Caro Zuppi, perché non tenti almeno di cambiare rotta?

Caro Zuppi,

perché non tenti almeno di cambiare rotta?

Per essere sincero, non mi è piaciuta l’omelia di Matteo Zuppi, come al solito puramente descrittiva, carnalmente parlando, della situazione allarmante di oggi, prendendo lo spunto dalla figura di San Francesco, naturalmente idealizzato secondo la logica delle quattro stagioni (forse qualcuna in più).
Che paranoia questo Santo tirato da tutte le parti! Troppa retorica! In realtà chi era San Francesco? Tutti ne parlano, tutti lo osannano, ma in realtà dove sta la sua santità?
Anche Zuppi, obbedendo a papa Francesco, sta in periferia, e lì ci rimane con l’illusione di evangelizzare scorticando la pelle.
Anche Zuppi non capisce che deve cambiare mentalità, se vuole colpire nel cuore la carnalità di oggi, invitando l’uomo a tornare in sé, se vuole scoprire il Mistero divino.
Anche da Zuppi mai una parola sull’aspetto interiore, di spiritualità, attento sì alle problematiche attuali, ma privo di quella carica interiore, contemplativa, l’unica oggi capace di smuovere le coscienze assopite o rincoglionite da una società di pelle.
Non si va in periferia per incontrare la gente lasciandola in periferia, ma per riportarla a casa, che è quel mondo interiore dove lo spirito s’incontra con lo Spirito.
Caro Matteo Zuppi, non basta essere accanto alla gente povera o non povera: tutti si è poveri, perché costituzionalmente precari. Bisogna dare un cibo sostanzioso, che va al di là di una assistenza o di una accoglienza puramente materiale.
Bisogna elevare la gente, farla decollare, proporle ideali forti.
Non mi sembra che la Chiesa di oggi, dal papa al credente, sia sulla strada costruttiva. Non basta riallacciare un contatto con la gente (sarebbe già qualcosa!), ma bisogna invitarla a cambiare mentalità, secondo l’invito di Gesù: “Metanoèite!”.
Sta qui il cuore del Vangelo!
***
da Famiglia Cristiana

IL CARDINAL ZUPPI:

«SAN FRANCESCO,

FRATELLO DI TUTTI, INNAMORATO DI GESÙ:

IL CONTRARIO DEL COVID»

