Omelia di don Giorgio 2012: Decima domenica dopo Pentecoste

5 agosto 2012: Decima dopo Pentecoste

1Re 7,51-8,14; 2Cor 6,14-7,1; Mt 21,12-16

Anche ad una prima lettura appare evidente il collegamento che lega i tre brani della Messa. Il foglietto che avete in mano commenta: “Oggi la liturgia ci fa posare lo sguardo sul tempio, come segno della dimora di Dio nella nostra storia. Ci vengono offerti tre sguardi sul tempio”. Infatti: il primo brano parla del tempio di Salomone, un grandioso tempio in muratura. Nel secondo brano San Paolo, grazie alla Pasqua di Gesù e al dono dello Spirito, può annunciare che ora siamo noi il tempio del Dio vivente. Nel terzo brano, mediante un gesto profetico, Gesù fa intendere che il nuovo tempio è lui stesso: la sua umanità. Dunque, tre sguardi diversi sul tempio. Diversi, ma complementari.
In questi ultimi tempi torno spesso a fare considerazioni sul tempio, visto nei suoi vari aspetti, per cui anche oggi ripeterò cose in parte già dette, ma, come dicevano gli antichi: repetita iuvant, le cose ripetute possono essere di giovamento, purché la ripetizione non si limiti a ridire materialmente le stesse cose. C’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire.
Tutti sappiamo quanto fosse maestoso il tempio fatto costruire da Salomone nel X sec. a.C. Non dimentichiamo che, presso gli antichi, il tempio doveva essere la dimostrazione anche visibile della potenza della propria divinità. Più grandioso era il tempio, e più si voleva far credere che il proprio Dio era più potente degli altri. Il tempio di Salomone è stato il primo in muratura venerato dagli ebrei. L’ho già detto: Dio, prima di Salomone, era adorato sotto una tenda. Già il re Davide voleva costruire un tempio in muratura, ma Dio non glielo permise. Motivazione: le sue mani grondavano di troppo sangue, a causa delle battaglie che aveva dovuto affrontare contro le popolazioni straniere. Tuttavia Davide aveva iniziato a preparare il materiale per il figlio Salomone. Il primo tempio venne poi distrutto dai Babilonesi nel 587 a.C. Nel 538 a.C. l'imperatore persiano Ciro II emise un editto che consentì ai Giudei di lasciare l'esilio babilonese per tornare nel loro paese di origine e ricostruirvi un nuovo tempio. Fu Zorobabele, il nuovo governatore della Giudea, che iniziò i lavori che termineranno nel 515. Il tempio subì una profanazione da parte del re persiano Antioco IV Epifane che vi introdusse un altare dedicato a Zeus: il massimo della bestemmia per un ebreo. Giuda Maccabeo, l’alfiere della lotta ebraica contro il re persiano che voleva distruggere la religione ebraica, riconsacrò nel 164 il tempio, dopo averlo riconquistato. Il tempio di Zorobabele venne ampliato e reso ancora più meraviglioso da Erode il Grande, che iniziò i lavori verso il 19 a.C. e li finì nel 64 d.C. Sei anni dopo, nel 70, verrà definitivamente distrutto dall’esercito romano, agli ordini dell’imperatore Tito. Con la distruzione del Secondo Tempio, ebbero termine i sacrifici che solamente nel Tempio si compivano; e con essi la maggior parte dei compiti dei Sacerdoti e dei Leviti che lì esplicavano le loro attività: la distruzione del Tempio segna quindi una tappa cruciale nella pratica del Giudaismo, così come è oggi conosciuto, che consiste in un’attività di culto pubblico non più sacrificale ma incentrato nel culto sinagogale e nell'osservanza e nello studio della Torah e del Talmud.
Il Tempio di Gerusalemme è il simbolo di quello che di più sacro abbia mai avuto il popolo ebraico. Col passare dei secoli questo divenne anche il simbolo della sovranità nazionale e la sua distruzione la materializzazione della sua perdita.
L’unica cosa che oggi è rimasta di esso è una minima porzione del terzo muro di cinta, quello più esterno, che circondava il cortile del santuario. Gli Ebrei lo denominano: “il muro occidentale”, gli stranieri lo chiamano “il muro del pianto”, poiché li vedono andare in pellegrinaggio, fino a toccarlo con la fronte e a versare lì le proprie lacrime.
