Sua Eccellenza,
quando mi chiederà scusa
per tutto il male che Lei mi ha fatto?
No, non vorrei sembrare vendicativo: uno che, prima di esalare l’ultimo respiro, vorrebbe antipare il giudizio di Dio sui propri “nemici”, numerosi come le stelle del cielo.
Le persone che mi hanno denigrato e fatto del male sento il dovere di denudarle. Senza pietà. Chiedo solo che mi chiedano scusa.
Don Carlo Roberto Maria Redaelli è stato, tra l’altro, Vicario Generale della Diocesi milanese, quando era arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi.
Te lo ricordi, oppure te ne sei dimenticato?
Attualmente, oltre che arcivescovo di Gorizia, sei anche Presidente della Caritas italiana. Già la parola “caritas” richiama qualcosa, che, se non mi sbaglio, riguarda anche i rapporti umani con gli altri.
In questo momento, penso ai rapporti umani che hai avuto con me, che di umano avevano ben poco, perché, con il Codice in mano (ti chiamavo volentieri “Monsignor Diritto Canonico”), mi giudicavi come facevano gli scribi e i farisei con Gesù Cristo.
Non me ne perdonavi una.
Avevo l’impressione che ci prendevi gusto a colpirmi con il tuo Diritto canonico sempre tra le mani, che sfogliavi e sfogliavi fino a quando non trovavi un codicillo, magari scritto in piccolo, che però ti poteva servire per mandarmi qualche lettera di minaccia.
Forse non ti ricordi, ma quante volte mi hai mandato i tuoi strali, pur sapendo che l’arcivescovo, Dionigi Tettamanzi, con me chiudeva un occhio.
E il colmo è stato nell’ultimo incontro che ho avuto con il cardinale Tettamanzi, verso la fine di aprile del 2011, pochi mesi prima che lasciasse la Diocesi. Chiesi almeno un quarto d’ora di colloquio privato con il cardinale, che ancora oggi ricordo con piacere, poi sei entrato in studio tu con il vicario episcopale della zona di Lecco, e hai fatto di tutto per ridurmi a pezzi.
Tu con un fare da inquisitore mi hai giudicato come uno da mandare al rogo, e, dopo qualche giorno, mi è arrivato una letteraccia con vergognose restrizioni.
Vorrei ricostruire un pezzo di quel periodo.
Dal mio libro autobiografico:
“Da Introbio a Monte di Rovagnate, sei esperienze indimenticabili dal 1963 al 2013.
per leggerlo clicca
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Ogni volta che attaccavo Berlusconi (ma anche la Lega Nord, la Chiesa, Comunione e Liberazione), mi ritrovavo sul bordo del precipizio. C’era sempre qualcuno che si indignava, che scriveva al cardinale Tettamanzi per chiedere la chiusura del sito e la sospensione dalle mie funzioni di sacerdote. Comunque, andavo avanti imperterrito per la mia strada.
Nella primavera del 2011, il vescovo di Milano, fino a quel momento comprensivo e morbido nei miei confronti, mi chiedeva moderazione e continenza (almeno davanti ai giornalisti).
Il 6 aprile è il giorno della prima udienza, al tribunale di Milano, del processo Ruby, che vede coinvolto il premier Berlusconi. “Exit”, il programma condotto su La7 da Ilaria D’Amico, quella sera dedica ampio spazio alla notizia e indaga soprattutto sull’atteggiamento (spesso imbarazzato) del Vaticano davanti ai comportamenti privati di Berlusconi. Durante la puntata va in onda un’intervista da me rilasciata, che era stata registrata a Monte, nella canonica.
Voglio fare un doveroso chiarimento di tutta la faccenda. Giorni prima, ero stato contattato da un giornalista della redazione di “Exit”, per un incontro. Durante l’intervista, che era durata più di un’ora, avevo parlato un po’ di tutto, rispondendo a numerose domande. Accusavo la Chiesa di essere troppo moderata e accomodante con Berlusconi, che si era circondato di “donnette”, per non usare un’altra parola, facendo anche alcuni nomi.
Certo, La7 non poteva trasmettere per intero l’intervista. Mandò in onda, per la durata di soli cinque minuti, una specie di collage di domande e di risposte intercalate da battute spontanee, concludendo con alcune mie espressioni ad effetto: «Io non trovo qualcosa di positivo in Berlusconi. Politicamente è impossibile eliminarlo, ha troppi soldi. E allora? Prego che gli venga un ictus».
