Quel sindaco di Pescate… che “pesca” nel torbido di un razzismo indegno di un sindaco istituzionale

Quel sindaco di Pescate…

che “pesca” nel torbido di un razzismo

indegno di un sindaco istituzionale

Forse dire: “Non ho parole!”, non basta più. È un modo pilatesco di lavarsene le mani, tanto… cosa cambia, anche se prendo un fucile con pallottole di zucchero e gli sparo nel culo!
Nulla cambia, è vero.
Perciò stiamone zitti, e lasciamo che sindaci idioti e farabutti facciano ciò che vogliono, stracciando la Carta costituzionale, e facendo del bene comune un rotolo di carta igienica che va bene per pulirsi delicatamente il culo sporco di merda.
Sono brianzolo doc, ma ho avuto la fortuna di uscire, già da ragazzino, da queste zone dalla mente ristretta, per entrare nel Seminario di San Pietro Martire, Seveso, dove, con una disciplina durissima che mi è servita per formarmi il carattere e quel senso del dovere che mi è rimasto appiccicato fino a 80 e più anni, a contatto con altri ragazzi provenienti da paesi diversi iniziai ad aprire gli occhi, anche con un insegnamento scolastico che in breve riempì quel vuoto culturale a causa di un insegnamento elementare ciclico, caratteristico dei piccoli paesi di allora.
E così passai poi a Venegono inferiore, Varese, altro ambiente “aperto” al pluralismo, fino a quando, ordinato sacerdote, mi hanno spedito a fare il prete di parrocchia prima a Introbio, in Valsassina, poi a Cambiago, vicino ad Agrate, poi a Sesto San Giovanni, poi in due paesi della Bassa milanese, vicino a Melegnano, e poi a esercitare variate esperienze pastorali, anche nel campo editoriale.
Rifiutavo di tornare anche solo per qualche istante in Brianza, nel mio piccolo paese, dove ero nato, nel 1938, a Santa Maria di Rovagnate. Motivo? Quasi presagendo che sarei stato male, per quell’aria asfissiante e di chiusura, che non ti permette di respirare aria di libertà.
Poi successe l’imprevedibile, ovvero che, dopo diverse disavventure, con lati anche positivi, il cardinale Carlo Maria Martini mi inviò nella Comunità Sant’Ambrogio in Monte di Rovagnate, allora non più di 600 parrocchiani. E qui iniziò non dico una seconda vita, ma un’ulteriore vita, per il motivo che ovunque andavo per me era una nuova avventura, in crescendo, anche a contatto con gente diversa, culturalmente sempre arricchente.
Quando andai a Monte non mi lasciai per nulla chiudere in un paese già geograficamente protetto e isolato e con mentalità ristretta, soprattutto tra i giovani a dir poco deprimenti per di più con l’arroganza di escludere chi veniva a portare aria nuova.
I primi anni mandai giù più di un rospo, anche se, dentro di me, era già pronto il contrattacco, usando però quella tattica che ha sempre caratterizzato il mio modo di fare nel campo pastorale: aspettare e poi dare il via, mettendo la prima, la seconda… la quinta marcia, e allora più nessuno mi avrebbe fermato.
Quanti anni erano passati da quando lasciai Perego per entrare in seminario, fino a quando, lasciata finitamente la casa in affitto (i miei genitori sono morti senza avere la soddisfazione di avere un appartamento di loro proprietà) per trasferirmi a Introbio? Più di trent’anni!
E voi pensate che in trent’anni qualcosa si era mosso in questi paesi che sembrano ancora oggi attaccati a una visuale talmente retrograda da scoraggiare qualsiasi spirito libero che vorrebbe almeno aprire un po’ la porta o la finestra?
A Monte successe ciò che successo, ed è ancora sotto gli occhi di tutti: basta aprire internet e si leggono decine e decine di articoli che riguardano le mie battaglie.
E voi che cosa pensate, che i superiori mi abbiano costretto a lasciare Monte, con la scusa dell’età, forse perché ero un pedofilo? Forse se avessi rovinato qualche bambino, sarei rimasto ancora a Monte.
Ma ciò che ha sempre fatto tremare la Chiesa istituzionale è sempre stato il “pensiero” degli spiriti liberi.
E non è che gli spiriti liberi in questi paesi siano costretti a tacere: no, il problema è che di spiriti liberi esistono pochissimi, sono una rarissima eccezione, e questi pochissimi vengono emarginati o dall’ambiente ecclesiastico o dagli stessi enti amministrativi o statali.
Vorrei far notare una cosa che ritengo interessante, e da approfondire.
Tranne casi eccezionali, i nostri amministratori locali con in testa il sindaco vengono dalla Brianza, e perciò sono figli di mentalità chiuse, mentre i preti e i parroci, pur venendo da fuori, perciò anche con mentalità aperte, ma appena si insediano in questi piccoli paesi, per evitare storie se ne stanno zitti, adeguandosi alla gente con la testa fasciata.
Via da Monte (compiuti i 75 anni canonici, una legge rigidamente applicata solo per il mio caso), i superiori credevano di punirmi facendomi morire “dentro”, isolandomi del tutto.
Ma non tutto il male viene per nuocere. Non solo non uscii dalle competizioni politiche ed ecclesiastiche, ma, con la scoperta della Mistica medievale, mi rianimai a tal punto da voler spaccare la testa a tutti, naturalmente ai farabutti che sono ovunque, anche nel piccolo dei nostri paesi, dove puoi trovare anche brave persone (ognuno però a casa sua), ma anche tanta zizzania da attecchire anche nelle nostre chiese o nei nostri ambienti parrocchiali.
E ora veniamo al dunque.
Attualmente in questi paesi brianzoli, vedo in particolare due sindaci fuori di ogni controllo anche mentale: il sindaco di Santa Maria Hoè, Efrem Brambilla, e il sindaco di Pescate, Dante De Capitani (non è un mio parente).
Per ora mettiamo da parte il sindaco, problema psichiatrico, di Santa Maria Hoè: vorrei fare una qualche semplice considerazione sul sindaco di Pescate, altro caso patologico.
Il vero problema è un cervello talmente chiuso da non far sperare nulla di buono per il futuro del suo paese, Pescate, che lui dice di voler difendere dagli assalti selvaggi degli extracomunitari.
Che occorra riflettere seriamente sul fenomeno migratorio, siamo tutti d’accordo, ma è quel rifiuto a priori all’accoglienza che veramente mi fa incazzare.
No, no, no a tutto! Dante De Capitani, appena sente parlare di immigrazione, sta male, rivela di essere un poveraccio mentalmente parlando.
No, Pescate deve essere protetto, e il paese diventerà una terra di nessuno, un deserto sterile e spero che i cittadini si ribelleranno a un sindaco demente.
Il tempo poi farà la sua parte. A breve, il castello di paure e di chiusure del sindaco crollerà miseramente.
Oggi è ridicolo, è da idioti volere chiudere le porte del paese.
L’atteggiamento politico di Dante De Capitani è da condannare anche dal punto di vista giudiziario. Mettetelo in galera!
Mi hanno condannato per una parolaccia, e tu, Dante, te la cavi solo perché fai il pagliaccio, vai sui giornali, e tutti ridono, e la cosa finisce nel nulla.
Non pensare che me ne starò zitto, ti combatterò finché resterai sindaco di Pescate.
Sì, è vero, non sono per fortuna o per sfortuna un tuo cittadino. Se fossi parroco di Pescate, ti avrei distrutto in cinque minuti.
Ma non sopporto che la figura del sindaco sia sporcata da un pezzente che fa il sindaco disonorando la categoria degli amministratori che hanno assunto la carica per amministrare il paese in vista del bene comune.
E il bene comune è tutto ciò che apre alla universalità di Valori che fanno parte dell’essere umano, e l’essere non è una razza, una etnia, un privilegio occidentale.
E a soffrire per la tua chiusura mentale e politica è soprattutto il paese di Pescate.
Sì, a dover soffrire aria di libertà sono proprio i tuoi cittadini, caro sindaco, che tu vorresti difendere a tutti i costi dall’arrivo degli immigrati, non importa chi siano.
La tua non è Politica, è semplicemente un cervello che non funziona.
***
dal Corriere della Sera
02 giugno 2023

