da www.money.it
03/05/2023
Quale governo ha tagliato di più
le tasse sul lavoro:
il confronto tra Renzi, Conte, Draghi e Meloni
Stefano Rizzuti
La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, rivendica di aver approvato il più alto taglio delle tasse sul lavoro degli ultimi decenni, ma è davvero così? Il confronto con Draghi, Conte e Renzi.
Per Giorgia Meloni il taglio delle tasse sul lavoro approvato dal suo governo è stato il più alto degli ultimi decenni. L’esecutivo ha in effetti investito quasi tutte le risorse previste dal Def per aumentare lo sgravio contributivo a favore dei lavoratori dipendenti: ora il taglio, partendo dalla base introdotta dal governo Draghi, ha raggiunto i 6 punti percentuali per i redditi sotto i 35mila euro e addirittura i 7 punti per quelli al di sotto del 25mila euro.
Si può, però, davvero parlare del taglio delle tasse più alto degli ultimi decenni? Il tema della riduzione delle tasse sul lavoro è ricorrente da ormai diversi anni e diversi governi. Negli ultimi dieci anni è stato prioritario per tutti, da destra a sinistra. E l’intervento ha riguardato molto spesso proprio il cuneo fiscale, che in Italia è molto più alto che nella media Ocse.
L’obiettivo dei diversi esecutivi è sempre stato quello di aumentare il netto in busta paga per i lavoratori, soprattutto per quelli con redditi più bassi. Ma quale governo ha tagliato di più le tasse sul lavoro? Il Sole 24 Ore ha effettuato qualche stima: entriamo nel dettaglio.
Il taglio del cuneo fiscale del governo Meloni
Il governo Meloni è intervenuto aggiungendo quattro punti al taglio del cuneo fiscale, a partire da luglio, per i redditi fino a 35mila euro. Già con la manovra aveva aggiunto un punto di sgravio per i redditi fino a 25mila euro. La misura approvata il primo maggio vale oltre 3,5 miliardi, con una busta paga più pesante (comprendendo anche i tagli già in vigore) tra gli 80 e i 100 euro.
Con la manovra il governo aveva già messo in campo 5 miliardi per confermare lo sgravio del 2% introdotto da Draghi e per aggiungere un ulteriore punto percentuale a chi guadagna meno di 25mila euro. Sommando i 5 miliardi della manovra ai quasi 4 di oggi (stavolta il taglio vale solo metà anno), arriviamo a un totale tra gli 8,5 e i 9 miliardi di euro. Un eventuale rinnovo di questi tagli nel 2024, per tutto l’anno, costerebbe più di 10 miliardi. Ma sulla conferma per il prossimo anno ancora non c’è certezza.
Tasse sul lavoro, i tagli del governo Draghi
Il governo Draghi è intervenuto su più fronti, per quanto riguarda le tasse sul lavoro. Ha introdotto il taglio del cuneo fiscale del 2%, dopo un primo intervento dello 0,8%: inizialmente ha speso 1,2 miliardi, poi durante l’anno ne ha aggiunto un altro per arrivare al 2% di sgravio.
Inoltre l’esecutivo guidato da Mario Draghi ha ridotto l’Irpef, passando da cinque a quattro aliquote: il costo è stato tra i 7 e gli 8 miliardi. Aggiungendo a questi il taglio del cuneo fiscale, siamo intorno ai 10 miliardi di euro investiti. Inoltre, spiega il Sole, bisognerebbe aggiungere anche i sei miliardi aggiuntivi stanziati per l’Assegno unico: così si arriverebbe complessivamente a 15-16 miliardi.
Il bonus 100 euro del governo Conte
Il secondo governo Conte ha invece aumentato il bonus Renzi da 80 euro, portandolo a 100 euro mensili per i redditi fino a 26.600 euro, con un meccanismo di decalage fino ai 40mila euro. Il bonus è stato introdotto per la seconda metà del 2020 con un costo da 3 miliardi, per poi diventare strutturale nel 2021 con una spesa di 5 miliardi: per un totale di 8 miliardi in due anni.