Sì, questa frase l’avevo detta, ma avevo chiamato Berlusconi “porco” e “criminale”, auspicando in breve tempo la sua eliminazione, non fisica ma politica. Inoltre, gli avevo augurato di non morire subito, ma di soffrire a lungo, di quella stessa agonia riservata a Eluana Englaro, che il suo governo non avrebbe mai voluto interrompere. Ma niente di tutto questo era stato trasmesso.
Pochi giorni dopo l’intervista a “Exit”, esattamente il 12 aprile, ho l’occasione di esprimere ulteriormente il mio pensiero. Vengo chiamato al telefono da Giuseppe Cruciani, conduttore del programma di Radio 24 “La Zanzara”, e in diretta annuncio: «Sul mio sito recentemente ho scritto: “Datemi una pistola e un euro e vi sistemo il Paese”. Un euro serve per accendere una candela alla Madonna per darmi la forza di prendere bene la mira e far fuori Berlusconi».
Giuseppe Cruciani esita, non crede alle sue orecchie e inizia un serrato dialogo con me.
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Cruciani: Lei sarebbe disposto a prendere una pistola e ammazzare Berlusconi?
Don Giorgio: No, perché se lo uccidessi diventerebbe un martire, un simbolo.
Cruciani: Sta parlando sul serio? Solo per questo non lo farebbe?
Don Giorgio: Sì, perché poi ogni paese d’Italia avrebbe una statua di Berlusconi […] Poi avremmo anche le immaginette sacre per invocare la grazia a Berlusconi.
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Naturalmente le mie erano solo provocazioni, magari forti, politicamente scorrette. Era ovvio che non avrei mai messo in pratica le mie parole, che avevano il solo scopo di risvegliare le coscienze. Anche se, va precisato, la stessa dottrina della Chiesa nel Medioevo giustificava il tirannicidio per il bene della comunità.
San Tommaso aveva scritto: «Colui che allo scopo di liberare la patria uccide il tiranno viene lodato e premiato quando il tiranno stesso usurpa il potere con la forza contro il volere dei sudditi, oppure quando i sudditi sono costretti al consenso».
Giovanni di Salisbury, filosofo, scrittore e vescovo cattolico inglese, nel 1159 sosteneva nel “Policraticus” che «non soltanto è permesso, ma è anche equo e giusto uccidere i tiranni, poiché chi si appropria della spada merita di perire di spada».
Ho solo citato due casi tra i tanti all’interno della Chiesa.
Le due interviste misero in grande difficoltà la curia milanese e in particolare il cardinale Tettamanzi. Molti fedeli scrissero al vescovo chiedendo di rimuovermi dall’incarico.
Venerdì pomeriggio 15 aprile (tra l’altro poche ore dopo l’uccisione di Vittorio Arrigoni) giunge a Monte monsignor Bruno Molinari. Mi avverte di presentarmi il lunedì seguente in curia, dal vicario generale della diocesi, Carlo Roberto Maria Redaelli, altrimenti…
A quel punto lo interrompo bruscamente: «Altrimenti… che cosa? Non ho alcuna intenzione di presentarmi in curia: lunedì inizia la Settimana Santa e non ho tempo da perdere!».
Il vicario prova a ribadire il concetto, ma lo fermo un’altra volta e gli dico: «E allora mi auto-sospendo dalle mie funzioni di sacerdote. Domani, sabato pomeriggio, mandi qui un prete a dire Messa al posto mio e trovi un sostituto per le funzioni della Settimana Santa!».
A quel punto Molinari se ne va, ribadendo che il vicario generale mi avrebbe mandato una raccomandata.
Incazzato nero, scendo in chiesa per la Via Crucis dei ragazzi e, davanti alla popolazione, ragazzi compresi, sfogo tutta la mia rabbia annunciando o, meglio, urlando pubblicamente di essermi auto-sospeso.
Aggiungo un particolare. Di ritorno da Perego, dove ero andato a cenare da mia sorella, girando per entrare in cortile della canonica, non mi ero accorto che i pistoni non erano del tutto scesi. Andai a sbattere contro, rovinando l’auto, ma soprattutto… i pistoni, che porteranno quei segni per diversi anni, come testimonianza di quel giorno!
Mantenni la parola. Non mi recai in curia, e fino a mercoledì non celebrai più Messa. Poi, per senso di responsabilità verso la mia comunità, decisi di riprendere il mio incarico, almeno fino a Pasqua.
Intanto, la raccomandata del vicario generale, Carlo Roberto Maria Redaelli, era in viaggio.
Il postino me la consegna, verso mezzogiorno del Venerdì santo. Come si poteva far arrivare una comunicazione del genere in un giorno così particolare, quello del sacrificio di Cristo sulla croce?
