Omelie 2015 di don Giorgio: Sesta Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni il Precursore

4 ottobre 2015: Sesta dopo il Martirio di S. Giovanni il Precursore
Is 45,20-24°; Ef 2,5c-13; Mt 20,1-16
Giusto, giustizia, diritto nel disegno originario di Dio
Il primo brano della Messa mi permette di allargare il discorso. I profeti, gli uomini di Dio o la voce di Dio, pur non avendo ben chiara la realtà del futuro, o, meglio, non conoscendo le modalità storiche o i tempi in cui si sarebbero realizzate le loro visioni, avevano però una concezione alta della Storia. Usavano, certo, un linguaggio diretto, nel senso che attribuivano personalmente al Dio dell’Alleanza ogni evento storico, come se Dio ne fosse l’autore, l’artefice, il protagonista, attento e presente, talora giudice, magari vendicativo, ma sempre per il bene del suo popolo.
Ma dietro a questo modo di far intervenire Dio, facendolo anche parlare per concretizzare più efficacemente il suo volere o i suoi pensieri, dobbiamo scorgere ciò che è in realtà il Creato, ovvero quella invisibile presenza divina che si rivela, man mano le sue creature si comportano da esseri umani. Qui si tratta di capire chi siamo: qual è la natura del nostro essere? Ma noi “siamo”, se siamo immersi o partecipi del Creato, nella sua armonia divina.
Dio non interviene mai per il gusto di cambiare la Storia, ma, casomai, interviene per dirci: Tornate ad essere “esseri umani”! Cristo stesso non è venuto per rifare l’essere umano, ma per riportarlo nella sua realtà originaria, per risvegliare in lui il suo essere umano. La Novità di Cristo non consiste nell’averci aggiunto qualcosa di completamente nuovo: Cristo, casomai, ha tolto l’eccedente, il superfluo, le deviazioni, gli sbandamenti. Qualche studioso ha scritto: l’uomo si era così sbandato da essersi rovesciato, tanto da camminare con la testa all’ingiù, per cui vedeva le cose alla rovescia, e Cristo ha indicato come camminare “normali”, con  la testa all’insù.
È chiaro che da soli sarebbe difficile operare un tale rovesciamento. Che significa, d’altronde, rivoluzione? E che senso dare alla parola “conversione”? Hai preso una strada sbagliata? Fèrmati, e torna sulla strada giusta! Talora dipende dal nostro pensiero: noi pensiamo in un modo, e ci comportiamo in quel modo. Diciamo che bisogna cambiare mentalità, parola che deriva da mente, pensiero. Ma torna la domanda: come far sì che siamo in grado di cambiare mentalità, e perciò di camminare sulla strada giusta? Occorre qualcosa o qualcuno che ci aiuti. Ma l’assurdo o il paradosso è che la maggior parte di chi afferma di volerci aiutare, in realtà peggiora le cose, facendoci sì cambiare strada, ma per   indicarci altre strade sbagliate. La storia è un avvicendamento di rivoluzioni in negativo. Arriva uno e dice: adesso tolgo il marcio, l’ingiustizia, e ti do i diritti, e che cosa fa? Toglie sì un certo marcio, ma subito cade nella tentazione del potere, facendoci cadere in un’altra situazione di marcio, dandoci pseudo-diritti.
Quando i profeti parlavano di giustizia, di diritto – termini che venivano attribuiti in particolare al Dio dell’Alleanza – intendevano quel disegno armonico, dove la giustizia o il diritto è la natura stessa dell’essere umano. Gli uomini sono riusciti a cambiare quel disegno armonico originario, inventandosi una giustizia o un mondo di diritti, fondati o sul potere o sull’egoismo dei singoli, e i poveri sono stati o repressi dal potere anche religioso o illusi da rivoluzionari che, in nome di pseudo-diritti, promettevano la luna.
Finché l’essere umano non capirà che è dal proprio essere interiore che deve partire la vera rivoluzione, non potrà mai neppure sognare un mondo nuovo. Per fare questo, dovremo fidarci anche di chi, come facevano già i profeti dell’Antico Testamento, ha l’arduo compito di risvegliare la nostra mente e la nostra coscienza.
Una parabola dove giustizia e gratuità vanno di pari passo
Non mi stancherei mai di parlare di giustizia, di doveri e diritti, di gratuità, in un mondo in cui il pensiero banale e consumistico ha stravolto l’essere umano, in particolare oscurando la fonte dell’essere umano, che è l’essere in tutta la sua interiorità.
