4 GIUGNO 2023: SS. TRINITÀ
Es 3,1-15; Rm 8,14-17; Gv 16,12-15
Se già è assurdo parlare di Festività a se stanti – pensate al Natale o alla Pasqua o alla Pentecoste, come se fossero Misteri quasi tra loro staccati con celebrazioni liturgiche che rischiano di cadere in strumentalizzazioni più profane che religiose – che dire celebrare una Festività liturgica in onore della Santissima Trinità? Non vorrei sembrare dissacrante, ma ritengo questa Festività liturgica qualcosa davvero di assurdo.
Il Mistero trinitario, a parte la sua singolarità che distingue il Cristianesimo – come rivelazione di Cristo del Padre e dello Spirito santo – dalle altre religioni, assolutamente ignare del Mistero trinitario, preoccupate come sono di salvare un rigido monoteismo, richiede un chiarimento: pur conoscendo ripeto dalla rivelazione di Cristo di un Dio Padre e di un Dio Spirito santo, è del tutto inutile e anche ridicolo, come fanno certi teologi o santi, tentare di capire qualcosa di un Mistero che, in quanto Mistero, resterà sempre al di là della nostra ragione.
Sarebbe anche interessante vedere già nell’Antico Testamento degli accenni o delle allusioni: pensate all’episodio contenuto nel capitolo 13 della Genesi: Abramo si era stabilito nella zona di Ebron presso le Querce di Mamre, ed è proprio là, in quella cornice, che si colloca il racconto della misteriosa visita di tre personaggi. Questo episodio ha avuto una grande risonanza nella storia dell’arte cristiana. Sono numerose, infatti, le opere artistiche che hanno celebrato questo incontro tra Abramo e i suoi tre ospiti. Quanti erano? Tre, due o uno solo? Chi erano? Angeli o lo stesso Signore? Nella narrazione si passa dal plurale al singolare. Tutta la tradizione cristiana, a partire dai Padri della Chiesa, ha colto in questa nuova teofania l’annuncio del mistero della Trinità, la cui rivelazione sarà manifesta solo nel Nuovo Testamento.
Non dimentichiamo che anche il popolo ebraico rigidamente monoteista non permetteva alcuna contaminazione con le credenze religiose dei popoli confinanti, che erano idolatri. L’idolatria era il peccato più condannato dai profeti. L’idolatria era ritenuta una prostituzione, come chi tradisce l’amore per l’unico amato con altri. Per evitare che si mettesse a rischio il monoteismo era proibita ogni raffigurazione di Dio ed era permesso un unico tempio, quello di Gerusalemme. Pensate alla polemica tra gli ebrei e i samaritani che avevano un loro tempio sul monte Garizim.
E come dimenticare il dialogo tra Gesù e la donna di Samaria attorno a quel vecchio pozzo che risaliva al patriarca Giacobbe. Gesù dall’acqua fisica passa a parlare del dono della Grazia e dello Spirito, superando la questione del tempio materiale. «Viene l’ora, ed è questa, in cui né su questo monte (Garizim) né a Gerusalemme adorerete il Padre… Viene l’ora, ed è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità». Parole chiarissime, ma voi pensate che qualcuno le abbia raccolte anche all’interno della stessa Chiesa, che, per il fatto di essere istituzionale, non può che essere idolatra: Dio è quello religioso, ovvero la religione impone il suo modo di vedere Dio, un Dio che per la sua carnalità anche rituale vorrebbe occupare il nostro essere interiore.
Ma se Dio è purissimo Spirito, come può essere un idolo religioso?
Certo, oggi per i credenti non esiste più l’obbligo di un solo tempio: pensate che gli ebrei non hanno più nemmeno un tempio in muratura, distrutto definitivamente dall’esercito romano agli ordini dell’imperatore Tito (70 d.C.), distruzione già predetta dallo stesso Cristo. Noi cristiani abbiamo migliaia e migliaia di chiese, ovunque, in montagna, in collina, in pianura e al mare. E ogni comunità ha una propria chiesa o più chiese: guai a toccarcela, anche se è diventata oggi solo un pretesto per certe celebrazioni sacramentali che ci fanno comodo. Già dire la “nostra” chiesa fa capire tante cose, o quel campanilismo sempre duro a morire anche tra i cristiani, detti cattolici, ovvero universali. Ma in che senso universali? Ma c’è anche chi fa a meno delle chiese, perché oggi si onora Dio anche al mare, in costume adamitico, del resto Dio è senza vestito, nudo perché spirito.
Ma almeno fosse così, ovvero credere in un Dio senza quelle vesti che gli mettiamo noi, con le nostre credenze che impone a Dio condizionamenti a non finire.
I Mistici medievali parlavano di Dio come il Distacco, e per evitare di usare il termine “dio” (in tedesco Gott), quello della religione, parlavano di Deità (in tedesco Gottheit).
Sarebbe interessante fare una carrellata di citazioni tratte dai testi mistici, in cui troviamo parole chiare sulla nudità della Deità. Parlavano di Deus nudus, sine velamine: Dio spoglio di ogni condizionamento, di ogni determinazione, di ogni definizione, in quanto la Deità è pura essenzialità.
Nel capolavoro di Angelus Silesius, “Il pellegrino cherubico”, troviamo questo distico: «Dio è un puro nulla, il qui e l’ora non lo toccano: Quanto più vuoi afferrarlo, tanto più ti sfugge».
Già Meister Eckhart aveva scritto duramente: «Dio è un ente solo per i peccatori».
Per i Mistici medievali di Dio si può dire solo ciò che egli non è, ma nulla di ciò che egli è. E perciò parlavano di teologia “negativa”, nel senso di limitarsi a dire che cosa Dio non è, a differenza della teologia “positiva” che presume di poter affermare che cosa Egli è.
Scusate, ma vorrei anche io azzardare una immagine per sognare quel Mistero divino, chiamato trinitario perché parla di un padre, di un figlio e di quell’amore o bene che li lega eternamente in modo indissolubile.
La Trinità richiama un triangolo: qualcuno che ha una certa età forse si ricorda di quel triangolo, artisticamente anche attraente, magari lavorato a mano, che si posizionava come sfondo quando si esponeva il Santissimo sull’altare maggiore.
Un triangolo ha tre punte o angoli che spezzano quella circolarità, entro cui immaginiamo si muova il Mistero trinitario. Un Mistero che non può essere spezzato da angoli acuti.
Il cerchio è l’immagine migliore per pensare al Mistero trinitario. Il cerchio è una infinità di punti che si sciolgono l’uno nell’altro ininterrottamente.
Quando penso a Dio lo penso in un cerchio, ma il cerchio sembra chiuso, ma a chi è fuori del cerchio. Ma per chi è nel cerchio, tutto scorre nell’Eternità, senza discontinuità.
Poco fa parlavo dei Mistici che parlavano di Deità, nuda Deità, senza veli, senza condizionamenti religiosi. E la religione impone un suo dio, che è idolo o immagine di se stessa. Ogni idolo richiede rivestimenti o attrazioni particolari per catturare la buona fede dei credenti. La Deità dei Mistici è pura essenzialità. Paradossalmente possiamo dire che i Mistici sono gli atei più convinti, se la parola a-teo significa “senza dio”, senza il dio religioso. E allora capiamo la preghiera di Meister Eckhart: “Prego Dio che mi liberi da dio”.
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