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03/08/2024
Il sovranismo di Giorgia
che adesso isola l’Italia anche nello sport
di Concetto Vecchio
Le critiche al Cio dopo lo scontro con la Fifa: il governo dalla parte di Russia e Ungheria
Ci siamo fatti riconoscere anche al Cio. Giorgia Meloni, incontrando ieri il presidente del Comitato olimpico Thomas Bach, a cui, con un’interferenza inelegante, ha portato le rimostranze del nostro governo per come sarebbe stata trattata la pugile Angela Carini, è tornata alla recita che le viene meglio: quella di vittima.
Sovranismo sportivo
Si sa che senza il vittimismo revanscista la forza retorica della nostra premier sfiorisce come una pianta sotto la canicola. E così dopo essersi messa ai margini dell’Europa, non votando per Ursula von der Leyen, ora si mettono in discussione anche le regole internazionali dello sport.
È nata ufficialmente la dottrina del sovranismo sportivo.
Sono giorni che le piace atteggiarsi a madre della nazione. Prima postando dalla Cina la foto della figlia, “topolina”, e poi facendo la carezza a Carini, che in apertura di Tg1 l’ha definita “una madre”. Insomma, ci pensa mamma Giorgia a difenderci dai presunti soprusi. Una madre con le mani ai fianchi, che inveisce, polemizza, e fa scudo al buon nome italico. Imbronciata. Offesa.
Una polemica come diversivo
Come se non avessimo problemi più seri. Si mescolano, in questo atteggiamento molte convenienze per la destra. In primis quello di trovare un diversivo, che consenta di non parlare dell’isolamento drammatico in cui siamo sprofondati nell’Unione europea, dei treni che accumulano ritardi spaventosi (vero ministro Salvini?), dell’autunno lacrime e sangue che ci attende. Insomma, delle difficoltà del governare, proprio mentre l’opposizione dà segno di un risveglio come dimostra la sorprendente campagna contro l’autonomia differenziata.
Ma l’intento è anche quello di rafforzare l’italianità ferita. «Un trans ha picchiato una nostra atleta», nella narrazione della destra, capeggiata da Ignazio La Russa: il trans sarebbe una donna, l’atleta algerina Imane Khelif contro cui Carini ha rinunciato a combattere perché troppo “maschio”.
Fratelli d’Italia l’ha presa alla lettera. Ha infatti presentato un’interrogazione parlamentare alla Commissione dell’Unione europea in cui cita Imane Khelif al maschile.
La cultura dell’alibi
Che storia incredibile. E poi sono giorni che ce la prendiamo con gli arbitri, in un crescendo di accuse, rispolverando così quella forma di piagnisteo che anni fa un grande sportivo che ama l’Italia come Julio Velasco definì “la cultura dell’alibi”. È sempre colpa di qualcun altro. Il potere è altrove nel complottismo all’amatriciana. «Non era ad armi pari», così Meloni ha definito la gara tra Khelif e Carini, smentendo lo stesso allenatore azzurro che invece riteneva l’avversaria battibile.
Un affaire geopolitico
Ora un premier dovrebbe assorbire non esasperare i nostri peggiori vizi. Invece si fa asse con la Federazione della boxe, che escluse l’atleta algerina per le stesse ragioni per cui la vorrebbe estromettere La Russa, che ha già invitato Carini al Senato. Solo che si tratta di una federazione non riconosciuta dal Cio, gestita da Umar Kremlev, imprenditore vicino a Putin. E ieri, chissà a che titolo, sul caso è intervenuto persino Dmitrij Peskov, il portavoce dello zar. E quindi questa storia è anche un singolare affaire geopolitico. Una triangolazione sovranista. E anche gli ungheresi di Orban, c’era da giurarci, si sono accodati nella polemica contro Khelif. La sacra alleanza così è magicamente ricomposta.
Quella battuta di Churchill
Quindi siamo alla manovra diversiva, alla pulsione autarchica, ma è anche un modo strumentale per attaccare la cultura gender, definendo uomo una donna, accreditando tesi false e umilianti per la dignità della persona.
Un mix che identifica la cultura oscurantista della destra nostrana.
Diceva Churchill, ai tempi del fascismo: «Gli italiani perdono le guerre come se fossero delle partite di calcio, e le partite di calcio come se fossero delle guerre». È questa l’Italia che si offre al mondo?
L’esempio di Mattarella
Non è mai simpatico fare paragoni. Ma salta all’occhio la differenza tra il signorile Mattarella che si prende la pioggia dell’inaugurazione, e stringe la mano ai nostri atleti, li incoraggia, come un padre dovrebbe fare con i figli, con più silenzi che parole, affettuosamente prossimo, e la nostra premier che si nutre del rancore e del melodramma continuo.
Dolori e eleganza
Già abbiamo fatto incavolare la Fifa, con un emendamento che consentiva il ricorso al Tar, scavalcando la giustizia sportiva, al punto che minacciavano di escluderci dall’organizzazione degli Europei del 2032. È di ieri la notizia, diffusa da Dagospia, che la destra vorrebbe cacciare il presidente della Figc per metterci Marco Mezzaroma, amico di Giorgia Meloni.
Per fortuna l’Italia è anche Benedetta Pilato che ha accettato con una serenità venata di lacrime la perdita del podio per una frazione di secondo nei cento metri rana. Le sconfitte ci rendono più umani, e i dolori vanno accettati con eleganza, anche se fanno male.
Ci vorrebbe un po’ più serietà. Viene da rimpiangere Gianni Brera secondo cui in Italia il rivoluzionario vero va in ufficio la mattina alle otto e mezzo e fa tutto intero il suo dovere fino al termine della giornata.
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