Condannatelo…

 

 

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www.huffingtonpost.it
04 Giugno 2022

Salvini è nudo,

un leaderino che si crede Napoleone

di Filippo Rossi
Non può pensare di fare il costruttore di pace con qualche telefonata, novello Gandhi del terzo millennio. Il leader leghista spesso pensa di essere quello che non è, poi la realtà prende il sopravvento
Un folle che si crede Napoleone, scriveva Jacques Lacan, è chiaramente un folle, ma non gli è da meno un re che si crede un re. Se per lo psicoanalista francese nemmeno un re può credersi davvero re, figuriamoci se un leader di un partito italiano può davvero pensare di essere il Gandhi del terzo millennio. Evidentemente qualcosa non va nella mente politica di Matteo Salvini se davvero pensa di se stesso di poter diventare “costruttore di pace” con qualche telefonata, una cena con un ambasciatore e una visita a Mosca. “Caro Vladimir, come va? Ti ricordi, sono Matteo, quello con la maglietta sulla Piazza Rossa con la tua effige militaresca. Ecco, oggi sono diventato un uomo di pace. Che ne dici? Facciamo pace? Tieni, ti ho portato anche il disco di Fred Buongusto…”. Una mancanza totale del senso della misura (e della decenza, visto che di mezzo ci sono migliaia di morti) che la dice lunga sulla stabilità psicopolitica di chi, almeno in teoria, dovrebbe avere la responsabilità di decidere nel mondo della realtà per il bene comune.
C’è chi la chiama “sindrome di Napoleone”, chi “pseudologia fantastica”, ma al di là delle definizioni scientifiche fa quasi impressione accorgersi come la spiegazione di mitomania si attagli alla perfezione all’azione politica e mediatica di Matteo Salvini: “Tendenza ad accettare come realtà, in modo più o meno volontario e cosciente, i prodotti della propria fantasia e a raccontarli come veri allo scopo di attirare su di sé l’attenzione altrui e soddisfare così la propria vanità”. A ben vedere quasi tutta la biografia politica del capitano può tranquillamente ricadere sotto questa tipologia: il porsi come difensore della patria di fronte all’invasione di un fantomatico nemico assoluto, il travestirsi continuamente a seconda della platea, i cappellini di Trump, le magliette di Putin, il dire tutto e il contrario di tutto sono tentativi di stare “al centro della storia” anche se nella realtà si è ai margini. Credersi Napoleone, appunto. O raccontarsi come Papa laico in nome di un’azione di pace senza alcun fondamento politico e giuridico… Basti pensare che la sua Lega è l’unico partito che ha assorbito nel simbolo il nome del leader che, in teoria, dovrebbe essere transeunte. Nemmeno Berlusconi era arrivato a tanto in quanto a narcisismo politico.
Un narcisismo istrionico e mitomane che, costruendo una realtà fantastica, riesce a scatenare ammirazione e attenzione grazie anche a un vuoto di buona politica che lascia spazi enormi agli inventori di mondi paralleli che, in un circolo vizioso costruito sulle bugie per rispondere alle aspettative e per sentirsi all’altezza, finiscono col confondere fantasia e realtà. Fino a quando la realtà, succede sempre, riprende finalmente il sopravvento. Fino a quando i finti capitani si mostrano finalmente per quel che sono: re nudi.
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www.huffingtonpost.it
02 Giugno 2022

