Mario Delpini, smettila di prendere per il culo tutti, non risparmiando nemmeno la figura di Carlo Maria Martini! Semplicemente vomitevole!

Mario Delpini,

smettila di prendere per il culo tutti,

non risparmiando nemmeno Carlo Maria Martini!

Semplicemente vomitevole!

Anche se con Mario Delpini ci siamo abituati a tutto, proprio a tutto, sinceramente non mi sarei mai aspettato che arrivasse a tanto. Giudicate voi.
Sabato 27 aprile, alle 9.30, nella sala della Fondazione culturale Ambrosianeum (via della Ore 3), è stato ufficialmente presentato l’VIII e ultimo volume dell’Opera Omnia (ed. Bompiani). Il libro, uscito nello scorso ottobre, è dedicato alle lettere pastorali e programmatiche del cardinale Martini, scritte e pubblicate durante i ventidue anni di episcopato a Milano. Nell’evento – organizzato dall’Arcidiocesi di Milano in collaborazione con la Fondazione Carlo Maria Martini – si è parlato del volume, che raccoglie oltre cinquanta documenti che hanno scandito il cammino della diocesi durante l’episcopato di Martini. Al saluto introduttivo di monsignor Mario Delpini, Arcivescovo di Milano, sono seguite le testimonianze di Francesca Mapelli, don Isacco Pagani e Giusy Valentini. Su «L’attualità dell’immaginazione pastorale del cardinale Martini̇» è intervenuto monsignor Roberto Repole, Arcivescovo di Torino, in dialogo con monsignor Luca Bressan, Vicario episcopale per la Cultura, la Carità e la Missione sociale della Diocesi di Milano. Le conclusioni sono state affidate a padre Carlo Casalone, Presidente della Fondazione Carlo Maria Martini, e a monsignor Franco Agnesi, Vicario generale della Diocesi di Milano.

Ascoltate ciò che ha detto

Sul sito della Diocesi così la giornalista curiale Annamaria Braccini ha riassunto:
«Salvare la figura del cardinale Martini dalla banalità». È questo l’atteggiamento che l’Arcivescovo, nel suo saluto iniziale, raccomanda ai partecipanti al convegno intitolato «Il cammino di un popolo. Riascoltare oggi come il cardinale Martini immaginava la Chiesa di Milano”, che alla Fondazione Ambrosianeum riunisce diverse voci e un pubblico attento e partecipe. Occasione, la presentazione dell’ottavo volume dell’Opera Omnia martiniana, dedicata alla Lettere pastorali e programmatiche di colui che fu, dal 1980 al 2002, indimenticabile Arcivescovo di Milano.
«In questi anni il cardinale Martini è sempre citato come riferimento per tanti discorsi, ma qualche volta ho l’impressione che il suo messaggio, l’intensità della sua lettura della Parola, della situazione milanese, italiana, europea, della situazione della Chiesa cattolica e delle Chiese separate, delle altre religioni – tutta questa ricchezza straordinaria di cultura e di interpretazione – sia ricordata con banalità», nota subito monsignor Delpini che definisce «enigmatiche» due espressioni molto citate del predecessore.
La prima è che «la Chiesa sia indietro di 200 anni». «Indietro a chi e rispetto a che cosa?», si chiede monsignor Delpini, che vede come riduttiva l’interpretazione di tali frasi martiniane e si augura che si possa, invece, «accogliere il significato profondo delle sue intenzioni».
Così anche per l’atra famosa espressione: «La differenza non è tra credenti e non, ma tra pensanti e non pensanti». «Anche questa frase, presa come isolata, mi sembra sconcertante, perché sembra che si possa credere senza pensare e pensare senza credere. Mentre a me pare che il tema della fede e dell’intelligenza, della tradizione cristiana pensosa dell’umano e del divino, fosse uno dei temi cari a Martini». Mentre, l’interpretazione banalizzante di queste parole sembra «giustificare quel pensare che vive senza credere. Altrimenti rischiamo di rinchiudere il cardinale Martini in un’etichetta poco costruttiva». In realtà, «tutti i pensieri sono dentro una fede e occorre interpretare quello che lo Spirito dice alle Chiese oggi. Auguro che questa impresa – la pubblicazione del volume e il convegno – ci aiuti a raccogliere il pensiero, riconoscendone la provocazione per l’oggi e per la riflessione della Chiesa di Milano che è onorata di averlo avuto Pastore per tanti anni, con un’autorevolezza così unanimemente riconosciuta».
Chiariamo. A Mario Delpini era stato affidato il compito di introdurre il Convegno, e quando ho letto la notizia mi ero posta al domanda: “Che avrebbe detto di sincero?”. Conosciamo il divario abissale tra l’autorevolezza, la nobiltà, l’acutezza e il senso pastorale di Martini e la “pochezza” (parola che dice già tutto) di Delpini. Pensavo: “Magari farà qualche slalom speciale, tra il dire e il non dire, con qualche battuta poco felice, e anche ironizzando (ce l’ha nel sangue!)”.
Certo che si può anche fare ironia (anche Dio è ironico, secondo il testo sacro), ma ci vuole intelligenza per non cadere nel ridicolo o nella banalità. Già: banalità! Ecco la parola tirata fuori dal cilindro di una testa che sembra contenere solo “banalità”.
Certo che si può, anche doveroso, soffermarsi su alcune espressioni che girano ovunque, attribuite a Martini, che le avrebbe dette (e magari non sue) in un contesto da chiarire.
Ma era il contesto giusto, introdurre un alto Convegno, puntualizzare anche ironicamente su due espressioni, che hanno fatto parlare il mondo intero?
Invidia, gelosia di Delpini? No! Imbecillità di un vescovo che ha ridotto una diocesi a un rottame di imbecillità pastorali.
Certo, non tocca a me suggerire a un vescovo le parole giuste per introdurre un Convegno su Martini, ma non sarebbero bastate due semplici parole di ringraziamento per quanti si sono impegnati a realizzare l’ultimo volume dell’Opera Omnia, con gli scritti e gli interventi di Martini?
Certo che bisogna “salvare Martini dalla banalità”, ma in una discussione però intelligente, e sarebbe anche il caso di dire: salviamo la diocesi milanese dalla banalità di un vescovo che gira a vuoto nel vuoto pastorale.
Quando chiedo a qualche prete milanese: “Che ne pensi di Delpini?”. C’è chi se ne va senza rispondermi, e c’è chi mi dice: “È fatto così! Evito di sentirlo o di leggere i suoi scritti. Starei male”.
Forse sono fatto a modo mio, ma lo sento, non perché prenda gusto a star male, ma perché spero, spero, spero che possa cambiare per il bene di questa Diocesi. Ma non cambia, anzi peggiora, e allora che dovremmo fare? Fregarcene?

