Omelie 2014 di don Giorgio: Terza Domenica di Pasqua

4 maggio 2014: Terza di Pasqua
At 19,1b-7; Eb 9,11-15; Gv 1,29-34
I brani della Messa ci aiutano a riflettere e ad approfondire ciò che per noi può rappresentare Cristo, il cristianesimo e i riti annessi e connessi: pensiamo al battesimo, e soprattutto a ciò che significa per noi e per la Chiesa lo Spirito santo. Non è facile affrontare certi argomenti, ma non possiamo non affrontarli.
Siamo sempre al solito punto: la Chiesa-struttura, diciamo la Chiesa-religione, ha preso lungo i secoli un tale sopravvento su ciò che è l’essenza del cristianesimo che sembra quasi irriverente, irrispettoso, per non dire blasfemo, dover affrontare certi interrogativi. E quando, per fortuna, ci vengono dei dubbi, non ne diamo tanta importanza, oppure ci sembrano dei peccati da confessare.
Che cosa significa battezzare nello Spirito santo? Ecco le parole di Giovanni il Precursore: «Colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo“». Il Battista, dunque, battezzava nell’acqua invitando la folla a convertirsi e a chiedere perdono dei peccati. In altre parole, il battesimo di Giovanni era solo un rito di purificazione, aveva un significato di carattere morale, riguardante cioè il comportamento delle folle che accorrevano a lui. Aveva commesso degli errori, era sulla strada sbagliata? Ecco che, attraverso il rito di immersione nelle acque del Giordano, unitamente al pentimento, suscitato anche dalle dure parole del Battista, il popolo prendeva coscienza e otteneva il perdono di Dio. Ma questo ravvedimento quanto durava? Non penso che ogni qualvolta si commetteva un peccato si tornava al fiume Giordano per farsi di nuovo battezzare. Non c’è nessun rito, presso nessuna religione, che possa cambiare definitivamente la vita a qualcuno. Siamo sempre soggetti a sbagliare. C’è in noi quella tendenza o quella innata inclinazione per cui, come dice San Paolo, vorremmo fare il bene ma poi facciamo il male.
Il battesimo di Gesù non è un rito purificatorio, va ben oltre. Eppure ci hanno sempre insegnato fin da bambini che con il battesimo viene tolto il peccato originale, quando tutti sappiamo che non è così. Sarebbe troppo bello che di colpo, con un rito, venga estirpata per sempre l’inclinazione al male. Ma la realtà che cosa ci dimostra? Che anche i cristiani battezzati hanno continuato a commettere delle nefandezze. La gerarchia della Chiesa si è macchiata nel passato di delitti mostruosi, e tuttora non è che le cose siano del tutto migliorate. E allora, come si può dire che col battesimo viene estirpato il peccato originale? E come si può dire che con il battesimo siamo rinati alla vita divina, siamo diventati figli di Dio, come se chi non è battezzato non fosse figlio di Dio?
Diciamo inoltre che oggi il sacramento del battesimo ha perso anche il suo valore sacramentale: numerosi cristiani fanno battezzare i loro figli (alcuni genitori  perfino se ne dimenticano), ma non si rendono conto del valore del battesimo sacramento. Già all’inizio del cristianesimo, quando il battesimo era amministrato solo agli adulti e non era ancora riconosciuta la confessione individuale, si introdusse l’usanza, tra l’altro duramente condannata da alcuni vescovi, di rimandare il battesimo poco prima di morire, così si pensava di ottenere il perdono di ogni peccato, colpa e pena, per accedere direttamente in paradiso.
Che significa, dunque, che Cristo battezza nello Spirito Santo? Che rapporto c’è tra il battesimo sacramento e lo Spirito santo? Perché la Chiesa ha distinto il battesimo dalla cresima? Sono due momenti da tenere separati come se il battesimo ci dà solo un assaggio dello Spirito santo riservandone la pienezza con il sacramento della cresima? Sono domande che dovrebbero farci riflettere.
Pensate: anche nelle recenti riforme a proposito delle tappe sacramentarie della iniziazione cristiana, lo sforzo di rinnovamento è stato rivolto a stabilire bene i tempi per la preparazione alla recezione dei sacramenti. E poi, che cosa in realtà è cambiato? Non sarebbe forse più importante rivedere tutto il nostro modo di rapportarci con Dio? Ci si lamenta che la fede sta perdendo su tutti i campi, ma il modo migliore per riavvicinare l’uomo a Dio non sarebbe quello di snellire un po’ tutto quel castello istituzionale che ci ha allontanato dal Mistero divino?
Non si deve aspettare l’irrimediabile, ma bisogna prevenire. Prevenire significa cogliere le opportunità per risvegliare la coscienza del Divino in noi. Tutti sappiamo che quando una religione diventa un insieme di istituzioni rituali o formali, o un insieme di rigidi dogmi dottrinali e morali, a rimetterci è il profondo rapporto con Dio. Non abbiamo ancora il coraggio di fare il grande passo: un passo di qualità. Che senso ha, ad esempio, tenere i padrini e le madrine per il battesimo e per la cresima? Perché non toglierli? Mi limito a questo particolare, ma potrei dire di più sulla preparazione e sul rito del battesimo e della Cresima. Quante cose che non vanno!