Il vicario generale mi intimava di andare a Milano subito dopo Pasqua, altrimenti avrebbe preso seri provvedimenti disciplinari. A quel punto, accetto (per evitare la sospensione a divinis) ma a una sola condizione: poter parlare prima con Tettamanzi. Il cardinale fa sapere di essere disponibile ad incontrami. Il 28 aprile avviene l‟incontro, in arcivescovado. Il colloquio col cardinale è molto cordiale, durato un quarto d’ora, senza mai entrare nel merito della questione Berlusconi. Ad un certo punto Tettamanzi va a chiamare il vicario generale e il vicario episcopale della zona lecchese, e li fa parlare davanti a me e a lui. Non mi aspettavo una mossa simile. Questo giocò a mio favore. Infatti ogni volta che il vicario generale cercava di attaccarmi, Tettamanzi interveniva e faceva da paciere. Alla fine del colloquio, però, il vicario generale pretende che vengano messe per iscritto una serie di paletti, per evitare in futuro altri problemi alla curia. Ai primi di maggio, dopo l’amministrazione della Cresima in parrocchia, Bruno Molinari mi consegna una lettera, dicendomi semplicemente: «Come d’accordo».
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ARCIDIOCESI DI MILANO
ZONA PASTORALE TERZA – LECCO
IL VICARIO ESPISCOPALE
Al reverendo sacerdote
DONGIORGIO DE CAPITANI Monte di Rovagnate (Lc)
E per conoscenza a:
Sua Eminenza card. Dionigi Tettamanzi
Sua Eccellenza mons. Carlo Redaelli
Caro don Giorgio, dopo l’incontro di giovedì scorso 28 aprile a Milano con l’Arcivescovo, col Vicario Generale e col Vicario Episcopale di Zona, come d’accordo metto per iscritto e mando un sunto delle considerazioni e degli impegni scaturiti dal confronto che mi è sembrato sostanzialmente chiarificatore, sereno e proficuo.
In sintesi si è convenuto sulla opportunità e anche sulla concreta disponibilità da te dichiarata:
a) a non rilasciare interviste a giornali, radio, televisioni o altri media onde evitare le strumentalizzazioni e i facili travisamenti che spesso sono avvenuti in passato nei tuoi confronti;
b) a usare nei tuoi interventi e nei tuoi scritti, sia in parrocchia, sia sul tuo sito internet, un linguaggio misurato e rispettoso che eviti espressioni e immagini sconvenienti o comunque non consone al tuo essere sacerdote
– che possano dare motivo di scandalo a credenti e non, in particolare alla fede dei piccoli e dei semplici
– che possano creare difficoltà alla Chiesa o arrecare danno all’immagine dell’Arcivescovo;
c) di mantenere un certo riserbo sui contenuti del colloquio da te avuto prima con l’Arcivescovo e poi allargato al Vicario Generale e al Vicario di Zona e di conseguenza anche su questa mia lettera.
Ovviamente la non osservanza di queste norme di “autodisciplina” metterà il Vescovo in condizione di richiamarti, di prendere ulteriormente distanza dalle tue esternazioni e di assumere provvedimenti più restrittivi.
Ti saluto cordialmente e con spirito fraterno
don Bruno Molinari
vic. episc. Lecco, 01 maggio 2011
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Questo è stato l’ultimo intervento di Carlo Roberto Maria Redaelli, come suggello di tutta una serie di richiami, di controlli, ecc. ecc.
Non ho mai visto nel Vicario Generale un segno di quella paternità o maternità, secondo lo spirito evangelico.
Brutto, veramente brutto avere un Superiore che fa da cane da guardia per proteggere che cosa? La legge! E quale legge?
Quella del Diritto canonico!!!
Ma Cristo non si era scagliato contro il fariseismo?
Ora che sei Presidente della Caritas italiana, applichi ancora la legge per la legge coi poveri e i miseri?
Sono convinto che anche allora avevi un cuore non di pietra ma di carne, però mi sto chiedendo come ci si possa castrare, quando si ha una certa autorità addosso.
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da AVVENIRE
26 giugno 2021
Caritas.
«Accogliere, assistere, prendersi cura.
Un metodo valido per altri 50 anni»
Paolo Lambruschi
Il presidente di Caritas Italiana, Redaelli: le parole del Papa sono state di grande incoraggiamento per noi e di prospettiva per il futuro. Ora è tempo di fare spazio a molti nuovi volontari giovani
«Le parole del Papa sono state di grande incoraggiamento per noi e di prospettiva per il futuro. Le testimonianze bellissime da tutta Italia ci hanno mostrato una Caritas davvero innovativa e capace di rispondere ai bisogni dei poveri e di coinvolgere le persone».