Il bonus 80 euro del governo Renzi
Dopo le riduzioni del costo del lavoro introdotte dai governi Monti e Letta, con diversi meccanismi, l’esecutivo guidato da Matteo Renzi nel 2014 ha introdotto il bonus 80 euro: una detrazione da 960 euro l’anno per i lavoratori dipendenti con redditi fino a 24mila euro e poi un meccanismo di decalage fino ai 26mila euro. La spesa è stata stimata tra i 9 e i 10 miliardi di euro, per una misura poi diventata strutturale.
Quale governo ha tagliato di più le tasse sul lavoro?
Ricapitolando, non è vero che quello del governo Meloni è stato il più importante taglio delle tasse sul lavoro. Draghi, senza considerare l’Assegno unico, ha investito circa 10 miliardi. Poco meno ha fatto Renzi, con una spesa (l’anno) tra i 9 e i 10 miliardi. Il governo Meloni ha invece speso tra gli 8,5 e i 9 miliardi di euro: in questo caso, comunque, va detto che c’è ancora tempo per ulteriori misure in questa direzione nei prossimi mesi. Infine il governo Conte ha investito (in un arco temporale più lungo) 8 miliardi.
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da www.corriere.it
Tasse,
chi le ha ridotte di più sul lavoro?
Il confronto tra Meloni, Draghi, Conte e Renzi
di Redazione Economia
Taglio della tasse sul lavoro, «il più importante da decenni»
Da Renzi a Meloni, passando per Conte e Draghi. La riduzione delle tasse sul lavoro è una costante dell’impegno dei governi che si sono succeduti negli ultimi 10 anni. Nel mirino è soprattutto, ma non solo, il cosiddetto cuneo fiscale, cioè la differenza dovuta al fisco e ai contributi tra il salario lordo pagato dalle imprese e il netto che arriva nelle tasche del lavoratore. Per spiegare basta fare riferimento ad un solo valore: nel 2022 il cuneo fiscale italiano è stato pari al 45,9% contro una media Ocse del 34,6%, e poi c’è la necessità ora di sostenere i salari visto che l’inflazione di fatto riduce il loro valore. Per questo il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nel giorno della festività del 1° maggio, ha convocato un Consiglio dei ministri annunciando il taglio delle tasse sul lavoro «più importante degli ultimi decenni». Ma è davvero così? Ecco il confronto tra gli ultimi governi.
Governo Meloni, taglio delle tasse fino a 9 miliardi
Nel decreto Lavoro, appena approvato dal Consiglio dei ministri, è previsto il taglio del cuneo fiscale di 4 punti per i redditi fino a 35 mila euro lordi. Vale nel complesso 3,5-4 miliardi che spalmati in 9 mesi, secondo alcune valutazioni, può arrivare a valere 80-100 euro mensili in busta paga. Questo «taglio», che scade a fine anno con la volontà del governo di trovare i finanziamenti per prorogarlo, si aggiunge a quanto previsto nella manovra approvata lo scorso dicembre. Allora il governo Meloni ha rifinanziato il taglio del 2% introdotto da Draghi fino ai 35 mila euro e ha incrementato questa riduzione al 3% fino a 25 mila euro, per un costo complessivo di circa 5 miliardi. In totale il taglio per quest’anno vale 8,5-9 miliardi.
Governo Draghi, taglio delle tasse fino a 16 miliardi
Prima del governo Meloni i lavoratori avevano già visto un taglio del cuneo del 2% da parte del governo Draghi. L’esecutivo guidato dall’ex presidente della Bce ha però ridotto anche l’Irpef, con una manovra da circa 7-8 miliardi che ha portato da cinque a quattro le aliquote previste. A questo aveva inizialmente aggiunto un taglio dello 0,8% del cuneo fiscale (finanziato con 1,2 miliardi) rimpolpato con un altro miliardo con il decreto Aiuti Bis. Totale 9-10 miliardi. A questo si aggiunge — con un impatto chiaro sui conti delle famiglie — l’arrivo dell’Assegno Unico, che costa in totale circa 18 miliardi l’anno raggiunti raggruppando quanto previsto in passato per varie misure in favore dei figli a carico ma per il quale sono state stanziate risorse aggiuntive per circa 6 miliardi l’anno. Un alleggerimento fiscale, quello del governo Draghi, che vale quindi circa 15-16 miliardi.