04/10/2022 «San Francesco – in un mondo che era e che è segnato da lupi e violenti, da torri e spade, inquinato da troppo odio tanto da rendere impossibile parlare di pace – progetta un mondo fraterno. Abbiamo bisogno di speranza e il nostro patrono ci fa sentire a casa». L’omelia del Cardinale Zuppi, presidente della CEI, per la festa di San Francesco ad Assisi
La Parola di Dio parla sempre a noi e di noi. Parla oggi e ci aiuta a capire i segni dei tempi e questi ci aiutano a comprenderla, perché non è mai fuori del tempo o in un tempo passato, ma nell’oggi, nella storia.
Il Libro del Siracide descrive San Francesco, che riparò “il tempio”, la casa del Signore che è in rovina e, allo stesso tempo – non è forse proprio quanto siamo chiamati a fare oggi? –,si mette in cammino perché lui per primo è “Fratello di tutti” e non aspetta che lo diventino gli altri: compie lui il primo passo verso il prossimo.
È il nostro Patrono ed è una gioia particolare, in questo tempo così segnato da tanta sofferenza e preoccupazione, trovarci qui con tutte le Chiese che sono in Italia e con il Presidente del nostro Paese, che rappresenta tutti gli italiani e le italiane e che ringrazio di cuore per la sua presenza e per il suo servizio, pieno di saggezza e di convinta passione per difendere gli ideali costitutivi del nostro Paese. Grazie perché ci rappresenta e ci incoraggia a sentirci parte di questo nostro bellissimo Paese.
SAN FRANCESCO, “FRATELLO DI TUTTI”
“Fratelli tutti” è il contrario della pandemia del COVID. San Francesco è innamorato di Gesù: ascolta e mette semplicemente in pratica il Vangelo, solo il Vangelo e con la sua umanità ci insegna ad amarlo, a scoprine la gioia, la fraternità che genera, il senso personale e universale, la pace e il bene che accendono di amore tutto il creato e le creature. Il suo è un amore molto reale perché ama l’altro sempre «quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui». Così, mite e umile di cuore come il suo Gesù, San Francesco – in un mondo che era e che è segnato da lupi e cittadini violenti o paurosi, da torri e spade, da cavalieri e briganti, da guerre e inimicizia, inquinato da troppo odio tanto da rendere impossibile parlare di pace – progetta un mondo fraterno, disarmato, dove c’è spazio per ognuno, a cominciare dai più poveri e fragili. Ecco, oggi sentiamo la consolazione di essere con lui e di vedere la sua stella (come è noto le stelle brillano maggiormente quando la notte è più fonda) che ci accoglie “come un astro mattutino fra le nubi”. Abbiamo bisogno di luce, che vuol dire speranza. E il nostro Patrono ci fa sentire a casa e ci aiuta a guardare anche le difficoltà con la forza dell’amore.
SAN FRANCESCO, PATRONO D’ITALIA CHE NON AVEVA PAURA DEI LEBBROSI E LA LUCE DONATA DAI SANITARI NELLA PANDEMIA
Nella tempesta della pandemia abbiamo sperimentato tanto buio, inatteso e prolungato. Lo descrisse Papa Francesco nella memorabile preghiera in Piazza San Pietro: “Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti”.
Non dimentichiamo questo. Non vogliamo dimenticare, come quando si vince il dolore rimuovendolo o divorandolo nella bulimia di emozioni che non diventano sentimenti, consapevolezza, scelte, umanità. Raccogliamo oggi il testamento affidatoci da chi non c’è più per colpa del COVID. Alcuni dei loro nomi li deporremo accanto a questa lampada. Li abbiamo raccolti proprio sapendo quanta amarezza e sconforto ha generato non poter essere vicini a loro nell’ultimo tratto della vita. Ricordiamo tutti coloro i cui nomi portiamo nei nostri cuori e li affidiamo all’amore di Dio, perché siamo nella luce dell’amore che non finisce. Non sono più tornati a casa e non abbiamo potuto accompagnarli, come loro e noi avremmo desiderato. Per molti solo le videochiamate hanno rappresentato dei veri e propri testamenti struggenti. Resta l’amarezza lacerante per un discorso interrotto, lo sconforto che fa apparire tutto vano. In quella notte terribile abbiamo visto anche tante luci, tutte, consapevolmente o meno, riflesso di un amore più grande. Abbiamo capito che non si può lasciare nessuno solo e anche che il buio può essere sconfitto, pure solo con una piccola lampada di umanità.