Dopo l’udienza per i 50 anni l’arcivescovo di Gorizia e presidente di Caritas Italiana, Carlo Roberto Maria Redaelli, prova a guardare avanti, al tempo difficile che arriverà.
Cosa emerge dai racconti dai territori?
Il volontario della Caritas non è solo qualcuno che dona al povero, ma è chi dagli ultimi riceve e impara. E chi offre il proprio tempo cresce nella sensibilità e nella carità .Vede nel povero il volto di Cristo e questo cambia anche i cuori di chi svolge volontariato. Questo è un messaggio bellissimo. Certamente c’è poi un’assistenza concreta ai poveri che si sa adattare ai mutamenti, come abbiamo visto anche in questi mesi di pandemia, ma va sempre caratterizzata da un’attenzione alla persona da accogliere in quelli che abbiamo chiamato centri d’ascolto e non di assistenza.
Sono ancora attuali le intuizioni di mezzo secolo fa di Paolo VI e del primo presidente della Caritas don Giovanni Nervo?
Sì, perché la Caritas italiana nasce da intuizioni incredibili. Paolo VI intuì l’importanza di creare un organismo che non fosse solo assistenziale, ma che svolgesse anche una attività di promozione umana di carattere pedagogico per far crescere la testimonianza della carità nelle comunità locali. Dal canto suo, don Nervo non solo ascoltava e amava i poveri, ma sapeva studiare il fenomeno povertà. Sapeva che occorre fare ricerca e la Caritas per questo continua ad essere attenta alla realtà, per conoscere le dinamiche e le cause che generano le povertà. Questa intuizione di don Giovanni ci ha aiutato a passare dall’assistenza alla testimonianza e il metodo vale per i prossimi 50 anni. Guardando indietro, vedo che la Caritas è stata costruita nelle diocesi anche dalle intuizioni di tante persone impegnate quotidianamente con gli ultimi. Anche a loro dobbiamo molto.
Il Papa ha ringraziato il popolo della Caritas per quanto ha fatto durante la pandemia. Ma lo ha anche invitato a non scoraggiarsi se i poveri aumenteranno nel futuro prossimo…
Purtroppo temiamo molto l’aumento della povertà nei prossimi mesi. Questo significa che dobbiamo sempre ricominciare dalle persone senza timori, anche con quella inventiva, quella fantasia della carità che per Francesco è lasciarsi guidare dallo Spirito con la creatività dei giovani.
Durante il lockdown, molti nuovi volontari “under 25” hanno consentito con il loro impegno spontaneo e con generosità ai servizi caritativi di non interrompersi. E ora?
Facciamo loro spazio. Penso sia giusto che siano loro a inventare qualcosa anche per i loro stessi coetanei, trovando le modalità più indicate. Il Papa ci ha ricordato nel suo discorso che i giovani sono tra le categorie più vulnerabili e colpite dagli effetti del coronavirus. Pensiamo solo alla scuola, con le lezioni a distanza. Anche ora che la situazione è migliorata, ci sono ragazze e ragazzi che non sono ancora usciti di casa perché sono spaventati. E quelli un po’ più grandi fanno fatica a trovare lavoro. E se lo trovano non è quello che speravano e sul quale hanno investito risorse e magari anni di studio.
La Caritas è la Chiesa che fa chiasso?
In questi cinquant’anni Caritas ha fatto anche un servizio di advocacy, che significa capire le ragioni del disagio e fare pressioni sull’opinione pubblica e sulle istituzioni affinché pongano attenzione specifica su questi problemi, a volte suggerendo anche le modalità di intervento. Per me la Caritas è la Chiesa che agisce anche con molta discrezione e rispetto per i poveri e che si mette in ascolto. Una testimonianza diceva ad esempio che molti indigenti vanno agli empori della solidarietà, che certo sono importanti, ma preferirebbero venire aiutati nella normalità del supermercato. Il chiasso lo fanno la testimonianza e la gioia di chi si sente accolto e di chi accoglie.
Sono divieti e prese di posizioni inaccettabili e sempre mettendo dei muri e sempre con la totale assenza di un dialogo costruttivo.
Tu sei diverso? Allora io ti punisco. Dall’alto del mio piedistallo te la faccio pagare. Non succede sempre così?!?
Le chiusure mentali e interiori sono gravi mancanze e portano solo a qualcosa di male.
