Omelie 2024 di don Giorgio: SESTA DI PASQUA

5 maggio 2024: SESTA DI PASQUA
At 26,1-23; 1Cor 15,3-11; Gv 15,26-16,4
Anche in questa domenica, come per tutto il periodo pasquale, il primo brano della Messa è preso dal libro “Atti degli apostoli”, scritto fa Luca, autore anche del terzo Vangelo.
Il racconto di oggi fa parte della quarta e ultima sezione, di ben sette capitoli, che riguarda la testimonianza dell’apostolo Paolo prigioniero, in attesa di essere portato a Roma – aveva anche la cittadinanza romana – per essere giudicato dal tribunale romano. Richiederebbe troppo tempo spiegare lo svolgersi del complesso processo che si è svolto per più anni davanti a diversi governatori, tra l’altro messi sotto pressione dai capi ebrei che volevano la pelle del traditore, tentando anche di ucciderlo.
Più volte Paolo ha ricordato la sua conversione al Cristianesimo dopo essere stato un persecutore degli stessi cristiani. Ed è su questo punto che vorrei fare qualche riflessione.
Sì, Saulo prima di convertirsi era stato un fervido fariseo, «vissuto secondo la setta più rigida della religione ebraica”, così egli stesso confessa. Bisogna riconoscerlo: era convinto, agiva in buona fede, e non sopportava che degli ebrei tradissero l’antica fede dei loro padri.
Ma sappiamo che dalla convinzione al fanatismo il passo è facile, e non si sopporta il tradimento dei fratelli nella stessa fede. E può succedere che chi si converte ad un’altra fede diventi a sua volta un fondamentalista, odiato dai suoi precedenti amici e non sopportato dai nuovi fratelli nella fede. La conversione ha i suoi meccanismi anche psicologici: solitamente uno che è radicale nelle proprie convinzioni, quando si converte a un’altra religione mantiene la radicalità di fondo. Potrei citare diversi casi di convertiti al Cristianesimo che si sono trovati tra due fuochi: per esempio il caso del cardinale Newman, presbitero anglicano convertitosi poi al Cristianesimo, ed è il caso più noto di Giovanni Papini, prima anticlericale poi feroce difensore dei principi più puri del Cristianesimo.
Nella Chiesa troviamo diversi santi, che quando si sono convertiti e hanno cambiato vita, sono diventati ferventi seguaci del Vangelo radicale di Cristo.
Leggiamo nel libro dei Proverbi: «Ogni parola di Dio è purificata nel fuoco… Non aggiungere nulla alle sue parole, perché non ti riprenda e tu sia trovato bugiardo» (30,5-6).
Questa ammonizione richiama immediatamente il sine glossa di san Francesco, la sua volontà di osservare il Vangelo alla lettera, cioè senza alcuna interpretazione, senza accomodamenti alla mentalità dominante, senza compromessi col mondo, senza alcun tradimento. Francesco era consapevole che nella Parola di Dio non c’è alcuna impurità, imperfezione, scoria. La Parola è rivestita di tutta la santità di Dio, della sua verità, giustizia, amore, carità. Perciò san Francesco d’Assisi non ha mai aggiunto nulla alle parole di Dio. Egli ascoltò e seguì sempre nella loro purezza assoluta le parole di Gesù. Il Vangelo per lui è una lettera viva, un testo che respira, sono parole profumate, parole che portano l’odore di Cristo. In esse Cristo è presente. Per san Francesco «la verità non sono parole, ma è una persona. Gesù è la sua verità, il suo “manifesto”, il suo testo, la sua pace, il suo tutto».
Chiariamo: fondamentalismo non significa di per sé assoluta fedeltà alla Parola di Dio, casomai cieca e ottusa credenza nei dogmi della propria religione, e nel caso nostro il vero Cristianesimo non è una religione, ed è per il fatto che sia diventato una religione che sono successi tutti quei guai che fanno parte di ogni religione.