Possiamo chiederci: gli ebrei non hanno mai pensato di ricostruire un terzo tempio? La risposta richiederebbe molto tempo. In sintesi, tra gli attuali ebrei cosiddetti ortodossi, quelli più fedeli alla religione ebraica, si sta sempre più intensificando il desiderio di ricostruirlo. Nelle preghiere che recitano ogni giorno s’invoca Dio perché al più presto il tempio venga ricostruito. Tuttavia gli ostacoli sono tanti, tra cui il rischio che, ricostruendolo, si metterebbe in crisi il processo di pace che da tempo è in atto. Tuttavia dobbiamo aspettarci di tutto. L'11 febbraio 1996, il "Temple Mount and Land of Israel Faithful Movement" (Organizzazione attivista che si batte per la ricostruzione del Tempio) commissionò un sondaggio all'organizzazione internazionale Gallup. La domanda posta era: "Il nostro movimento, guidato da Gershon Salomon, basa la propria ideologia sulla lotta per la sovranità di Israele e sulla futura costruzione del Tempio. Quanti sareste disposti a sostenere l'idea di questo movimento?". Il risultato del sondaggio fatto in Israele fu che ben il 58% degli interpellati rispose di essere a favore; inoltre i più favorevoli si sono dimostrati i giovani, cosa che dimostra un continuo aumento di questa tendenza.
Perché questa volontà di riscostruire un nuovo tempio? Non dimentichiamo che presso tutti i popoli antichi il tempio non era solo simbolo della religione, ma anche un simbolo politico. La divinità era vista come una grande protettrice della stessa nazione. Già l’ho detto: faraoni, imperatori e re si sentivano investiti dall’alto, addirittura erano venerati come se fossero delle divinità: erano l’incarnazione dello stessa divinità. Anche per questo, gli ebrei vorrebbero riavere il loro tempio, come simbolo dell’unità nazionale.
Passando agli altri brani della Messa, diciamo che già i profeti dell’Antico Testamento avevano cercato di spiritualizzare la religione, di vedere nel Tempio la presenza del Dio santo. Però solo con Gesù Cristo ci sarà la svolta radicale. Una delle accuse per la sua condanna sarà proprio quella di aver messo sotto accusa l’importanza del tempio in muratura. Nel processo che lo condannerà a morte, alcuni falsi testimoni lo accusano dicendo: «Lo abbiamo udito mentre diceva: “Io distruggerò questo tempio, fatto da mani d’uomo, e in tre giorni ne costruirò un altro, non fatto da mani d’uomo”». Gesù però si riferiva a se stesso. Verrà sì ucciso, ma il terzo giorno risusciterà. Ecco il nuovo tempio di Dio: Cristo stesso. O meglio, la sua Umanità. Purtroppo, anche qui la Chiesa cadrà in parte nello stesso errore della religione ebraica: dare più importanza alle chiese in muratura, alle cattedrali. Il vero Tempio è Cristo stesso, che si è incarnato nell’Umanità, per renderla Tempio di Dio. Una chiesa senza la presenza di Cristo incarnato è una chiesa vuota, solo una bella costruzione di pietre morte. I luoghi di culto fanno parte, da sempre, di ogni popolo. A mano a mano che viene meno il culto a Dio, cresce in proporzione il culto ad altre divinità. Non c’è nessuno che possa dirsi ateo assoluto. Tutti credono in qualcosa, e questo qualcosa ha un nome: progresso, mercato, mercificazione. Paradossalmente il culto esagerato verso un tempio in muratura, simbolo anche di supremazia politica, genera per reazione il culto idolatrico, che consiste nel sostituire Dio con oggetti, leader, ideologie, fantasmi.
Tutti dovremmo sentirci un po’ atei, nel senso che contestiamo quella falsa immagine di Dio venerata nelle nostre chiese, dove al posto del Dio santo, troviamo mille altari dedicati alle varie divinità idolatriche. Il re persiano aveva introdotto nel tempio ebraico una statua pagana. Forse noi cristiani lo abbiamo superato, sostituendo Dio con i nostri sogni o desideri o stili di vita che hanno ben poco a che fare con il Dio di Gesù Cristo. È proprio vero: quando usciamo di chiesa dopo la Messa, basterebbe rispondere ad alcune domande sulla società e sul cristianesimo, e riveleremmo tutta la nostra incoerenza e contraddizione. Risposte a dir poco vergognose, bestemmie vere e proprie, eppure, poco prima, abbiamo cantato a squarciagola l’amore misericordioso di Dio, tutta la nostra fratellanza universale.
San Paolo è esplicito quando scrive ai cristiani di Corinto: “Quale accordo tra tempio di Dio e idoli? Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente”. Potremmo star qui delle ore a riflettere su queste parole. Che significa: noi siamo il tempio del Dio vivente? Se i termini hanno un senso, non può voler dire che la vera chiesa siamo noi? Ciascuno di noi è una chiesa, dove Dio abita. Noi cioè siamo sacri. Noi: il nostro essere umano. È chiaro. Dio non è in superficie. È nel profondo del nostro essere, là dove noi sfuggiamo a noi stessi. Possiamo andare anche in chiesa tutti i giorni, ma “noi” non ci siamo. Dio, vedendomi seduto, in piedi o in ginocchio, cantare e pregare, potrebbe dirmi: Dove sei?
Se noi cristiani non siamo chiesa in chiesa, come potremmo essere tempio del Dio vivente, fuori chiesa?

