, come si dice, “la bellezza salverà il mondo” (queste parole, per chi le ha per primo pronunciate o scritte, forse avevano un senso del tutto diverso da quello oggi generalmente inteso), allora ci chiediamo il perché il mondo ci appaia così tristemente brutto e addirittura brutale? Immaginate la nostra Italia, dove non c’è angolo che non sia “bello”: pensate che la gente sia tutta uno splendore di nobiltà?
Provate a concentrare tutte le opere artistiche che si trovano in tutta Italia in una determinata città, e voi pensate che i cittadini di quella città diventerebbero bravi, buoni, intelligenti, ecc. ecc.?
Mai come in questi tempi si organizzano visite a Musei d’arte, o si trasmettono in tv numerosi meravigliosi servizi d’Arte, eppure mai come in questi ultimi tempi il popolo italiano è caduto tanto in basso, non solo tacciato di razzismo o di barbarie nel campo socio-politico, e nel campo ecclesiastico ridotto a un lumicino di fede, supposto che lo si veda.
E allora quale “bellezza” salverà il mondo?
Eppure ci si ostina a credere (verbo da evitare!) che sarebbe del tutto inutile, un perditempo, parlare oggi di Mistica o di Nobiltà dell’essere umano, al cui interno è possibile riscoprire la Bellezza divina, quella che potrebbe togliere il mondo dalla morsa di una schiavitù brutale.
Noi italiani viviamo tra “bellezze” della Natura e di opere d’Arte da far invidia al mondo intero, eppure siamo oramai tra i popoli più “incivili”, dove parlare di nobili ideali è proibito, deriso, contestato da gente tanto imbecille quanto brutta.
Inoltre, non posso non fare incazzare i cosiddetti “artisti” di oggi (definirli da strapazzo non basterebbe a mettere un triste velo sulle loro produzioni!). Se è vero che di tutto il numero incalcolabile di libri che oggi vengono stampati si potrebbe salvare neanche un migliaio, è altrettanto vero che, forse meno numerosi dei libri, si producono migliaia e migliaia di dipinti di cui se ne potrebbero salvare meno di un centinaio.
La bellezza come copia o fotocopia di un vuoto interiore come potrà “salvare” il mondo?
Vorrei invitarvi a riflettere con me allargando il discorso.
Se abbiamo una prova più che lampante che le “bellezze carnali” (e intendo anche le produzioni cosiddette “artistiche”) sono di una tale bassezza da creare in chi le vede anche delle depressioni tali da produrre seri problemi psicologici e magari anche psichiatrici, non vi viene almeno qualche dubbio sul vero motivo per cui oggi la società è ben lontana da essere salvata, ma casomai incamminata verso una sicura estinzione?
E allora qual è il vero motivo?
Ma chi oggi crede nel Divino o, e questo mi fa veramente incazzare, perché vantarsi di essere agnostico o ateo. Ancora risento quelle parole pronunciate con tanta boria da gente imbecille: Sono ateo per grazia di Dio!
Il filosofo francese Blaise Pascal (1623-1662), parlando dell’esistenza di Dio diceva:
«O Dio esiste o non esiste: ma da che parte staremo? La ragione non può decidere niente. C’è un abisso infinito che ci separa. In capo a questa infinita distanza si gioca un gioco in cui uscirà testa o croce. Su cosa scommetterete?».
Dunque, il filosofo spiega perché è più “conveniente” credere nell’esistenza di Dio piuttosto che non crederci, senza dimenticare però che: “Le cœur a ses raisons que la raison ne connaît point» (il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce). In sintesi l’idea è che, se scommettiamo sull’esistenza di Dio e Dio esiste, vinciamo la scommessa con un guadagno infinito. Se Dio non esiste, non perdiamo nulla e almeno abbiamo trascorso un’esistenza resa lieta dalla fede.
Forse potrò sembrare orgoglioso o presuntuoso, ma confesso categoricamente che ciò che ho scoperto con la Mistica medievale non è una scommessa al buio.
Per me il “cuore”, di cui parlava Pascal, è quel mondo interiore che ha la sua sede principale nello spirito (o intelletto). Accetto anche la parola “cuore”, purché la si intenda secondo la concezione semitica di “sede dei sentimenti e della mente”.