Sono state le luci che il personale sanitario ha acceso con i piccoli grandi gesti di umanità: consolando lacrime, stringendo mani, dando sicurezza, anche solo una carezza o uno sguardo. Ricordo quanti di loro come delle forze dell’ordine, dei farmacisti, operatori di carità hanno perso la vita per motivo del servizio, continuando ad aiutare nell’emergenza. Essi sono tra i giusti che ascoltano quelle tenere parole di gratitudine di Dio: ero malato e sei venuto a visitarmi, prendi parte alla gioia che non finisce.
Ecco oggi siamo nella casa di San Francesco, Patrono dell’Italia, a ricordare, a ringraziare ma anche a scegliere perché non vogliamo dimenticare velocemente “le lezioni della storia”. «Voglia il Cielo che alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”. Che non sia stato l’ennesimo grave evento storico da cui non siamo stati capaci di imparare. Che un così grande dolore non sia inutile, che facciamo un salto verso un nuovo modo di vivere e scopriamo una volta per tutte che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri, affinché l’umanità rinasca con tutti i volti, tutte le mani e tutte le voci, al di là delle frontiere che abbiamo creato» (FT 35).
Ci aiuta San Francesco che non scappa dalla sofferenza, ma la affronta non per amore di essa, ma per amore della persona. Un amore così grande da sconfiggere la morte guardandola negli occhi e chiamandola “sorella”. A San Francesco in realtà sembrava cosa “troppo amara vedere i lebbrosi”. Usò misericordia, racconta lo stesso Francesco, e dopo essersi fermato con loro “ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo”. Vorrei che tutti provassimo lo stesso cambiamento e quello che prima ci sembrava pesante, una privazione, un sacrificio impossibile, diventi invece motivo di dolce e consapevole umanità. Aiutare gli altri ci fa trovare noi stessi! E’ questo il giogo dolce e soave che ci unisce a chi per primo si è legato a noi, Gesù: un legame di amore che ci libera dal giogo pesante e insopportabile dell’individualismo. Se ne esce solo insieme! Le difficoltà non sono affatto finite. Lo vediamo drammaticamente nel mondo e nel nostro Paese. Affidiamo l’Italia all’intercessione del nostro Patrono. Sostenga, in un momento così decisivo, l’amore politico e di servizio alla casa comune, perché nella necessaria diversità tutti concorrano all’interesse nazionale, indispensabile per rafforzare le istituzioni senza le quali nessun piano può essere realizzato.
SAN FRANCESCO: IL SANTO PATRONO D’ITALIA UNIVERSALE
Il nostro Patrono, uomo universale, aiuti l’Europa a essere all’altezza della tradizione che l’ha creata e il mondo intero a non rassegnarsi di fronte alla guerra. Lui, amico di tutti, ci aiuti a sconfiggere ogni logica speculativa, piccola o grande, anonima e disumana, forma di sciacallaggio che aumenta le ingiustizie e crea tanta povertà.
Fratelli tutti, ad iniziare dai più fragili, come gli anziani, che sono una risorsa e non un peso, che vanno protetti a casa dove conservano tutte le loro radici e ci aiutano a trovarle. Fratelli tutti che guardano al futuro, lo desiderano per gli altri lottando contro il precariato dei giovani, dando loro fiducia e sicurezza perché possano dimostrare le loro capacità senza paternalismi insopportabili. Futuro che chiede rispetto dell’unica casa, dell’ambiente, perché possiamo continuare a cantare la bellezza del creato. Curiamo le ferite profonde nascoste nelle pieghe della psiche, con la competenza professionale ma anche tessendo comunità e fraternità che donano sicurezza e fanno sentire protetti e amati. La nostra comunità è forte, ha tanta storia e umanità, per essa nessuno è straniero e insieme si trova il futuro che tutti desiderano. Viviamo la benedizione che sempre è la vita, la sua bellezza perché sia appassionante trasmetterla e donarla, garantendo la grandezza della maternità.
Con San Francesco crediamo che il lupo terribile della guerra sia addomesticato e facciamo nostro l’accorato appello di Papa Francesco indirizzato certo ai due presidenti coinvolti direttamente, ma anche a quanti possono aiutare a trovare la via del dialogo e le garanzie di una pace giusta. Come San Francesco tutti possiamo essere artigiani di pace. Ecco la luce della lampada che l’Italia intera accende oggi con il suo Patrono, perché tante luci rendano umana e fraterna questa nostra unica stanza che è il mondo. «Beato l’uomo che offre un sostegno al suo prossimo per la sua fragilità, in quelle cose in cui vorrebbe essere sostenuto da lui, se si trovasse in un caso simile» (Ammonizione XVII).
Laudato Si’. Fratelli tutti.
Grazie San Francesco, prega per noi, per l’Italia e per il mondo intero.
Pace e bene