La parabola di oggi, quella chiamata dei lavoratori della prima ora – ma forse sarebbe più giusto parlare degli operai dell’ultima ora, perché sono quest’ultimi il cuore del messaggio di Cristo – è forse quella che ha sconvolto e tuttora sconvolge il nostro modo terreno di valutare i diritti e i doveri, ciò che è giusto e ciò che non è giusto.
La ritengo una parabola antisindacale al cento per cento. Mi piacerebbe farla commentare da qualche sindacalista. E soprattutto la ritengo perennemente rivoluzionaria e controcorrente, in quanto non ci rassegneremo mai all’idea che i primi saranno gli ultimi e gli ultimi i primi. Qui non si tratta di partire dagli ultimi per risalire poi ai primi, come quando si premia i vincitori o si estraggono i biglietti della lotteria. Si tratta, invece, di un nuovo modo di vedere le cose, ovvero di una nuova visuale che vede gli ultimi i protagonisti, a differenza dei primi che vengono valutati in base agli ultimi. Valutati nel senso di metterli nella condizione di essere confrontati con le loro vittime, ovvero gli scartati dai privilegiati o dai prepotenti.
Ci saranno sempre degli ultimi, anche quando gli ultimi diventeranno i primi, e saranno presi dalla tentazione di far valere finalmente il loro primato. Se è giusto dare diritti agli ultimi, è altrettanto giusto educare gli ultimi a quel senso del dovere che non li renda egoisti a tal punto da prevaricare, dimenticando il loro primitivo stato di umiliazione. Non è mai stato facile difendere i poveri, senza cadere nella tentazione di creare in loro desideri falsi di ricchezza. Quando le rivoluzioni hanno capovolto le gerarchie, i poveri hanno prevaricato, cadendo negli stessi errori dei loro precedenti carnefici.
La straordinarietà del messaggio della parabola di oggi sta nelle due parole messe sullo stesso piano: giustizia e bontà. Quel padrone ha agito da giusto dando agli operai della prima la paga pattuita, mentre è stato buono con quelli dell’ultima ora, pagandoli di tasca sua, senza nulla togliere a quelli della prima ora.
La perversione degli operai della prima ora non stava nell’attesa che a loro venisse dato qualcosa in più, ma nel pensare che agli operai dell’ultima ora venisse dato qualcosa in meno. Una perversione o malvagità sempre attuale: gli ultimi, i più sfortunati, i più disgraziati socialmente parlando, devono sempre avere qualcosa in meno dei più fortunati. Questi vengono a portarci via i nostri diritti, ovvero quei diritti che noi fortunati abbiamo accumulato con sacrifici e sudore. No, non è giusto che abbiano i nostri stessi beni, che siano messi alla pari dei nostri. In fondo, non  ragioniamo così?
Forse non ci chiediamo il perché c’è gente sull’ultimo gradino, oppure che vive nella fogna. Non tutti sono fannulloni, pigri, apatici. Ai più è mancata la possibilità di avere quello che noi, fortunatamente, abbiamo avuto.
E se è vero che noi fortunati non siamo rimasti con le mani in mano, è altrettanto vero che è anche una fortuna avere la possibilità di un lavoro.
Ciò che colpisce nella parabola è la sofferenza di quel padrone nel vedere operai “oziosi”, proprio perché manca a loro la possibilità di lavorare. Sono lì in piazza in attesa che qualcuno li chiami. Sapete cosa vuol dire avere voglia di lavorare, e non poterlo fare? Sapete cosa vuol dire desiderare una casa, e non poterla avere? Sapete cosa vuol dire voler vivere in pace, e vivere invece in paesi sempre in guerra?
Posso essere “ozioso”, perché non trovo una qualche possibilità di realizzare i miei sogni. Questo può diventare un vero dramma.
Dicevo all’inizio che la parabola di oggi è antisindacale. Perché? Mette in crisi il nostro modo di valutare il denaro. Ci si ritrova in una società che poggia il concetto di giustizia sulla corrispondenza proporzionale tra lavoro e ricompensa: tanto lavoro, tanto salario, poco tempo di lavoro, poco salario. Cristo, con la parabola, mi indica un’altra strada: quella di una giustizia animata dalla gratuità. Non è solo questione di fede, la quale predica bontà e misericordia: è questione di rapporti sociali che devono fondare la loro validità non sul rapporto di tipo economico, ma sulla dignità dell’essere umano. Un argomento interessante, che meriterebbe un particolare approfondimento.

1 Commento

  1. bruno ha detto:

    Cristo ci insegna giustizia e gratuità gli uomini gli rispondono con invidia ed egoismo.

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