Governo Conte, taglio delle tasse fino a 8 miliardi in due anni
Come il governo Meloni si è ritrovato in scia al governo Draghi, così anche l’esecutivo Conte ha ripreso alcuni strumenti del governo Renzi. In particolare, Giuseppe Conte nel suo secondo esecutivo ha aumentato il cosiddetto bonus Renzi a 100 euro mensili, per i redditi fino a 26.600 euro lordi con un decalage fino a 40 mila euro. Il provvedimento, valido solo per la seconda metà del 2020, è stato poi reso strutturale con la legge di Bilancio successiva. L’estensione era costata 3 miliardi nel 2020 e 5 miliardi nell’anno successivo.
Governo Renzi, taglio delle tasse di circa 10 miliardi
Sia il premier Monti sia Letta, che avevano preceduto Renzi, avevano ridotto il cuneo e le tasse su lavoro con un fondo dedicato il primo e con un aumento delle detrazioni Irpef e la riduzione di alcuni premi assicurativi il secondo. Con il governo Renzi nel 2014 arriva il bonus da 80 euro: una detrazione da 960 euro l’anno per i lavoratori dipendenti fino a 24 mila euro di reddito e con un decalage fino a 26 mila euro. Il governo aveva calcolato una spesa di circa 10 miliardi e anche l’Upb, l’ufficio parlamentare di Bilancio, ha calcolato il costo di oltre 9 miliardi, con effetti benefici sui consumi.
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www.huffingtonpost.it
01 Maggio 2023
Perché quello di Meloni
non è “il taglio delle tasse più importante
degli ultimi decenni”
di Luca Bianco
Nella suo video-fiction da Palazzo Chigi la premier si vanta del taglio del cuneo fiscale come della riduzione delle imposte più importante degli ultimi anni. Ma Prodi, Renzi e Draghi tagliarono più di lei
Anche poco fa, dal palco della campagna elettorale per le amministrative di Brescia, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti lamentava: “È incredibile come possano esserci polemiche dopo un provvedimento che ha messo soldi in più nelle tasche degli italiani. Abbiamo raddoppiato e triplicato il taglio del cuneo fiscale”. Non è il primo oggi: diversi esponenti di maggioranza e la stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni rivendicano il decreto Lavoro approvato in Consiglio dei ministri in mattinata, attaccando le opposizioni e denunciando “polemiche inesistenti” su una misura che va a tagliare le tasse. Eppure le polemiche sono diventate inevitabili dal momento in cui la stessa premier, nella clip dietro le quinte del Cdm che fa diramare dal suo staff nel pomeriggio, si vanta, euforica, del “più grande taglio delle tasse degli ultimi decenni” riferendosi alla riduzione del cuneo fiscale in busta paga contenuta nel provvedimento. Come abbiamo scritto si tratta di 4 miliardi di euro a partire da luglio, i quali vanno ad aggiungersi ai 3,5 stanziati in manovra a dicembre, che erano in buona parte una conferma del taglio di Draghi. Totale 7,5 miliardi al massimo.