 

 

3 Commenti

  1. Maria Pia Recchia Cardarello ha detto:

    Sembra quasi che voglia dire: “Martini è stato un vescovo dal pensiero banale, sono più bravo io.”

  2. Martina ha detto:

    Si fa fatica a capire certe cose laddove manca chiarezza.
    Si rimane male, specie in chi il Cardinale Martini vive ancora intensamente come don Giorgio.
    Ascoltare Martini oggi ci fa capire la forte attualità delle sue parole e della sua intelligenza, lungimiranza.
    Forse parlare di Martini mettendo in evidenza la paura che possa venire banalizzato da altri…non so quanto sia stato saggio in un contesto come quello svoltosi per presentare la nona opera omnia.
    Avere paura di “banalità”, mi sorge la domanda: perché?

  3. simone ha detto:

    Vero, ha perso un’altra occasione per starsene zitto.
    Forse le parole giuste le trova solo nel ricordare il fondatore di comunione e liberazione, che si sta cercando in tutti i modi di farlo diventare beato (per interesse di molti) mentre un gigante come Martini viene spesso trascurato.
    Credo che il card. Martini non fosse una persona sprovveduta che trovava piacere nello sparare espressione a caso per suscitare scalpore. Sapeva e valutava attentamente le parole da usare in ogni circostanza. Era certo che alcune espressione sarebbero state fraintese, usate e magari pure banalizzate ma ha sentito il bisogno di dirle comunque. Ricordiamo la Parresia di un cardinale che non ha mai giocato a favore del successo personale. Questa altissima onestà intellettuale dev’essere ricordata ogniqualvolta si cita un’espressione del cardinale; che poi i giornalisti usino a loro interesse talune espressioni mi sembra pratica comune. La vera domanda che noi con Delpini dobbiamo porci e se abbiamo integralmente compreso il valore profetico delle parole del card. Martini? Siamo arrivati al livello del suo pensiero o siamo ancora ancorati a terra? L’opera omnia serve certamente a fare memoria e valorizzare un magistero ma permette a noi di provare ad avvicinarci ad un pensiero così alto, nobile e profondo. Ci accostiamo sempre con molta miseria nella speranza di riuscire ad arricchirci un pò. Per me bastava dire questo.

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