L’EDITORIALE
di don Giorgio
Secondo Simone Weil: prima il dovere
Quando parlo di doveri, subito gli italiani pensano alla cinghia da tirare, ovvero ai sacrifici che sono costretti a fare a causa di un governo che non fa altro che aumentare le tasse. Far capire che i doveri non sono questo genere di sacrifici, è veramente cosa quasi impossibile, finché avremo a che fare con un popolo che non sa andare oltre i problemi esistenziali, come se la vita fosse solo di tipo materiale.
A convincermi ancora di più che i doveri precedono i diritti, e che i diritti, se non sono fondati sui doveri, sono fasulli, è stata Simone Weil. Per queste riflessioni mi rifaccio a un articolo di Claudia Mancini.
La filosofa francese ha contestato la nozione di diritto – e quelle collegate di persona e democrazia – negli Scritti di Londra, particolarmente ne La prima radice e ne La persona e il sacro, che appartengono al periodo londinese, poco prima della morte avvenuta nel 1943.
Certo, può sembrare folle mettere in discussione proprio ciò su cui la società occidentale fonda la propria superiorità, cioè i concetti di diritto, persona e democrazia, ma perché non provare a vedere se il pensiero della Weil non contenga verità e soluzioni valide anche per le contemporanee società democratiche?
Erano gli anni in cui i filosofi francesi Maritain e Mounier – nell’Europa sofferente del dopoguerra – si facevano interpreti del “personalismo”, una filosofia politica fondata sulla nozione di “persona”. La Weil, invece, riteneva che le nozioni di “persona” e “diritto” andassero rimesse in discussione. Secondo la giovane filosofa, dalla Costituzione americana e, subito dopo, dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789, gli uomini avevano considerato il diritto e i diritti come fondamento del vivere civile commettendo alcuni errori.
Innanzitutto, argomenta Simone Weil, «un diritto non è efficace di per sé, ma solo attraverso l’obbligo cui esso corrisponde; l’adempimento effettivo di un diritto non proviene da chi lo possiede, bensì dagli altri uomini che si riconoscono, nei suoi confronti, obbligati a qualcosa. Un diritto che non è riconosciuto da nessuno non vale molto».
Il secondo errore, strettamente connesso al primo, è quello di non aver capito che gli obblighi sono superiori ai diritti, perché non si fondano su nessuna situazione di fatto, né sulla giurisprudenza, né sui costumi, né sulla struttura sociale, né sui rapporti di forza, né sull’eredità del passato, né sul supposto orientamento della storia. In altre parole, per la Weil, la nozione di obbligo sovrasta quella di diritto che le è relativa e subordinata. Questa superiorità deriva dal fatto che l’obbligo del rispetto dovuto a ogni essere umano si fonda sull’essenza stessa dell’uomo e sulla relazione con il bene assoluto che lo rende sacro: «C’è nell’intimo di ogni essere umano – scrive la Weil – dalla prima infanzia sino alla tomba e nonostante tutta l’esperienza dei crimini connessi, sofferti e osservati, qualcosa che si aspetta invincibilmente che gli si faccia del bene e non del male. È questo prima di tutto, che è sacro in ogni essere umano».
La Weil ne aveva trovato conferma nell’esperienza di fabbrica: a venticinque anni, fra il 1934 e il 1935, si era preso un “anno sabbatico”, lasciando la scuola e gli studi per entrare come operaia, impiegata alle presse, nell’azienda elettrica Alsthom di Parigi. In questa dura esperienza a contatto con il mondo del lavoro aveva capito una cosa: l’uomo, nonostante fosse ridotto in schiavitù, umiliato nella persona, privato dei diritti, tuttavia custodiva nel profondo del suo essere l’attesa di bene. In palese opposizione con la teoria del “personalismo”, per la Weil «ciò che è sacro ben lungi dall’essere la persona, è ciò che, in un essere umano, è impersonale»: la sua relazione con il bene assoluto, con il trascendente.
Il rispetto può scaturire solo se si è capaci di ascoltare questo grido universale di richiesta di bene emesso dagli uomini, e di avvertire in concreto l’obbligo verso ogni altro simile che ne deriva. Posto il primato del bisogno di bene, come essenza dell’uomo, la Weil propone di elaborare una “teoria dei bisogni”, fatti reali studiabili, e una conseguente Dichiarazione dei Doveri verso l’uomo. Nel suo libro La prima radice, divide tra bisogni fisici e bisogni morali. Tra i bisogni fisici mette: la fame, la protezione contro la violenza, il vestiario, l’igiene, il caldo, l’abitazione e le cure in caso di malattia; e tra i bisogni morali individua quattordici riconducibili a coppie di contrari: libertà e ubbidienza, onore e punizione, ordine e responsabilità uguaglianza e gerarchia, verità e libertà di opinione, proprietà privata e proprietà collettiva, sicurezza e rischio.
La cultura dei doveri, non la rivendicazione dei diritti, avrebbe dovuto ispirare la prassi politica nel raggiungimento del fine suo proprio: il riconoscimento della dignità inviolabile di ogni esser umano. La nozione di diritto è estranea al bene e alla giustizia, non perché è un male in sé, ma perché il possesso di un diritto implica sempre la possibilità di farne un buono o cattivo uso. Al contrario il dovere, il compimento di un obbligo, è sempre e incondizionatamente un bene.
Nelle nostre società occidentali si fa un gran parlare di “diritti della persona”, come fondamento del vivere civile democratico. Sperimentiamo, tuttavia, quanto sia difficile accordarsi sul termine “persona” e sulla nozione di “diritto”; ancor più, è evidente come il principio democratico del suffragio universale, o della dittatura della maggioranza che dir si voglia, non sempre garantisca che nelle nostre democrazie l’ordinamento legislativo e giuridico siano rispettosi dell’essere umano in maniera universalmente condivisa. Nelle odierne società democratiche si avverte la necessità di trovare princìpi e fondamenti più solidi e condivisi da tutti. Simone Weil, in un clima terribile quanto ricco di attese come quello del dopoguerra, proponeva un ripensamento radicale dei princìpi sociali, politici e costituzionali su cui ricostruire l’Europa: spostare l’asse culturale e politico dall’insistenza sui diritti a quella sui doveri, primo tra tutti quello di sentirsi obbligati verso ogni uomo a rispettare il suo grido universale, quanto più la debolezza della sua condizione lo rendesse impercettibile: «Perché mi viene fatto del male?». Questa è la vera domanda, irresistibile e universale, che sta nel profondo del cuore umano.
4 giugno 2016
Questo pensiero di Gandhi penso parli da sé: “La vera fonte dei diritti è il dovere. Se avremo assolti i nostri doveri, non dovremo andare lontano a cercare i nostri diritti. Se correremo dietro ai diritti senza avere assolto i doveri, ci sfuggiranno come fuochi fatui. Se, invece di insistere sui diritti, ognuno facesse il proprio dovere, l’ordine regnerebbe immediatamente tra l’umanità.” Mahatma Gandhi