Una cifra considerevole, che però non risulta essere il più grande taglio delle tasse degli ultimi decenni. Se si considera anche solo il doppio intervento sul lavoro del precedente governo, quello guidato dal banchiere Mario Draghi. In primis, con il taglio del cuneo fiscale del 2% totale considerando l’intero 2022, Draghi investì qualcosa come quattro miliardi. A questi vanno aggiunti i quasi 6 miliardi destinati al bonus per 28 milioni di lavoratori dipendenti da 200 euro una tantum disposto dal decreto Aiuti approvato esattamente un anno fa. Le misure di Draghi per il taglio delle tasse sul lavoro raggiunsero circa 10 miliardi di euro. Quelli di Draghi, però, proprio come quelli di Meloni sono interventi temporanei. Il taglio del cuneo di oggi, infatti, scadrà il 31 dicembre 2023. Dall’anno nuovo, se non verranno individuate le coperture necessarie a rinnovare la riduzione, le tasse torneranno a pesare nelle buste paga dei lavoratori coinvolti.
Tutt’altra storia, invece, sono i tagli delle tasse più importanti decisi da alcuni predecessori di Meloni a Palazzo Chigi. Ad esempio Matteo Renzi che, considerando solo i leggendari “80 euro”, investì qualcosa come 10 miliardi di euro strutturali, un intervento che fu confermato non solo nel 2014, quando fu approvato dall’esecutivo dem alleato con il partito di Angelino Alfano, ma anche negli anni successivi. L’intervento di Meloni non è nemmeno superiore, in termini di risorse mobilitate, allo “sfortunato” taglio del cuneo fiscale voluto dal secondo governo di Romano Prodi nel lontano biennio 2007-2008. Anche in quel caso si trattò di un intervento strutturale, la riduzione di cinque punti percentuali, da 6/8 miliardi di euro. In quell’occasione Prodi non riuscì a sfruttare il taglio delle tasse a livello elettorale perché scontentò sostanzialmente tutti: il 60% del taglio andava a favore delle imprese e il resto del 40% ai lavoratori attraverso un complesso meccanismo di deduzioni. Insomma, tornando ad oggi, quelle qui ricordate sono cifre pari o superiori a quelle investite ora dal governo Meloni, come ricorda anche il deputato di Italia Viva Luigi Marattin, presidente della commissione Finanze nella scorsa legislatura e consigliere economico di Renzi a Palazzo Chigi, che oggi, in un tweet, critica le parole di Meloni: “Sapete perché la politica ha perso credibilità? Perché le si consente di usare le parole totalmente a ca**o”.
La maggior parte dei governi si regge sulla propaganda, visto che amministrare la cosa pubblica è un’attività complessa e spesso impopolare. In questo senso c’è una gara a chi strilla più forte e cerca di ascriversi meriti che vanno oltre le proprie iniziative e la realtà dei fatti…
Fai un giro di parole per dire che in politica sono tutti bugiardi? Ma chi è un vero bugiardo se non il populista? E chi è il vero bugiardo se non il dittatore che nasconde la realtà? Una semplice domanda: che differenza c’è, se c’è, tra Giorgia Meloni e Mario Draghi? Non dico per intelligenza, per competenza e per nobiltà: sarebbe chiara la risposta. La Meloni è una poveretta, una tappetta, ridicola, supponente e bugiarda dalla testa ai piedi, figlia di un padre delinquente (il sangue è sangue…), che si è circondata di ministri pelandroni e idioti. Ha paura di rispondere ai giornalisti, si è presa la rai e altre tv, sempre presente rompendomi le palle da mattina a sera. Perché va in tv, a differenza di Draghi che non vedevi mai? Draghi lavorava sodo senza cercare quella visibilità che avrebbe anche meritato. La Meloni è semplicemente una bugiarda che vuole convincere quella massa di idioti che l’hanno votata a credere alla sua parola. Bastardella da quattro soldi… Finirai presto anche tu nella fogna… Sparisci…
La Meloni, come Salvini è sempre stata come il prezzemolo e te la ritrovavi dappertutto, finanche nei programmi di cucina. A maggior ragione adesso che ha avuto un successo personale travolgente (anche se con la metà degli aventi diritto al voto). Lei, come gli altri leader della destra-centro non sono in grado di reggere il confronto con Draghi, che oltre ad essere un signore nel vero senso della parola, aveva, ha un prestigio personale a livello internazionale straordinario per un “politico” italiano…