L’EDITORIALE
di don Giorgio
Parlo solo, rispondo solo, scrivo solo
a persone “intelligenti”
Mi hanno sempre detto che con le persone intelligenti si può discutere, dialogare, avere un confronto, ma con gli imbecilli non c’è speranza: appena aprono bocca, dicono stronzate, solo stronzate, e godono di dire stronzate: non sanno leggere, non sanno capire, chiudi in un mondo di imbecillità perenne.
Cè un rimedio: non ascoltarli, fregarsene, cancellare i loro commenti dalle proprie pagine di facebook e dal è proprio sito (che mi costa, non per dare visibilità agli imbecilli).
Sono imbecilli, da ignorare e da non ascoltare: dicono solo stronzate, e non vanno oltre una visuale di perversione mentale.
Neppure compatirli, solo ignorarli, come se non esistessero.
Adesso vorrei dire cose serie a persone serie, non importa se sono poche, e anche queste magari da educare per quel meglio, che sembra oggi una parola proibita.
Che cos’è il meglio?
Ci sono parole che si intuiscono dal profondo del proprio essere, ma che spiegarle è difficile a chi sta fuori del proprio essere.
Sì, è tutta questione di interiorità. Sta qui la differenza tra chi è intelligente ed è imbecille: l’intelligente attinge al proprio spirito, che è intelletto; l’imbecille è immerso in una carnalità che consuma il cervello fino a spegnerlo.
Parlavo di meglio, dovrei dire Meglio come quel tendere al Bene Sommo, fonte di ogni bene che esce e torna: emana dal Bene e vi torna.
E allora che cos’è il Meglio?
Sta proprio nel tendere al Massimo, al Bene Sommo, ovvero nel ritorno al Bene da cui siamo usciti.
Scusate: sto parlano a persone intelligenti, e quindi in grado di capirmi, parlerei inutilmente a imbecilli che capiscono solo il belare delle pecore o solo il muggito della mucca.
Per spiegare ciò che intendo per Meglio, solitamente ricorro alla triade hegeliana: tesi, antitesi, sintesi, da interpretare non solo in senso esteriore, ovvero per quanto succede nel mondo, ma anche in senso interiore, ovvero all’interno del proprio essere.
Partiamo dal nostro modo di agire con gli altri: tu dici la tua, io dico la mia, poi facciamone una sintesi, ma in che senso: prendo ciò che di buono c’è nel tuo pensiero o nella tua proposta, lo o la confronto con il “buono” che c’è nel mio pensiero o nella mia proposta per arrivare a un pensiero migliore o a una proposta più valida. Attenzione però: non si tratta del solito compromesso che accomoda tutto, per cui prendo ciò che aggrada a te e tu prendi ciò che aggrada a me, rischiando così di peggiorare le cose, perché la sintesi in questo caso sarebbe la cosa peggiore.
In questione invece è il “bene” migliore che c’è in te o che c’è in me, ed è sul bene “migliore” che si fa la sintesi.
Faccio un esempio: quando ero responsabile di una comunità, capitava durante un consiglio pastorale di dover discutere su una iniziativa da realizzare. Dicevo sempre: io dico la mia, voi dico la vostra, e poi scegliamo la cosa migliore. talora bastava anche un particolare “migliore” per cambiare tutto.
Ripeto: non vorrei sentir parlare di compromesso, che è quel gioco soprattutto politico di mediare accontentando i rivali ma scontentando la verità e la giustizia. Pensate ai trattati di pace, che sono sempre compromessi, che sono la premessa di altre guerre.
La dialettica hegeliana avviene anche dentro di noi, ed è questo l’aspetto ancor più importante e diciamo sconvolgente.
Diciamo subito: fuori di noi, ciò che succede nelle relazioni sociali resterà sempre nel cerchio di egoismi irrisolvibili, ma dentro di noi è in gioco la nostra libertà, e possiamo dire la nostra, nella Grazia divina.
È dentro di noi che il Meglio punta al Massimo, che è il Bene Sommo, non solo per tendere all’Unione mistica con il Divino, ma perché, come dicono i Mistici medievali, si realizzi in effetti la rigenerazione del Logos eterno.
Qui ogni compromesso diventa una bestemmia: il distacco da ciò che è il peggio, o semplicemente il superfluo, diventa necessario, non come sacrificio fine a se stante, ma in vista di quella Essenzialità divina, un traguardo non irraggiungibile, ma sempre possibile del nostro essere, assetato di Infinito, che si fa Realtà rigenerata nell’essere libero da ogni invadenza di quell’ego che non fa che portar dentro, dal di fuori, cose inutili.
Non è vero, come qualcuno pensa, che lo Spirito è libero di agire per conto suo: entra in azione, appena vede in me uno spazio vuoto, e lo spazio vuoto lo creo con il mio distacco.
Cosa stupenda questa dialettica che avviene nel nostro essere interiore, dove si gioca non una maggiore felicità terrena, ma quella vita di grazia che è la stessa vita divina.
Dite poco? E non dite che è un affare di anime privilegiate. Davanti al Sommo Bene non esiste alcun privilegio, o meglio il privilegio divino è in ogni essere umano.
NOTABENE
Se è vero che questo discorso l’ho fatto alle persone “intelligenti”, non fa pensare che Meister Eckhart teneva i suoi Sermoni a suore analfabete? E allora che cosa significa “intelligente”? Forse non basta essere laureato per capire le cose più intime di Dio, e le meraviglie che sono dentro di noi.
05/08/2023
Commenti Recenti