L’EDITORIALE
di don Giorgio
2/ Sul bene comune
Stiamo parlando del bene comune. Dopo aver chiarito che dire bene comune e dire bene pubblico non sono la stessa cosa, in quanto il bene pubblico riguarda un ente istituzionale che dovrebbe realizzare il bene comune, che perciò precede il bene pubblico, soffermarsi ora sulla parola “bene” è fondamentale e, appunto perché fondamentale, richiede uno sforzo che tutti potrebbero fare, anche se la parola “bene” richiama necessariamente la filosofia.
Chiariamo subito che non si tratta di un bene da intendere in senso esclusivamente materiale, ma di un bene tale da mettere in gioco lo stesso Essere divino. Se tu che mi leggi dovessi già subito arricciare il naso, non continuare a leggermi, perché ti dimostrerei che hai torto, ma a nulla servirebbero le mie parole se tu mantenessi gli occhi bendati.
Quando si parla di bene, ci si eleva fino alla Divinità, e non si può fare diversamente se è vero che, come affermava Platone, la Divinità (la parola “dio” non sarebbe mai da usare proprio per la sua limitatezza) è il Bene Assoluto o, come dirà qualche secolo dopo Plotino, la Divinità è l’unico Bene, è l’Uno, unico Bene.
Attenzione. Non stancarti di seguirmi. Dall’Uno, unico Bene, derivano o emanano (ognuno usa verbi che forse dicono la stessa cosa) altri beni finiti, ma che però hanno in sé la tendenza “naturale” al ritorno all’Uno, unico Bene. Se i beni creati uscissero dall’Unico, unico Bene, ma senza farvi ritorno, andrebbero nel nulla.
Ogni bene, in quanto bene, proviene dal Sommo Bene e ritorna al Sommo Bene. Ritorna nel senso che in ogni bene c’è una tendenza naturale all’Uno, perciò tradisce il suo essere bene se resta frammentario, o si disperde nella molteplicità della carne.
Parlare di “laicità”, come se il bene fosse da spogliare della sua origine divina, o parlare di “religiosità” come se il bene fosse da rivestire di una ulteriore sacralità, ciò sarebbe del tutto fuorviante, a tal punto da prendere ciò che si ritiene bene come una propria appropriazione.
Il bene non è una ideologia soggettiva, o di massa, e tantomeno una opinione personale o di partito, e non è una appropriazione da parte di una religione che fa del bene un qualcosa di suo.
Il bene in sé non è né “laico” (o profano) né religioso. È invece “sacro” per la sua origine divina, ovvero risale direttamente al Sommo Bene, senza intermediari.
Chi spoglia il bene della sua innata “sacralità” compie un delitto, in quanto riduce il bene a qualcosa di snaturato, e chi riveste la sacralità innata del bene con formalità tipiche di una religione non fa certo un onore al bene, ma lo copre di ridicolo e di grottesco, rendendolo irritante e facilmente indigesto.
Stato o non stato, fede o non fede, il bene è per natura “sacro”, e come tale va preso, sia che il bene riguardi gli enti pubblici sia che riguardi le istituzioni religiose.
In breve, ogni bene è “sacro” per la sua origine divina. Dis-sacrarlo è un delitto, renderlo religioso è una appropriazione idolatrica.
Nel bene, in ogni suo aspetto, vi è un riflesso di quel Sommo Bene, che sta all’origine della Creazione.
(continua/2)
5 settembre 2020
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