Una Diocesi che ascolta
cocciuatamente e stupidamente
solo il proprio ego
Caro don Giorgio,
mi ritrovo nel Suo commento e già da tempo, dove mi è concesso, esprimo il mio dissenso sulla direzione (peraltro poco chiara) che sta prendendo la Chiesa.
Oggi c’è tutto e niente, e il vescovo Delpini è il primo incapace di prospettare una direzione chiara (è un gran casinista).
Ma c’è una cosa che in questi giorni mi interroga.
Io credo che l’uomo chiamato a guidare una Chiesa possa farlo unicamente abbandonandosi nelle mani di Dio e dello Spirito.
C’è una grazia che permette ad un vescovo di “fare bene” e di costruire qualcosa. Quando questo non avviene mi viene da pensare che l’uomo vuole imporsi, non permettendo allo Spirito di agire mediante di lui. Insomma Dio “rende capaci”, “trasforma”.
Nessuno è nato per fare il vescovo o il prete, ma per mezzo di questo “abbandonarsi”, di questo “avere fiducia di” che si diventa capaci.
Ecco mi sembra che questa Grazia, questo Spirito manchi tremendamente alla Chiesa di oggi. Manca nelle piccole comunità come nei Vescovi.
Ma spesso ci si ritrae da questa osservazione cercando di rigirare la frittata. Siamo noi ottusi, chiusi, mondani che non riusciamo a comprendere l’opera dello Spirito.
Vorrei rispondere magari con un pizzico di arroganza: voi agite solo di pancia e dello Spirito non si vede nemmeno l’ombra. Io parlo coi numeri in mano e coi fatti concreti che vedo. I preti si occupano di tantissime cose burocratiche e di pochissime cose spirituali. Le comunità assolvono i doveri rituali, ma non c’è gusto, non c’è amore in quello che fanno. Devo leggere, devo cantare, devo recitare il rosario. Queste sono le espressioni che si sentono sulla bocca dei collaboratori. La preghiera dovuta non ha quella potenza per cambiare le cose. La preghiera desiderata, supplicata arriva a Dio.
Siamo la chiesa del “fare”, ma un fare fine a se stesso, senza una logica, specchio dell’individualismo delle persone che ricerca unicamente il protagonismo del singolo. Difatti questo fare non costruisce, ma divide. Mette le persone contro. Non crea comunione e comunità.
Sfido il Vescovo Delpini che gira come una trottola la diocesi ad indicarmi una comunità fraterna, unita, concorde… in una sola parola Cristiana. Di sicuro saprà indicarmi comunità economicamente virtuose o con bilanci sgangherati. Ma è questo quello a cui dobbiamo rivolgere attenzione?
Io parteciperò ai riti della Settimana Santa sempre con un po’ di tristezza e di malinconia. Cercando di cogliere il massimo dai gesti e dalla Parole.
Non mi aspetto niente; spero che, per Grazia, qualcuno si lasci contaminare dallo Spirito e riesca a risvegliare ciò che in me è assopito.
Ormai vivacchio pure io, svegliandomi ogni mattina infelice e incompiuto. Andando a letto ogni sera stanco per avere corso a destra e a sinistra senza capirne il perché. Una trottola… e la chiamano vita!
SIMONE
***
Oltre che confermare tutto quanto è stato scritto così schiettamente da Simone, avrei ancora tanto da aggiungere, ma a che servirebbe?
Vorrei però dire una cosa, che mi sembra un po’ il cuore del problema.
Gli antichi parlavano di umiltà, ed era ritenuta una virtù, soprattutto vissuta, predicata e proposta dai Mistici medievali. Erano grandi, ma umili. Basterebbe leggere ciò che ha scritto sull’umiltà Meister Eckhart.
Parlavano di umiltà nel senso più positivo, e non nel senso negativo così come ha sempre fatto la Chiesa istituzionale, proponendo l’umiltà come rassegnazione passiva al suo potere. Umili, sottomessi, obbedienti, istituzionali…
L’umiltà intesa correttamente è una mina per la Chiesa, perché mette in crisi ogni suo apparato strutturale. Un discorso da fare, ma qui mi limito a stendere solo qualche considerazione.
Talora mi chiedo: questi superiori che hanno in mano il potere come intendono l’umiltà? O, meglio, più provocatoriamente, loro in prima persona vivono di umiltà, o sono così cocciutamente convinti di essere sempre nel giusto da non essere mai disponibili ad ascoltare nessuno, nemmeno i loro collaboratori, che tra l’altro, essendo scelti col criterio della mediocrità e dell’obbedienza, che contestazioni potrebbero fare?
In ogni campo, anche in quello civile, dovrebbe esistere l’opposizione o minoranza dissidente. Perché nella Chiesa non è permesso? E se esiste, perché non la si ascolta, anche se qualcuno proponesse qualcosa di troppo provocatorio?
Mi hanno riferito che Angelo Scola, quando era arcivescovo di Milano, faceva sempre di testa sua: non voleva ascoltare nessuno dei suoi collaboratori, che naturalmente, dopo qualche tentativo andato a vuoto, se ne stavano zitti magari borbottando privatamente.
Di Mario Delpini dicono la stessa cosa: non ascolta nessuno. Fa di testa sua o ascolta coloro che gli danno sempre ragione.
Mi ricordo che, in un incontro personale (non solo uno!) che ho avuto con il cardinale Carlo Maria Martini, a una mia certa reticenza a parlar male di un suo collaboratore, mi disse un po’ risentito: “Tu mi devi dire tutto, poi toccherà a me valutare ciò che mi dici!”.