Qui non posso non tornare al passato, ricordando l’antichissimo oracolo di Delfi che diceva: “Conosci te stesso”, un’espressione intesa variamente, ma da cogliere secondo il miglior pensiero greco.
Qualcuno pensa che originariamente significasse: “conosci i tuoi limiti, per non ritenerti superiore agli dèi”. E quindi: “Stai al tuo posto, non sconfinare in ruoli che non sono tuoi”. Perciò: “Conosci chi sei e non presumere di essere di più”. Così andrebbe inteso anche l’altro oracolo: “Nulla di troppo”!”.
Ma Platone, forse ne aveva tutto il diritto, nell’”Alcibiade Maggiore” sostiene che per conoscere adeguatamente noi stessi dobbiamo guardare il divino che è in noi.
Il neoplatonico Plotino ha messo in risalto il precetto di Delfi nella parte delle sue “Enneaidi” che trattava l’antropologia e la psicologia dell’essere umano, e sempre il precetto di Delfi segnava il percorso evolutivo e mistico diretto al congiungimento con la propria essenza divina.
Anche Sant’Agostino ha ripreso il precetto di Delfi con le parole:
“Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas” (“non andare fuori, rientra in te stesso, è nel profondo dell’uomo che risiede la verità”).
Sempre di Sant’Agostino possiamo citare anche queste sue parole:
«Eppure gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti, le onde enormi del mare, le correnti amplissime dei fiumi, la circonferenza dell’oceano, le orbite degli astri, mentre trascurano se stessi».
Sant’Agostino forse senza saperlo richiamava un’avvertenza che secondo alcuni era scolpita sul frontone del tempio di Apollo a Delfi.
«Ti avverto, chiunque tu sia.
O tu che desideri sondare gli arcani della Natura,
se non riuscirai a trovare dentro te stesso ciò che cerchi, non potrai trovarlo nemmeno fuori.
Se ignori le meraviglie della tua casa,
come pretendi di trovare altre meraviglie?
In te si trova occulto il Tesoro degli Dei.
O Uomo, conosci te stesso
e conoscerai l’Universo e gli Dei».
Anche alcuni Padri della Chiesa erano affascinati dell’oracolo di Delfi. Ad esempio Gregorio di Nissa scrive:
«Se vuoi conoscere Dio, devi prima conoscere te stesso: parti dalla comprensione di te stesso, dal tuo modo di essere, dal tuo intimo. Entra, sprofondandoti in te stesso, scruta nella tua anima, per individuare la sua essenza e vedrai che tu sei fatto a immagine e somiglianza di Dio».
Bellissimo l’epigramma che vi propongo, di Pallada d’Alessandria, IV secolo, poeta e grammatico greco antico:
«Di’ un po’: com’è che tu misuri il cosmo e i limiti della terra,
tu che porti un piccolo corpo formato da poca terra?
Misura prima te stesso e conosci te stesso,
e poi calcolerai l’infinita estensione della terra.
Se non riesci a calcolare il poco fango del tuo corpo,
come puoi conoscere la misura dell’incommensurabile?»
La massima venne ripresa nel ‘900 da Herman Hesse, scrittore, filosofo tedesco, naturalizzato svizzero (1877-1962), premio Nobel della Letteratura nel 1946: «La vera vocazione di ognuno è una sola: “conoscere se stessi”.
Quando parlo di queste cose mi lascio andare, e non vorrei mai porre fine citando autori e commentatori soprattutto antichi.
E vedendo l’ignoranza di oggi, e l’imbecillità di chi mi scrive dicendo che sto perdendo il mio tempo parlando di filosofia e di mistica, allora non mi trattengo e dico:
BESTIA SEI E BESTIA RIMARRAI
FINO A QUANDO UN PO’ DI TERRA
NON PORRÀ FINE ALLA TUA VOCE DEMENZIALE.
CREPA E LASCIA IN PACE
CHI VORREBBE VIVERE E FAR VIVERE.
BESTIA SEI!!!
04/03/2023
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