Omelie 2024 di don Giorgio: XI DOPO PENTECOSTE

4 agosto 2024: XI DOPO PENTECOSTE
1Re 18,16b-40a; Rm 11,1-15; Mt 21,33-46
Vorrei premettere: anche questi tre brani della Messa sono tutti importanti, e meriterebbero ciascuno una lunga riflessione.
Sul primo brano non mi soffermo: è un brano che a tanti preti piace commentare, ma si finisce poi per dire le solite cose. E poi a chi non piace Elia, uno dei più tosti profeti, che non ci ha lasciato nulla per iscritto, ma solo la sua forte testimonianza, riportata dall’autore sacro.
Così sarebbe anche istintivo commentare il terzo brano che riporta la famosa parabola della vigna, con le dure parole con cui Cristo ha bollato i caporioni religiosi: «”Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti. Chi cadrà sopra questa pietra si sfracellerà; e colui sul quale essa cadrà, verrà stritolato”. Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta».
Mi soffermerò sul secondo brano, che magari trascurato ritengo invece necessario spiegare.
Nella lettera che scrive ai cristiani di Roma l’apostolo Paolo parla di un tema allora, e forse anche oggi, molto scottante: dopo la condanna di Cristo della religione ebraica, Dio ha forse per sempre ripudiato il suo popolo? In altre parole: il popolo ebraico, prima della fine del mondo si convertirà al cristianesimo? Ovvero: gli ebrei si renderanno conto che il Messia è già venuto e che loro hanno messo su una croce con l’approvazione di Pilato, ovvero del potere romano?
San Paolo non ha titubanze: «Fratelli, io domando: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? Impossibile! Anch’io infatti sono Israelita, della discendenza di Abramo, della tribù di Beniamino. “Dio non ha ripudiato il suo popolo”, che egli ha scelto fin da principio».
Certo, il rifiuto di Israele è il dramma che pesa sul cuore di Paolo e sulla coscienza delle prime comunità cristiane, poiché la lontananza, globalmente intesa, del popolo d’Israele sembra smentire l’opera e la promessa di Dio. E tuttavia la separazione non è totale, ma temporanea. San Paolo sembra dire: prima della fine del mondo Israele si convertirà. Quando? Dio solo lo sa. Vedendo ciò che sta facendo oggi, passerà ancora molto tempo prima che Israele troverà la via della conversione. Ancora un popolo di dura cervice, con un cuore di pietra.
Perché Paolo è convinto che Israele si convertirà? L’Apostolo fa questo semplice ragionamento: Dio non smentisce se stesso. Quanto promette mantiene. E come lo mantiene? Qui sta il bello.
Dio resta fedele alla sua parola, ma a modo suo, senza tener conto di ciò che fa o non fa il suo popolo, che può anche tradirlo, metterlo su una croce, ma Dio conserva sempre la carta vincente: scommette sul “resto”.
San Paolo chiarisce: questo “resto” è un pugno di giusti che fanno scelte al di fuori della logica umana, che è la logica della forza o delle opere. Un pugno di giusti per grazia!
“Per grazia”, espressione italiana che traduce il greco “χάριτος”, che deriva da “charis”, che significa gratuità. L’arcangelo Gabriele inizia il suo messaggio, che è un annuncio divino, con queste due parole che Luca riporta in greco: Χαῖρε, κεχαριτωμένη, che contengono la parola “charis”, grazia.
Potremmo anche dire che tutto in Maria è grazia, gratuità, lo dice poi lo stesso Gabriele: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia (in greco χάριν) presso Dio”.
Abbiamo parlato di “resto”, potremmo anche dire “scarto”, ovvero qualcosa che conta poco secondo la logica umana. Dio che fa? Non sceglie una principessa, ma un’umile sconosciuta ragazza di Nazaret, ripiena di Grazia, o di quello Spirito che ha fecondato il suo grembo, vergine, ovvero privo di ogni carnalità, l’opposto della Grazia o Gratuità.
Adesso capiamo perché l’apostolo Paolo continua dicendo: «E se lo è per grazia, non lo è per le opere; altrimenti la grazia non sarebbe più grazia. Che dire dunque? Israele non ha ottenuto quello che cercava; lo hanno ottenuto invece gli eletti».
Chi sono questi eletti? Il “resto”, un pugno di giusti eletti dalla Grazia, e non in quanto meritori o degni di chissà quali onori o privilegi in virtù delle loro opere, dei loro titoli di studio, di onorificenze, riconoscimenti, monumenti, ecc.
In altre parole, Paolo dice che il piano di Dio, il suo disegno o progetto, dovrà essere colto come dono, come grazia, e non come il risultato di uno sforzo da parte degli interessati.
Del resto Gesù stesso ha scelto i suoi apostoli, e lo stesso Paolo, per grazia, e non certo per le loro opere. Che opere aveva fatto Paolo per meritarsi di diventare anch’egli un apostolo, se aveva perseguitato gli stessi cristiani? Non è stato forse illuminato dalla Grazia di Dio mentre si recava a Damasco per prendere altri cristiani per poi metterli in prigione?
Nella lettera ai cristiani di Corinto (15, 9-10), Paolo scrive: «Io infatti sono l’infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia (χάριτι) di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia (χάρις) in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia (χάρις) di Dio che è con me».
È sbagliato dire: Dio ha tenuto conto delle mie opere buone, e perciò ecc. Tutto ciò che sei è per grazia di Dio. Certo, anche il male (vedi Paolo) può essere grazia, perché Dio sa trarre dal male anche il bene. Non c’è nessuno come Dio che sappia fare questi miracoli.
Smettiamola di dire che Dio sceglie i migliori, i più bravi, i più colti, gli eletti perché privilegiati: Dio sceglie gli scarti umani.
San Paolo continua nel suo ragionamento: se i popoli pagani hanno approfittato del rifiuto degli ebrei per sostituirsi a loro e sono così entrati nelle scelte di Dio, questo susciterà gelosia e quindi reazione tra gli ebrei, per saper ripensare e ritrovare i varchi sempre aperti che il Signore lascia a tutti, ma ancor più al suo popolo d’Israele.
La lontananza del popolo eletto ha permesso al mondo pagano di entrare nella conoscenza del vero Dio. Si verificherà un avvenimento ancora più grande, quando tutto il mondo sarà riconciliato con il Signore. L’ingresso dei pagani è allora solo una tappa, non la sanzione di una maledizione. Il Signore sa aspettare e sa riprendere. Il Signore non abbandona. Il Signore continua ad amare. Ed anche Paolo svela le sue intenzioni. Ecco che cosa scrive:
«Come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero, nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni»: Dunque, Paolo è andato dai pagani con la segreta e certa speranza di poter aiutare e ricuperare il suo popolo.
Se è vero che Dio sa trarre il bene anche dal male, chissà se, da quanto vediamo oggi per l’ostinazione criminale di un governo che sta massacrando il popolo palestinese, non sia la volta buona perché gli ebrei rinsaviscano e si convertano. Aspettare ancora?

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