5 gennaio 2025: DOPO L’OTTAVA DEL NATALE DEL SIGNORE
Sir 24,1-12; Rm 8,3b-9a; Lc 4,14-22
La Liturgia ci presenta in questa domenica tre brani, che sono tre capolavori: lo Spirito divino parla di Se stesso, ovvero del suo continuo effondersi trinitario, anzitutto nella Sapienza, personificata nell’ideale Donna (primo brano), poi nella legge dello Spirito che contrasta ogni legge carnale (secondo brano), infine nella Grazia che dà la libertà interiore, quando lo spirito si spoglia di ogni carnalità (brano del Vangelo).
Il Papa potrebbe aver ragione quando invita i preti a non tenere troppo lunga l’omelia festiva (otto o al massimo dieci minuti) ma a questa condizione, ovvero che i fedeli presenti in chiesa siano già talmente maturi, a cui basterebbe dare anche un piccolo input perché scattasse in loro un’altra occasione per procedere verso l’Unione mistica.
Quando abbiamo a che fare con brani, come di questa domenica, che ci tolgono quasi il respiro tanto sono divinamente profondi, mi chiedo cosa un prete dovrebbe fare, se non prendersela con la Liturgia, che potrebbe invece stare terra terra scegliendo brani che si prestino a una omelia moraleggiante.
Partiamo dal primo brano, composto di 12 versetti, del capitolo 24 del libro del Siracide. Diciamo subito che questo libro è stato scritto nel secondo secolo a.C., neppure accettato come testo canonico dagli ebrei e quindi dai cristiani protestanti, pur se conosciuto anche nel testo ebraico. Leggendolo, l’impressione è di chi, tolto il velo della quotidianità più banale, riuscisse a cogliere le ricchezze imprevedibili di Dio, nel volto di una Donna Ideale, generata nel Mistero trinitario, che creò il mondo lasciandovi impronte divine.
Anche qui, come si è già visto nel libro dei Proverbi, 8,1-36 (anche questa una pagina stupenda!), la Sapienza entra in scena come una donna che si presenta non nella sua civetteria, come le donne di carriera di oggi, ma nella sua missione e nella sua personalità, per questo si usa parlare di “personificazione”.
Anzitutto, la Sapienza/Donna si presenta nella sua diretta connessione con Dio: “Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo”. Proprio per questo la Sapienza diventa anche realtà creata, presente nel cosmo intero, dal cielo agli abissi sotterranei (la terra era allora concepita come una piattaforma coperta dalla cupola del cielo e sostenuta da colonne sull’abisso marino). Ma ecco una svolta: Dio la invita a stabilire la sua dimora privilegiata in Israele (Giacobbe), anzi nella tenda sacra di Sion, cioè nel Tempio di Gerusalemme. Si stabilisce così un legame speciale con il popolo dell’alleanza.
Però, attenzione. Il brano di oggi ha un seguito, da leggere. È da quella radice nel terreno santo che la Sapienza cresce e si ramifica, dando vita a un vero e proprio “paradiso terrestre”. Qui chiariamo. La letteratura sapienziale ama ricorrere al simbolismo vegetale per descrivere la vitalità della Sapienza. Il libro del Siracide dipinge una specie di parco regale stupendo, fatto di una quindicina di alberi pregiati, segno di fecondità e di bellezza, di vita e di frutti. Si uniscono, proprio per l’evocazione dei frutti, alcuni simboli di cibo e di bevanda, sempre per esaltare la forza trasformatrice che la Sapienza diffonde in chi l’accoglie. Dunque, una Sapienza che non è sterile, ma esuberante di frutti, che sono il cibo e la bevanda che nutrono e fanno crescere. E c’è di più. Si evoca un’altra immagine tipica, quella dell’acqua che dilaga in quel mirabile parco.
