Marisa Cingoli, addio all’«angelo della stazione Centrale»: accudiva i profughi e gli insegnava l’italiano

dal Corriere della Sera

Marisa Cingoli,

addio all’«angelo della stazione Centrale»:

accudiva i profughi e gli insegnava l’italiano

di Giovanna Maria Fagnani
Tra le volontarie più conosciute a Milano, era zia di Enrico Mentana. Aveva 87 anni. Nel mezzanino della stazione ha aiutato migliaia di persone in fuga dalla guerra. «La più buona e generosa, sei stata la mamma dei profughi»
Milano saluta l’«angelo» della Stazione Centrale. Giovedì è scomparsa a 87 anni Marisa Cingoli, una delle volontarie più conosciute della città. Dall’ottobre del 2013 e negli anni a seguire, il mezzanino della stazione divenne la sua «casa»: la trovavi lì fino a tarda a notte, anche il sabato e la domenica, in prima linea insieme a tanti altri volontari, nell’affrontare l’emergenza dei profughi siriani ed eritrei in fuga dalla guerra. Solo in un anno dal mezzanino passarono 50 mila uomini, donne e bambini. Un impegno per cui Marisa e alcuni suoi compagni furono premiati dall’allora sindaco Giuliano Pisapia durante la cerimonia dell’Ambrogino d’Oro 2014.
Anche dopo la fine dell’emergenza, ha continuato ad occuparsi di migranti e rifugiati di tutto il mondo, lavorando al centro di via Sammartini e poi come insegnante d’italiano ai corsi, collaborando anche con Rete Milano, associazione di volontariato nata proprio per fornire un primo aiuto emergenziale ai profughi in transito da Milano Non c’è ritratto più perfetto di Marisa, se non le parole che Karar Sfaa al Jabr, rifugiato originario di Bagdad, le scrive sui social: «Oggi se n’è andata mamma Marisa, che è stata la prima persona ad accogliermi in Italia. Non ti dimenticherò. Non dimentico quando abbiamo fatto la spesa insieme. L’abbraccio di una madre in una terra straniera. Buon viaggio. Ti amo».
Marisa era la sorella minore di Lella Cingoli, la mamma di Enrico Mentana, che ricorda così la zia: «Era una donna tenace e sorridente, una splendida ottantenne. Ha continuato fino a pochi mesi fa a insegnare l’italiano a gruppi di immigrati, prima di ritrarsi per il male che l’aveva attaccata. Fino all’ultimo è stata serena e ottimista. Aveva sempre lavorato nella vita, nelle società di import export e poi nella moda a Milano. Sapeva staccare, esser piena di amici, stare sola, girare il mondo. Una donna indipendente e curiosa, senza chiusure o paure. L’aveva vaccinata alla vita l’esperienza degli ultimi due anni di guerra, quando lei, bambina ebrea, fu nascosta in un fienile sui monti delle Marche per sfuggire alle retate naziste, insieme ai genitori e a Lella, la sorella maggiore che dieci anni dopo mi avrebbe messo al mondo. Ciao zia, fai buon viaggio e salutami mamma» scrive il direttore del Tg La7.
Ma i messaggi di cordoglio sono tantissimi e tanti anche gli aneddoti. Marisa che aveva sempre pronto il pane e marmellata oppure un delizioso ragù per calmare qualche bimbo affamato. Marisa che, pur essendo una «ragazza del ’36», aveva più energia e entusiasmo di tutti. «Sei stata una delle persone più buone, generose e altruista che io abbia mai conosciuto. Hai aiutato migliaia di uomini, donne, bambini in fuga dalla guerra e dalla fame. Sei stata la “mamma dei profughi”» scrive Alessandro Giungi, consigliere del Pd a Palazzo Marino.
«Instancabile e con un sorriso sempre per tutti» la definisce Fausta Omodeo, presidente di Rete Milano, pubblicando una foto che le ritrae felici, insieme a un gruppo di ragazzi incontrati durante la loro attività. Marisa amava raccontare sui social alcune pillole del suo lavoro. Nel 2015 scriveva questo aneddoto: «Frequentando ormai da tempo i profughi eritrei ho notato che conoscono delle parole italiane piuttosto inusuali. Mi hanno spiegato che i loro nonni quando si arrabbiano li sgridano con termini italiani, il più usato e conosciuto da tutti è testa di gallina!…. Conoscono poi tutti i termini automobilistici come serbatoio, volante, tutte le marce e perfino biella. La spiegazione è che le autoscuole erano gestite solamente da istruttori italiani… Grazie ad uno studente che conosceva l’inglese abbiamo passato una divertente serata stabilendo finalmente un contatto con queste care persone, che purtroppo parlano solo il tigrino e…. testa di gallina»

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