Eppure basterebbe leggere e rileggere la parola di Dio, senza paura di mettere in crisi le  nostre istituzioni. Si tratta, e questo è un dovere, di restituire al cristianesimo la sua anima. Anche le parole della Lettera agli Ebrei, nel brano appena letto, sono chiare. Si parla di Cristo, il sommo sacerdote universale, non legato alla religione: è in questa Lettera che troviamo l’espressione “secondo l’ordine di Melchisedek”. In altre parole, Cristo è il sommo sacerdote la cui origine risale ancor prima del sacerdozio di Aronne: Melchisedek era un sacerdote e un re pagano. La Bibbia lo presenta come uno senza padre, senza madre, senza genealogia, senza legami di parentela o di tempo, libero da tutto e da tutti, un sacerdote oggi diremmo cosmico. Anche noi preti siamo stati consacrati sacerdoti “secondo l’ordine di Melchisedek”. Ma chi pensa a queste cose? Ed ecco invece che siamo ministri di una religione piena di legami d’ogni tipo.
Inoltre, la Lettera agli Ebrei parla dello Spirito Santo. Ma come intendere lo Spirito di Cristo? Lo Spirito santo ancora oggi ci viene presentato dalla Chiesa come colui che ha preso il testimone da Cristo. Forse le cose stanno diversamente. Non si tratta di due fasi o di due momenti distinti: prima ha agito Cristo, e poi, dopo la sua morte, agirà lo Spirito santo. Non è facile per nessuno entrare nel profondo di questo Mistero divino. Almeno una cosa dovremmo capire: lo Spirito santo ha la missione di approfondire il Cristo storico, di farci rivivere l’incarnazione del Figlio di Dio in tutta la sua novità profetica. Non so se riesco a farmi capire. Tento.
È chiaro che viviamo in questo mondo, e non possiamo fare a meno di qualche struttura. Non siamo puri spiriti. Anche la Chiesa ha bisogno di una struttura, ma il problema è come conciliare la struttura con lo Spirito santo, che è l’anima della Chiesa.
Se proprio vogliamo anche imitare il Cristo storico, i Vangeli ci dicono che egli non aveva un sasso dove posare il capo, non aveva una dimora fissa, era poverissimo, non aveva legami con nessun potere, era libero di parlare, fuggiva da ogni consenso popolare, litigava continuamente con i caporioni, non faceva altro che mettere in crisi la religione ebraica scardinandola nei suoi pilastri (pensate alla legge del sabato e al tempio), infine è stato condannato a morte come blasfemo, come eretico. Ripeto, se la Chiesa vuole proprio imitare ciò che Cristo ha fatto e ha detto, lasciando da parte lo Spirito santo, che almeno sia coerente: sia povera, sia libera di parlare, non cerchi il consenso popolare, non cada negli stessi difetti della religione ebraica ecc. ecc. Ma questo non lo vediamo. C’è nulla o ben poco del Cristo storico nella Chiesa di ieri e di oggi. Ma non è questo il vero problema. Il vero problema è che non potrà mai essere in linea con la radicalità del Cristo storico fino a quando non si lascerà permeare dall’azione dello Spirito santo. Non basta imitare il Cristo storico, scimmiottandolo. È il Cristo nello Spirito che deve animare la Chiesa.
Lo Spirito santo non ha il compito – scusate se insisto – di ripresentarmi, di volta in volta, ciò che Cristo ha fatto o ha detto, anche perché siamo sempre pronti a giustificarci dicendo: quelli di Cristo erano altri tempi, ed è vero! Come del resto, non dobbiamo imitare la vita dei santi alla lettera. Erano altri tempi.
Lo Spirito santo ha il compito di educarci a comprendere che cosa significhi la radicalità del messaggio evangelico, traducendolo nell’epoca presente. Questo è il vero problema, il problema che ad esempio si era posto Papa Giovanni XXIII e soprattutto in modo drammatico Paolo VI: il rapporto col mondo moderno. Non si tratta di arrivare a qualche compromesso, si tratta invece di cogliere nel mondo moderno il bisogno del divino, e da qui partire per un dialogo profondo. Fino a quando la Chiesa si presenterà nella sua presunzione di avere il monopolio della verità, e per di più nella imponenza delle sue mastodontiche strutture, non potrà mai agganciare la sete d’infinito del mondo moderno.
Non è la religiosità da mettere in campo nel dialogo con il mondo moderno: casomai è la sacralità che è in ogni essere umano. Ogni realtà è sacra, ma non necessariamente religiosa, intendendo per religioso ciò che appartiene ad una chiesa o a una confessione religiosa.
Non mi stancherò mai di farvi capire l’enorme differenza che esiste tra religiosità e sacralità. Lo Spirito santo ha il compito di illuminare ciò che è sacro in noi e nel mondo, certamente senza voler distruggere ciò che è religioso, ma nello stesso tempo senza fare della religione lo scopo ultimo della propria fede. La religione è un mezzo, solo un mezzo per raggiungere il sacro che è in noi. Non è l’unico mezzo, o l’unica strada. È proprio il caso di dire: le vie dello Spirito santo sono infinite.

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