Ma l’elemento fondamentale dell’inno è nel versetto 22, capitolo 24, dove la sapienza è posta in diretta relazione con il “libro dell’alleanza del Dio altissimo”, cioè con “la legge che ci ha comandato Mosè”. Quindi, la sapienza si sarebbe incarnata nella Torah, cioè nella legge biblica, che in questo modo diventa la perfetta guida del conoscere, del volere e dell’agire dell’intera umanità. Alla luce e alla fecondità della Torah-sapienza devono attingere tutti gli uomini.
Già qui un chiarimento. Il termine Torah, secondo gli esegeti, non significa di per sé legge normativa, ma insegnamento di Dio. E Dio insegna al di là di una legge codificata in un documento freddo e immobile. C’è di più. Quando si parla di privilegi, o di elezione, riferendosi a gruppi o a un popolo, non significa che Dio racchiude la Sapienza o Legge dello Spirito entro il recinto di un bellissimo parco, da prendere come un “hortus conclusus”. Qui sarei tentato di dire qualcosa anche sui nostri Parchi cosiddetti naturali, che riguardano un pezzetto di terra da proteggere da speculazioni edilizie, come se tutto il resto del creato lo dovessimo lasciare nelle mani dei ricconi o di cittadini che fanno quello che vogliono. Dio non ha mai creato zone riservate per eletti, ma se ha scelto un popolo lo ha fatto perché questo popolo comunicasse a tutti un messaggio universale. Ecco perché i profeti dell’Antico Testamento tuonavano: perché il popolo ebraico non si chiudesse e prendesse tutto per sé. Se Dio sceglie alcuni, lo fa per una missione speciale, che è quella di lanciare la parola di Dio fino ai confini della terra. È chiaro che il creato ha dei limiti, ma all’interno del creato, che va sempre visto come un’unica famiglia: non ci devono essere barriere. Solo i barbari non capiscono e difendono i confini della propria nazione calpestando i diritti di tutti di appartenere alla stessa famiglia.
La Sapienza che cos’è? Nel Prologo del Quarto Vangelo leggiamo che il Logos/Sapienza si è fatto carne, e Cristo è morto sulla croce per tutta l’umanità. Mentre moriva ci donava il suo Spirito universale, ovvero quello Spirito che non accetta confini, limitazioni, barriere, orticelli di privilegiati, movimenti religiosi con la testa fasciata. Nella storia millenaria della Chiesa istituzionale – già dire istituzionale è dire limite – è sempre stato un grave problema lanciare al mondo un messaggio, che è quello del Cristo radicale, si è preferito comunicare il messaggio di una religione che man mano tradiva la parola di Cristo, ovvero il Logos o sapienza divina.
Il brano del Vangelo Cristo cita un passo del profeta Isaia, in cui si parla dell’Anno di Grazia del Signore. Cristo applica a sé questo passo. Lui è l’Anno di Grazia del Signore. È venuto per sciogliere ogni catena, perché ripieno di quello Spirito che vuole che tutti siano liberi, a partire dal proprio essere interiore. È venuto per dirci che, se vogliamo, siamo liberi di dentro, anche se gli uomini – lo hanno fatto con lo stesso Cristo – imprigioneranno i nostri corpi. La stessa Chiesa istituzionale parla di giubileo e non capisce che l’Anno di Grazia è Cristo stesso, il cui Spirito farà crollare barriere, confini, egoismi, dogmatismi, leggi assurde, chiusure mentali. La liberazione interiore non la si ottiene con le grazie o favori tipo indulgenze o condoni di ogni tipo. Ogni catena si scioglie nella Grazia, che non è un insieme di grazie particolari. La Grazia è lo Spirito che chiede a ciascuno un radicale distacco dal proprio ego nelle sue forme più carnali.
Giubileo sì giubileo no, tutto è Grazia, infinite opportunità di Grazia che Dio semina ovunque, ogni giorno, senza interruzioni. Da aprire è la porta del nostro cuore.
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