Omelie 2021 di don Giorgio: SESTA DOPO PENTECOSTE

4 luglio 2021: SESTA DOPO PENTECOSTE
Es 3,1-15; 1Cor 2,1-7; Mt 11,27-30
Tra mito e realtà
Il primo brano della Messa è forse una delle pagine più suggestive dell’Antico Testamento. Si parla di un mitico personaggio, Mosè, e si parla di un mitico monte, il cui nome è Oreb, che richiama mitici profeti, pensiamo a Elia.
Già dire “mitico” non ci porta tanto a qualcosa di leggendario, nel senso di fantasioso, di inventato, ma a personaggi e a eventi che hanno rappresentato le origini di un popolo, che si fanno risalire alla stessa Divinità.
Ogni popolo ha una propria storia da rivendicare, e la rivendica nel migliore dei modi, dando ai personaggi storici quel senso di eroico o di straordinario o di eccezionale che vorrebbe competere con le origini delle altre popolazioni.
E talora si cade anche in contraddizioni che poi la stessa storia non perdona. Se anticamente era o poteva essere una buona idea rivestire certi personaggi storici con armature militari, come se fossero grandi condottieri alla conquista di terre vergini e anche spargendo sangue distruggendo popolazioni straniere, il cui unico difetto era quello di risiedere in luoghi sbagliati, non credo che oggi approveremmo queste enfasi guerriere.
Quindi, ogni popolo rivendica una propria storia, rendendo mitiche le origini, tanto più che, con il passare del tempo, le origini vengono fatte risalire a tempi sempre più lontani, e quindi sempre più mitici.
Soffermiamoci sul primo brano.
Mosè, Oreb…
Dunque, un personaggio mitico, Mosè, e un monte mitico, l’Oreb. Ogni personaggio mitico è legato a una montagna mitica, ovvero che richiama Dio nella sua inaccessibilità. Egli scala la montagna, ma fino a un certo punto. Oltre non può andare.
Certo, ogni montagna ha un suo fascino, tanto più se è impegnativa, dura da scalare. Il rischio c’è, ed è l’attrazione degli scalatori più esperti. E la cosa paradossale è questa: si va a scalare una montagna che richiede tutta una preparazione tecnica e anche costosa, si arriva in cima, si dà un’occhiata al panorama, e di nuovo si scende in valle. Come prima.
Nella Bibbia la montagna rappresenta sempre qualcosa di inaccessibile: rappresenta Dio l’inaccessibile nel suo Mistero infinito. Più si sale e ci si avvicina a Dio, più Dio sembra sfuggire ad ogni nostro tentativo di raggiungere la vetta, che è Dio.
I Mistici sentivano i brividi dell’Infinito. E svenivano. Forse noi no, dal momento che di Dio ci interessa solo l’apparenza di un idolo manufatto.
Roveto ardente
Sempre nel primo brano si parla di un roveto e di una fiamma di fuoco. Una fiamma che non consuma il roveto. Brucia, e non si consuma.
Il roveto rappresenta l’essenziale. L’essenziale consuma ciò che è inutile, ma non in quanto roveto che illumina. Più è essenziale, più il roveto è fiamma che illumina. Fiamma di fuoco, perché purifica ciò che non è essenziale.
È evidente nel testo sacro la simbologia del roveto ardente: è il Mistero divino, nella sua inaccessibilità, proprio nella sua essenzialità.
È anche evidente che ogni immagine dà una certa idea di ciò che essa rappresenta. Ma nessuno può negare che il roveto ardente sia una immagine molto suggestiva. Ma bisogna anche andare oltre l’immagine: ci si avvicina a Dio spogliandoci di tutto, di ogni nostra idea di Dio, di ogni immagine. Proprio per questo nell’Antico Testamento erano proibite le immagini. Dio non vuole immagini di se stesso. Ogni immagine è una falsificazione del vero Dio. Qui potrei aprire una lunghissima parentesi sull’arte cristiana.
«Non avvicinarti oltre!»
Dio ordina a Mosè: “Non avvicinarti oltre!”. In tutto c’è un limite oltre il quale non si può andare. Un professore di seminario ci diceva sempre: ogni scienza deve capire i propri limiti, e non andare oltre. Questo vale soprattutto nel campo della fede. Dio ci dice: “Fèrmati! Non oltrepassare i tuoi limiti di creature!”.
Più ci avviciniamo alla Verità, più scopriamo che la Verità è infinita. Conoscere i propri limiti non significa restare ignoranti. Un conto è la conoscenza, un conto è la fede. La Fede va oltre la conoscenza: ci mette in contatto con Dio per via della Mistica o della contemplazione. Di Dio non conosciamo nulla, ma possiamo contemplarlo.
“Togliti i sandali dai piedi”
Dio dà un altro ordine a Mosè: “Togliti i sandali dai piedi”. E aggiunge anche il motivo: “perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». Come si vede, ogni ordine di Dio è negativo: “non avvicinarti oltre”, “togliti i sandali dai piedi”. Di fronte al Mistero divino non dobbiamo fare un passo in più, dunque fermarci al momento giusto, spogliarci delle nostre pretese, dei nostri pregiudizi, delle cose inutili. Tutto ciò che è santo richiede da parte nostra una purificazione, rinunciando a ciò che rende carnale il mondo dello spirito.
Se noi cristiani avessimo un po’ più di rispetto per i luoghi santi! Ogni luogo sacro richiede un certo decoro, in tutto, anche nel vestito. Certo, ogni luogo esige un certo decoro. Ma i luoghi sacri, perché profanarli con una tale leggerezza da dubitare della fede dei cristiani?
Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!».
Mi sono già soffermato altre volte sulla definizione che Dio dà di se stesso a Mosè: ”Io sono colui che sono”. Alcuni parlano di una definizione filosofica, altri si soffermano sulla presenza di Dio accanto al suo popolo: “Io sarò con te”. In ogni caso, va sempre detto e ripetuto che Dio è purissimo spirito.
Al di là di certe parole che possono anche non rendersi comprensibili all’uomo carnale come la parola “essere”, credo che almeno la parola “spirito” possa dire qualcosa di diverso dalla parola “carne”. Anche qui forse la carnalità ha preso così tanto l’uomo moderno che difficilmente riuscirà capire che è fatto anche e soprattutto di spirito.
Lo spirito è ciò che siamo. Dio ha detto: “Io sono colui che sono”. Così anche noi dovremmo dire: “Io sono colui che è”. La carta d’identità che abbiamo in tasca riguarda gli aspetti carnali. La vera carta d’identità è invisibile. C’è scritto: “io sono spirito!”. Già, è invisibile! Non possiamo mostrarla a nessuno. Ma tutti potranno capire che siamo spirito dal nostro modo di pensare e di agire.

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