Le donne e la sfida dell’istruzione globale

da rivista.vitaepensiero.it

Le donne e la sfida dell’istruzione globale

29.03.2025
di Chiara Continisio
A trent’anni dalla IV Conferenza mondiale delle donne e dalla emanazione della Piattaforma d’Azione di Pechino, è tempo di verifiche. Chiamando i governi a collaborare alla realizzazione del «pieno esercizio da parte delle donne e delle bambine di tutti i diritti umani e libertà fondamentali» e a «adottare misure efficaci contro le violazioni di questi diritti e libertà», nel 1995 l’ONU indicava tra questi l’uguale accesso all’istruzione, l’eliminazione dell’analfabetismo, la messa a punto di sistemi di istruzione e formazione non discriminatori e il loro adeguato finanziamento. Ora, l’Unicef ha pubblicato il rapporto Girl Goals: What has changed for girls? Adolescent girls’ rights over 30 years e prova a restituire il quadro dei progressi, indubitabili, e del molto che resta da fare. L’alfabetismo tra le donne si è dimezzato, e benché il numero delle bambine e delle ragazze che usufruiscono di regolari percorsi di istruzione non sia mai stato così alto, si stima che quelle ancora prive di accesso alla scuola siano 122 milioni, e che una su quattro non finisca le scuole superiori. La situazione peggiora nelle aree del mondo sconvolte dalla guerra, dai cambiamenti climatici dalle conseguenze delle pandemie e da vecchi e nuove povertà.
Il tema dell’educazione e del suo ruolo nel progresso della condizione delle donne e della società in generale non è certo nuovo e, anzi, nella storia del pensiero femminile, ricorre con sorprendente costanza. Alla fine del Settecento, a farsene portavoce fu Mary Wollstonecraft, oggi considerata la madre del femminismo moderno. Nella sua opera più nota, Rivendicazione dei diritti della donna (1792), scrive: «Le rappresentanti del mio sesso, spero, mi vorranno scusare se le tratterò da creature razionali, piuttosto che adulare le loro grazie ammaliatrici, come se fossero in uno stato di infanzia perpetua, incapaci di stare in piedi da sole». Ciò che voleva dire era che si sarebbe rivolta alle esponenti del suo sesso, naturali destinatarie della sua opera come nessuno si era mai rivolto a loro fino a quel momento, vale a dire come se fossero dotate di una mente razionale. Cosa che esse naturalmente erano, a suo avviso, ma che non in molti erano inclini a riconoscere. Tutto, nel comportamento femminile, del resto, lasciava supporre il contrario: fisicamente e moralmente deboli, prive di autonomia di giudizio, bisognose di guida, frivole, capricciose e sensualissime creature, si muovevano nei salotti privati e nei pubblici ritrovi dove il bel mondo si diverte, con il solo obiettivo di trovare nel mercato matrimoniale un marito che le tolga dall’impaccio di doversela cavare da sole e «usi la ragione per lei». Un’indipendenza, questa, che del resto non saprebbero gestire, perché nessuno ha mai insegnato loro cosa sia, come si possa vivere dipendendo dal proprio giudizio per tutte le decisioni rilevanti della vita, né come essere madri razionali e vere compagne dei propri mariti, e non «graziosi animali domestici», del tutto incapaci di svolgere la benché minima parte delle proprie responsabilità.
L’educazione, appunto: fino a quel momento chiave di volta della subordinazione della donna, poteva e doveva diventare invece lo strumento della costruzione di una nuova idea di femminilità, fondata sulla ragione, l’intelletto e le virtù che ne discendono.
Non è un caso che Wollstonecraft esordisca come scrittrice e pensatrice con un’opera intitolata Pensieri sull’educazione delle figlie (1787): qui, facendo tesoro delle sue esperienze di insegnante in una scuola per ragazze, da lei stessa fondata e gestita a Newington Green, nei pressi di Londra (1784-1786), e del suo lavoro di istitutrice delle figlie dei visconti di Kingsborough (1786-1787), sottopone a critica serrata il modello secondo il quale le bambine venivano educate e ne propone uno differente. «Vorrei si insegnasse loro a pensare», scrive, e per farlo è necessario che la ragione venga addestrata ad associare le idee che riceve dall’esperienza. Solo dopo essere stata messa sulla buona strada da una adeguata istruzione, saprà come comportarsi secondo ciò che, in ogni situazione, avrà con sicurezza individuato come giusto e buono. Diversamente da tanta letteratura pedagogica femminile, Wollstonecraft non intendeva insegnare alle donne a conformarsi a ciò che la società chiedeva loro di essere, fare e dire (e non essere, non fare e non dire), ma a sfruttare quel potenziale razionale che da più parti – e ormai da più di un secolo – si diceva appartenere a tutti gli esseri umani. Wollstonecraft lo ribadiva con certezza e, prima ancora di trasformare questa semplice verità nella base più solida per una rivendicazione dei diritti delle donne, ne fece lo strumento idoneo per incoraggiarle all’indipendenza di giudizio. Le due cose sono, nelle sue opere, strettamente legate: se non impareranno a pensare, non saranno mai in grado di dare il loro contributo al progresso della società, come individui autonomi, come madri dei futuri cittadini e delle future cittadine, come mogli e autorevoli compagne dei loro mariti. L’educazione delle bambine, per Mary Wollstonecraft, avrebbe fatto tutta la differenza del mondo. E la farebbe senz’altro anche oggi: forse per questo, quando i tiranni prendono il potere, si premurano sempre di negare questo fondamentale diritto umano.

Chiara Continisio è professoressa associata di Storia del pensiero politico e insegna presso le Facoltà di Scienze della Formazione e di Scienze politiche dell’Università cattolica. Tra i suoi temi di ricerca, le teorie politiche tra Cinque e Ottocento, la storia delle donne, con particolare riguardo al tema del potere femminile e delle sue rappresentazioni ideologiche. Di Mary Wollstonecraft, ha curato i Pensieri sull’educazione delle figlie, usciti in questi giorni da Castelvecchi.

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