Il sindaco di Pescate vuole assumere

gli agenti di Milano indagati perché

hanno manganellato una donna transessuale:

«Voglio gente risoluta»

di Alessio Di Sauro
Dante De Capitani si è autoproclamato «lo sceriffo»: da un anno e mezzo pattuglia il territorio con il suo pitbull. «Se gli agenti hanno ritenuto di alzare i manganelli, avranno avuto i loro buoni motivi»
Vigili «risoluti» cercansi. «Se non li vogliono loro, ce li prendiamo noi». È l’appello di Dante De Capitani, sindaco di Pescate, duemila anime in provincia di Lecco, che tende la sua mano nei confronti degli agenti della polizia municipali rei di avere picchiato Bruna, la donna transessuale colpita a manganellate davanti all’università Bocconi e ora indagati. «Un fatto grave», aveva commentato il sindaco di Milano Beppe Sala:. Non la pensa così il suo omologo pescatese, che vorrebbe ora risalire ai nomi dei quattro agenti coinvolti per offrire loro un impiego part time nel proprio Comune: «Hanno fatto bene – chiosa – li vorrei assumere».
Sessantaquattro anni, al suo terzo mandato, De Capitani si è autoproclamato «lo sceriffo»: e in effetti in più occasioni ha metaforicamente esibito la stella appuntata sul petto in luogo della fascia tricolore del primo cittadino, come quando decise di scendere in strada con il suo pitbull di un anno e mezzo per pattugliare personalmente il territorio grazie a ronde notturne. «Quegli agenti sono stati determinati, proprio come piace a me».
Sindaco, perché vorrebbe arruolare quegli agenti?
«Semplice, perché si sono comportati da veri uomini d’ordine. Voglio gente decisa, risoluta. Hanno dimostrato fermezza».
Alla faccia della fermezza.
«Mi sono stufato di vedere agenti che “calano le braghe” in situazioni di emergenza per non avere problemi. Servono ordine, disciplina».
Colpire ripetutamente una persona a terra durante un fermo è disciplina?
«Se gli agenti hanno ritenuto di alzare i manganelli avranno avuto i loro buoni motivi. Le forze dell’ordine devono portare ordine, lo dice la parola stessa».
La donna però dopo non è stata arrestata.
«Il caso nel dettaglio non lo conosce nessuno, ma se è vero che aveva disturbato dei bambini si è meritata le botte».
Come vorrebbe arruolare questi vigili? Serve un bando?
«Non è necessario, basta un contratto di collaborazione che consenta di prestare un servizio in altri Comuni. Otto, dieci ore alla settimana sarebbero sufficienti. Lo abbiamo già fatto. Ma per contattarli dovrei sapere i loro nomi».
Quanti vigili avete?
«Due fissi, cinque in prestito part time da altre città. Però voglio un presidio più capillare del territorio. Voglio agenti risoluti senza paura. Loro sarebbero perfetti».
Avete un’emergenza sicurezza?
«No».
E allora a che le servono più vigili?
«A prevenire. E poi a garantire la sicurezza ci penso anch’io, in prima persona».
Scusi?
«Faccio le ronde col mio cane. È un pitbull, ed è territoriale, sfido chiunque ad avvicinarlo».

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