La Lega non ha più un leader,

ma il problema è che non ha più un senso

di Mattia Feltri
Il partito centrifugo di Bossi invecchiò travolto dagli eventi. Quello di Salvini è un cumulo di fatue incongruenze, che non ha niente da dire al Nord, all’Italia e all’Europa. Cambiare capo sarà facile, il difficile sarà farsi venire un’idea
Quando si parla di Matteo Salvini, e si esclude a priori la pigrizia dell’indignazione, la via di fuga è sempre l’ironia. Come affrontare sennò l’epopea dell’assurdo di un leader ormai dedito al folklore, entusiasta e imbronciato nelle pièce diplomatiche, nel pacifismo turistico, un ambasciatore della politica da diporto incapace di imbarazzo alla scoperta – se lo ha scoperto – di avere esultato alla partenza dall’Ucraina verso la Russia di una nave riempita col saccheggio e scambiata per l’abbrivio di un appeasement commerciale? Probabilmente è pure ignaro della muta costernazione da cui è circondato nel partito, riluttante al golpe soltanto perché allevato al centralismo democratico bossiano, ma in attesa del momento adatto per liberarsi di un capo capace di raggiungere le formidabili quote del 34 per cento (Europee 2019), ma su basi programmatiche così vaporose da esalare a uno starnuto.
Se nemmeno l’ironia basta più, ci si può affidare a un’analisi turbata da un poco di malinconia per una Lega che nel transitare dalla Seconda alla Terza repubblica (definizioni generosissime), dal partito terragno a quello etereo, dalla figura del leader con tratti mistici a quella dell’influencer con le chiappe al sole, ne esce demolito e dunque fa benissimo a porsi il problema di come rimpiazzare un capo carnevalesco e autodiffamante, ma soprattutto deve porsi quello di ricostruirsi da cima a fondo, perché quanto rimarrà dopo questa stagione di bacioni, di spiagge, di selfie gastronomici, di fatua incongruenza, di improvvisazione umorale, in definitiva di minchionerie a grappolo, sarà un partito fumante di macerie.
La Lega delle origini, quella proliferata fra gli anni Ottanta e Novanta dello scorso secolo, era secessionista o quantomeno federalista, era centrifuga, aveva colto il declino dello stato nazionale, l’illanguidirsi dei confini, puntava all’Europa come nuovo orizzonte culturale e commerciale, malediceva il consociativismo e l’assistenzialismo perché aveva visto che il mondo stava cambiando e serviva liberare le energie creative della nostra imprenditoria, serviva capacità di competizione, si appoggiava al pragmatismo anche cinico di gente che sapeva di economia, come Vito Gnutti e Giancarlo Pagliarini.
Era il partito più moderno perché aveva scritte nella pelle le esigenze di un Nord ricco ed euforico, e però, per la sua essenza pedemontana, periferica, valligiana, conservò ostilità per ogni centro di potere, Bruxelles divenne presto la nuova Roma, si favoleggiava di una improbabile Europa chiamata dei popoli ma declinata in una forma di anarchia localistica. Quella Lega fu ben presto scavalcata dagli eventi, Maastricht e Schengen, la globalizzazione già nei fatti, la diffidenza anche nerboruta assorbita dai no global, il federalismo accettato con una certa disinvoltura pure a sinistra (riforma del titolo V nel 2001), e per tenere in vita un progetto ormai solo romantico, si infittì la propaganda pagliaccesca, il parlamento padano, l’acqua del Po, la messinscena dell’impotenza, e il declino di Umberto Bossi fu certificato col classico ritardo sui diamanti di Belsito e le Red Bull del Trota.
Ma un’idea nuova non è mai venuta. La Lega tardo bossiana, sterile nel suo né Roma né Ue, si è affidata a Salvini non sulla base di un progetto ma di un’emozione, l’onda lunga di Radio Padania, da dove Salvini sputazzava su questo e quello, si irrobustiva sulla capacità di reggere uno sketch, di elettrizzare il sintonizzato automobilista padano, cioè il Salvini perfetta spalla, utile giullare, politica nulla di nulla, zero. Ha messo in piedi un partito che è un profilo social, sovranista là dove ce n’era uno indipendentista, cioè costituzionalmente inadatto allo scopo, e fatto fuori dall’arrivo dei sovranisti veri di F.lli d’Italia, ha retto sulla meschina battaglia antimmigrazionista, rinfocolando paure e rabbie, ma quando la paura e la rabbia si sono spostate sulla pandemia e sulla guerra, non è restato niente da dire. Rimane un cumulo di esoteriche contraddizioni, la scelta di reggere il governo Draghi e rieleggere Sergio Mattarella conservando sprazzi inconsistenti di nazionalismo e euroscetticismo, la sciatta coazione a ripetere sugli sbarchi, il delirio no vax o giù di lì, uno sclerotico e incomprensibile garantismo per via referendaria mentre si citofona agli immigrati sospettati di spaccio, e mentre si chiede di gettare la chiave per uno e di far marcire in galera l’altro, si passa dalla posa texana con fucile e mitra per la difesa personale a un neo gandhismo da paiolo in difesa di un mascalzone qual è Vladimir Putin, a ogni crisi si invocano tutele e ristori da pentapartito che al solo sentirle evocare un elettore leghista del Nord cade svenuto.
Siamo sull’attenti ad ascoltare l’ultima che dice Salvini, per il gusto dell’intrattenimento umoristico, e non ci accorgiamo che la Lega non ha più niente da dire. Cambiare il leader sarà inevitabile e in fondo facile. Difficile sarà trovarne uno che abbia in testa qualcosa per l’Italia e l’Europa.

 

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