Sulla figura di Paolo si sono dette e scritte tantissime cose, vere e non vere: è forse il personaggio più discusso del Cristianesimo. Qualcuno lo ha accusato di aver dato al primitivo Cristianesimo un orientamento fuorviante, tradendo il vero pensiero di Cristo.
Forse tutto sta nel non farsi prendere dai soliti pregiudizi che tra l’altro, se in parte sembrano porre qualche dubbio sulle nostre certezze più o meno dogmatiche, dall’altra ci fanno cadere in altri estremismi forse peggiori di quelli che si contestano.
Sto imparando una cosa, forse troppo tardi secondo alcuni, ma non è mai troppo tardi, nemmeno a ottanta e più anni, ovvero che la Bibbia va colta nella sua realtà più interiore, che è quella ispirata da Dio.
La Bibbia non va letta e interpretata come fosse un soggetto problematico steso sul lettino di uno psicanalista. Non ce l’ho con gli esegeti, anzi non potrei farne a meno quando leggo e spiego la Bibbia. Ma non sopporto quella moda, soprattutto di oggi (anche di preti che girano ovunque, anche in tv, a dire la loro su ogni pagina del Vangelo), che consiste nel voler spiegare la Parola di Dio con i metodi anche scientifici che si usano quando si spiega un testo qualsiasi della letteratura. Costoro dimenticano una cosa importante, ed è che la Bibbia, fino a prova contraria, è un libro ispirato da Dio. Ed è qui il problema, o il nostro impegno: saper cogliere l’ispirazione divina, che talora è nascosta. perciò non facilmente immediata, soprattutto in certi episodi o figure storiche della Bibbia che si prestano a interpretazioni diverse, anche troppo provocatorie, e proprio per questo affascinanti.
Due cose: anzitutto, dicendo che occorre “saper cogliere l’ispirazione divina” vorrei chiarire che quel “saper” richiederebbe una illuminazione particolare: spirito richiede spirito, intelletto richiede intelletto, senza la Grazia non si fa nulla nel campo dello spirito, e se la Bibbia è Parola di Dio non si può comprenderla senza la Grazia: certamente, la Grazia non fa tutto da sola, richiede anche la nostra parte, ma a nulla servirebbe se facessimo a meno della Grazia. E purtroppo ci sono esegeti che pensano di essere più intelligenti dello Spirito santo.
C’è un’altra cosa che vorrei evidenziare. La Grazia non blocca il cammino della fede che si apre man mano alla luce che entra nel nostro spirito se le facciamo spazio. la Grazia ci accompagna nel nostro cammino di ricerca della Verità che, essendo infima, non sarà mai cotta in pienezza dal nostro intelletto finché vivremo su questa terra.
Camminare nella libertà dello Spirito significa liberarci da ogni ingombro, da ogni peso inutile, da quel superfluo che rallenta i nostri passi. Possiamo dire di tutto su san Paolo, ma non che sia stato incoerente, si è sempre donato in tutto e per tutto per il bene spirituale e non solo spirituale (invitando a sostenere economicamente le comunità più povere).
E per rettificare cx3rti pregiudizi su san Paolo, basterebbe evidenziare tutto ciò che ha dovuto soffrire per amore del Cristo risorto: più volte minacciato, più volte sul punto di essere ucciso, anni e anni di prigionia.
In una parola l’autenticità di fede di un credente non la si misura nelle sue parole, nei suoi discorsi, nei suoi pellegrinaggi in giro ovunque per predicare, tenere conferenze, ma per quel suo soffrire solitudini, emarginazioni, umiliazioni morali e fisiche, perché solo chi è fedele alla Parola resiste ad ogni intimidazione, a ogni repressione, costi quello che costi. Nella seconda lettera a Timoteo, Paolo scrive: «Ricòrdati di Gesù Cristo, risorto dai morti, della stirpe di Davide, come io annuncio nel mio vangelo, per il quale io soffro fino ad essere incatenato come un malfattore; ma la parola di Dio non è incatenata» (2,8-9).

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