Leggendo queste parole mi sembra di percepire la cattiveria e la tensione che c’è stata (e che c’è anche tutt’ora) in quel periodo nei tuoi confronti.
Questo concetto è espresso benissimo da Papa Francesco e si definisce RIGIDITA’.
Un prete rigido nel rispetto della legge e nell’applicarla sugli altri.
Qui ci si scontra col ministero di Gesù che a suo tempo combatté a lungo contro le prescrizioni della legge e l’atteggiamento rigido dei farisei.
Io non ho studiato a lungo come questi personaggi ma l’avvento ambrosiano ogni anno mi ricorda, con le sue prime 3 settimane feriali dove ogni giorno c’è un brano di Vangelo che attacca l’atteggiamento dei farisei, che gli estremi non vanno mai bene. Vivere per osservare scrupolosamente la legge è sbagliato. Quanti preti rigidi e inadatti a testimoniare l’amore di Dio. Quanti funzionari, giudici scrupolosi solo nei riguardi del prossimo.
Attenzione non giudico le persone ma il loro atteggiamento.
Anche mons. Redaelli va salvato ma il suo atteggiamento rigido, freddo, inumano va condannato senza scrupoli.
Il foglio di divieti imposti a don Giorgio, a mio avviso, viola i diritti umani. Non si può pensare di imporre vincoli così pesanti alla vita di una persona perchè potrebbe scalfire la onorabilità dell’Arcivescovo. Ma lasciate perdere.
Don Giorgio ha continuato, pagato di persona e davanti all’aiuto economico della diocesi ha risposto NO. Perchè i preti anzitutto devono dimostrarsi liberi e maturi. Responsabili in prima persona delle proprie azioni…mentre in diocesi gli vogliono come burattini mossi dalla volontà dei superiori.
Per questo pur avendo più volte intrapreso un cammino di discernimento, l’ultimo in ordine di tempo per diventare diacono permanente, mai entrerò in questa macchina infernale. Non mi sono mai fermato per problemi di studio o di vocazione…ma perchè mal digerivo lo stile vagamente militaresco imposto.
Continuo con la mia semplice vita e senza titoli a cercare di far conoscere l’amore di Dio per ogni uomo. Con la mia pochezza e il mio sorriso: certo di essere pienamente Chiesa con questa vita.
Purtroppo ce lo ricordiamo e paghiamo ancora il segno indelebile del suo operato.
La creazione scriteriata di comunità pastorali la dobbiamo a mons. Redaelli. Un fariseo dei nostri tempi.
Vorrei aprire una parentesi sul caro card. Tettamanzi di cui Ancona-Osimo, Genova e anche Vigevano hanno un ricordo fantastico.
Per dire che come uomo, come prete e come Vescovo è stato eccezionale. A Milano, alle prese con una diocesi mastodontica, ha dovuto affidarsi a qualche collaboratore. Certo doveva sostituire il card. Martini, compito gravoso, ma fu proprio la scelta dei collaboratori il suo errore più grave. Mons. Redaelli, il vicario della zona V mons. Armando Cattaneo, l’arciprete del duomo mons. Manganini (e tanti altri) curatore del nuovo Lezionario Ambrosiano a cui dobbiamo la Messa Vigiliare del Sabato che la gran parte delle parrocchie a pochi anni dall’introduzione non celebra più (pur essendo obbligatoria), perchè completamente insensata.
Una serie di follie che hanno affossato il ministero a Milano del card. Tettamanzi.
Col passaggio al card. Scola, mons. Redaelli, su esplicita e pressante richiesta del clero, venne degradato a vicario episcopale della zona I per poi essere nominato vescovo di Gorizia: una liberazione!
Adesso lo danno nella terna dei possibili successori all’arcivescovo di Torino: speriamo di no!
Non spenderei alcuna parola su un uomo che vive la sua fede come un insieme di norme e il suo essere Vescovo come il comandante dei vigili urbani: regole, regole e regole.
Purtroppo il Vescovo deve essere un padre: per i suoi preti e per la sua gente.
Il suo volto severo, la sua rigidità sono il segno dell’assenza di Dio.
Il suo più grande peccato, in ogni caso, lo si rileva leggendo il suo cv. Non ha mai passato un giorno intero in una parrocchia con un incarico! Uscendo dal seminario ha subito svolto servizio in seminario, in curia per poi diventare Vescovo.
Praticamente non ha la minima idea di cosa significhi stare in mezzo alla gente e guidare una parrocchia. Lascio a voi le conclusioni.
La lettera che ha condiviso non è commentabile. Son dei divieti inaccettabili…