Ho avuto la stessa sincerità di dialogo anche con il cardinale Dionigi Tettamanzi, il quale, se verso la fine ha dovuto prendere qualche provvedimento, è stato perché spinto dal suo ottuso collaboratore, Vicario generale, Carlo Redaelli.
Purtroppo, devo riconoscere che la mia schiettezza nel parlare e nello scrivere mi ha sempre procurato guai, ciononostante non ho mai ceduto di un millimetro: tuttora quello che devo dire dico.
Anche ultimamente, dicendo troppo e sinceramente, ho trovato porte chiuse, anche con il cardinale Matteo Zuppi. Mi ha deluso.
Questa è la mia amarezza: voler aiutare qualcuno (è forse orgoglio dire ciò che si pensa?), e non poterlo fare, perché mi chiudono le porte.
È così anche con Mario Delpini: mi chiude le porte, rompe il dialogo, poi si lamenta perché lo contesto anche duramente.
In occasione della sentenza di condanna per la querela di Matteo Salvini è venuto da me (a far che, non l’ho ancora capito!), è rimasto tutto il tempo con la bocca chiusa, nonostante gli avessi fatto diverse domande. Questo è dialogare?
Con Carlo Maria Martini non era così. Ci sono stati anche momenti di tensione, poi ho chiarito, come egli mi chiedeva di fare.
L’umiltà dov’è e che cos’è? Solo imporla agli altri, perché ciecamente obbediscano?
Umiltà!
Non so se ho capito bene, forse si riferiva ai giovani, ma quando Mario Delpini ha detto recentemente, nell’omelia della Traditio Symboli che “siamo stufi di gente che pone domande senza mai ascoltare le risposte”, mi chiedo quali siano le risposte di Mario Delpini alle mie domande, anche sotto forma di provocazione.
Ultima cosa. Credo che ultimamente la Chiesa abbia scelto una via ancor più mortale: mettere in un angolo gli spiriti liberi, dimenticarli, coprirli con tanta polvere di emarginazione occulta: non vuole più creare casi mediatici che farebbero parlare.
E allora mi chiedo: come far giungere al mio vescovo le mie proteste?
Ma il problema forse è ancor più drammatico: Mario Delpini non ascolta nemmeno la voce dei suoi preti che stanno male sia fisicamente che psichicamente, lasciati soli a marcire in una stanza, con la benedizione pasquale, da lontano, molto da lontano.
Qui non è questione di umiltà, ma di umanità…
Totale fallimento…
DON GIORGIO
A conferma di quanto scritto l’omelia della messa Crismale del Vescovo Delpini. Davanti alla ristrettezza numerica del clero il Vescovo è arrivato a dire: “nella Chiesa tutti i battezzati sono pietre vive, sono chiamati per essere mandati a portare il lieto annuncio ai poveri. (…) La corresponsabilità di tutti per la missione si vive nella vita ordinaria, si vive negli ambienti del quotidiano, come testimonianza, come il rendere ragione della speranza che è in noi. Tutti i battezzati, ma in modo particolare i laici, uomini e donne, sono mandati per essere testimoni là dove vivono, lavorano, coltivano i loro affetti e la loro gioia, attraversano le loro tribolazioni e si prendono cura dei fratelli e delle sorelle”.
Finché bastavano i preti i laici erano le pecorelle smarrite da guidare, adesso diventano corresponsabili. Non potevamo nemmeno tenere in casa la Bibbia e adesso siam diventati il soggetto predisposto a portare l’annuncio nei luoghi che abitiamo. È una promozione vero?
Ma attenzione perché c’è una parola anche per i preti mancati,ossia i diaconi, da sempre inutili e mal visti dal clero: “cogliere con una certa frequenza una specie di imbarazzo a proposito del rapporto tra preti e diaconi, come se i due gradi del ministero ordinato avessero un principio di incompatibilità. Ma il diacono, come il presbitero, è collaboratore del vescovo per la missione”. Beh i diaconi ci son da oltre 30 anni, accorgersi ora di questa cosa è da persone acute.
Qui stiamo raschiando il fondo del barile…prima i preti erano dio in terra e tutti gli altri inutili e inferiori. Adesso per necessità siam tutti corresponsabili alla missione del Vescovo.
Io questo comportamento lo definisco in un solo modo: opportunismo. E non c’entra niente con la Chiesa, con Cristo e con lo Spirito.
Solo belle parole utili a risolvere un problema strutturale. Io non mi lascio prendere in giro da nessuno, sia chiaro.
APPREZZO STIMO E CONDIVIDO PROFONDAMENTE CIO’ CHE AVETE SCRITTO…IN PARTICOLARE QUELL’ ASSENZA DEL SOFFIO DELLO SPIRITO….
NON RIESCO PIU’ AD ASSISTERE A UNA CELEBRAZIONE SENZA SENTIRE LO STOMACO CHE SI RIBELLA…MA SENTO PROFONDAMENTE LA MANCANZA DI UN VERO CONFESSORE E DI NON POTER FARE LA COMUNIONE CHE DI TUTTO L’APPARATO ECCLESIASTICO E’ LA SOLA COSA CHE DA VALORE ALL’ANIMA…..
PECCATO STIA COSI’ LONTANO D.GIORGIO……………….
E’ un onore vedere un mio commento come introduzione ad un post in questo blog che apprezzo e stimo.
Sono veramente onorato.
Grazie