2 Commenti

  1. lina ha detto:

    Gli esseri umani allontanando Dio dai loro comportamenti e dalle loro leggi, cessano di rappresentare il Tempio di Dio e scelgono di essere tempio di altri idoli. Quindi l’idolatria ha preso il posto di Dio nella coscienza degli uomini, che a questo punto scelgono di non essere Figli di Dio, bensì schiavi al servizio delle loro passioni e dei loro idoli. A questo punto si avverano le amare parole di Gesù: ” Il mio Regno non è di questo mondo…” Quanta stoltezza nei comportamenti umani, si sceglie una finta libertà che ha un prezzo altissimo, e si rifiuta la libertà vera che dà la vita. L’essere umano è un emerito superbo, e Dio nonostante tutto è ancora buono con noi, se consideriamo che ogni nostro respiro è frutto del suo Amore.

  2. Luciano ha detto:

    Davvero, c’è più attenzione per la chiesa in muratura e per le varie, anche assurde liturgie, piuttosto che concentraarsi sull’essenziale che è talmente ovvio da metterlo in secondo piano. La lettura di s. Paolo, davvero è profondissima. Dice che noi siomo il Tempio dello Spirito, perchè Cristo è in noi, con noi,in ogni momento. Invece spessso, le messe sono ridotte a pure liturgie, a gesti meccanici, senza calore e sapore. L’indifferenza è palpabile, ci si riduce a, come dire “onorare un precetto”. Tutto pare scivolare addossosenza lasciare traccia. Le omelie vomitate da certi preti, davvero riescono in mezzz’ora a non dire nulla, anzi hanno la capacità di svilire la Parola e il suo Contenuto d’Amore e di Umanità che solo Gesù può trasmettere, solo se riusciamo ad aprirgli il nostro cuore e a rinunciare al nostro orgoglio. Direi davvero che, la messa comunitariaa, non stimola alla conversione. perssonalmente quasi sempre, esco avvilito e incazzato più di prima. Ringraziando Dio però, riessco a recuperare il maltolto, leggeendo le sue omelie domenicali don Giorgio. in questo modo, mi riequilibrio e vado avanti nonostante il nulla che trovo troppo spesso in alcuni pastori che,forse, non hanno ben chiaro cosa voglia dire prenersi cura degli altri e, di conseguenza, in alcuni bravi frequentatori assidui dellaa parrocchia. Grazie ancora don Giorgio per l’attenzione che offre a tutti i cristiani che, come me sono in cerca d’Autore. Buona Festa.

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