***
da www.quirinale.it

Intervento del Presidente della Repubblica

Sergio Mattarella

alla cerimonia di accensione della Lampada

di San Francesco

 Assisi, 04/10/2022 (II mandato)
Oggi la Chiesa cattolica ricorda e celebra san Francesco.
Di Francesco la figura, la vita e la testimonianza rivestono un significato profondo, non soltanto per i credenti.
Il Parlamento della Repubblica ha infatti voluto riconoscere il 4 ottobre come momento dedicato ai valori universali di cui San Francesco e Santa Caterina, patroni d’Italia, sono espressione, qualificando questa giornata come “solennità civile e giornata della pace, della fraternità e del dialogo tra appartenenti a culture e religioni diverse”.
Vi è sapienza in queste norme dettate dal legislatore.
Raccolgono anche il senso del messaggio spirituale del Santo e indicano alla nostra comunità un cammino di speranza, di condivisione, di attenzione anche nei confronti della natura che ci è madre e a cui non abbiamo portato il rispetto dovuto.
Affermazione di questi sentimenti è la tradizione della “Lampada votiva”, offerta dai Comuni d’Italia.
Un gesto di fraternità che è prova di unità ed è espressione della pluralità che rende il nostro Paese così ricco di esperienze, di bellezze, di creatività, di passioni civili.
San Francesco è una delle radici antiche della nostra identità.
La forza profetica delle sue scelte di vita ha esaltato valori che sentiamo vivi per il domani dell’Italia, dell’Europa, del Mediterraneo, del mondo.
La pace, anzitutto.
La nostra Costituzione l’ha, coerentemente, iscritta come fondamento e traguardo della nostra comunità.
Quella pace tradita proprio nel cuore dell’Europa, che, nella prima metà del secolo scorso, aveva conosciuto gli abissi del male e si era riscattata con nuovi ordinamenti interni e internazionali.
Non ci arrendiamo alla logica di guerra, che consuma la ragione e la vita delle persone e spinge a intollerabili crescendo di morti e devastazioni. Che sta rendendo il mondo più povero e rischia di avviarlo verso la distruzione.
E allora la richiesta di abbandonare la prepotenza che ha scatenato la guerra. E allora il dialogo. Per interrompere questa spirale.
Sono trascorsi ottocento anni dall’incontro tra Francesco d’Assisi e Malek al-Kamel. Ed è la sincera volontà di dialogo ciò cui sono chiamati anzitutto i Paesi e le istituzioni, per garantire futuro all’umanità.
La pace è un diritto iscritto nelle coscienze e rappresenta l’aspirazione più profonda di ogni persona, appena alza lo sguardo oltre il suo presente.
La pace non è soltanto assenza di combattimenti bensì – ci ricorda san Francesco – è connaturata all’armonia con il Creato.
Quando si consumano a dismisura le risorse, quando si depreda la natura, quando si creano disuguaglianze tra i popoli, quando si inaridisce il destino delle future generazioni, ci si allontana dalla pace.
Dobbiamo riparare, restituire.
È la grande urgenza della nostra epoca. Non abbiamo altro tempo oltre questo.
È un compito che riguarda tutti noi – nessuno è irrilevante – nessuna buona opera è inutile. È un compito che va svolto insieme.
Il Papa, che per primo ha scelto il nome di Francesco – e a cui rivolgiamo da Assisi un saluto deferente e riconoscente – ci ha offerto una chiave di interpretazione e di impegno parlando di “ecologia integrale”.
È proprio questa la sfida.
Equilibrio ambientale da ricomporre; giustizia sociale da perseguire rimuovendo gli ostacoli che le contingenze frappongono; diritto di ogni donna e di ogni uomo a sviluppare appieno la propria personalità.
Con la sua vita, con le sue rinunce, divenute pienezza, san Francesco aveva compreso in anticipo e si è posto alla testa di quanti vogliano condividere questa visione di salvezza per l’umanità.
I gesti compiuti oggi in questa Basilica non rappresentano, quindi, un rituale.
Corrispondono alla consapevole rivendicazione del cammino che la Repubblica ha saputo compiere con la ricostruzione nazionale e lo sviluppo dopo la dittatura e la guerra, consolidando democrazia e libertà, recando nel mondo il contributo di un Paese operoso, creativo, aperto alla cooperazione e all’incontro tra le culture.
Sono gesti, quindi, che avvertiamo come un vincolo morale, per esprimere l’assunzione di valori e di criteri di vita.
La Conferenza episcopale italiana ha voluto ricordare, in questa occasione, tutti coloro che, con sacrificio, talvolta anche della propria vita, si sono prodigati per contrastare il Covid19 e le sue molteplici conseguenze e, insieme, per ricordare le tante vittime di questa pandemia.
Un atto di riconoscenza collettiva e un gesto di memoria riguardo a una calamità senza precedenti che ha colpito il nostro popolo.
Un ringraziamento per gli operatori della sanità anzitutto, per tutti i militari e i civili che sono stati volto e braccia delle istituzioni, per gli operatori dei servizi essenziali, per le famiglie che hanno sopperito con amore a ogni genere di carenza, per i volontari che hanno portato fraternità dove c’era dolore, conforto e amicizia dove cresceva la paura.
Quella drammatica emergenza ha reso evidenti sentimenti radicati.
La solidarietà, la responsabilità verso gli altri, il senso del dovere.
Abbiamo saputo affrontare insieme i momenti duri e dolorosi della pandemia grazie all’apporto della scienza, all’organizzazione sanitaria e alla professionalità del suo personale.
E – va sottolineato – grazie a quel senso di comunità che è presente anche se, talvolta, sottovalutato e che sa tradursi in comportamenti responsabili e attivi.
È accaduto nei decenni passati. Si è ripetuto.
È stata una preziosa ancora di salvataggio.
La pandemia ci ha ricordato i nostri limiti. Ci ha costretti a ripensare a ciò che è essenziale e a ciò che è superfluo. Ci ha fatto toccare con mano quanto abbiamo bisogno gli uni degli altri. Anche a livello internazionale, con un’Europa che ha saputo essere protagonista positiva, aperta anche al sostegno verso popoli meno fortunati in altri continenti.
È con questo senso di comunità che ci rivolgiamo nuovamente, con il nostro pensiero, ai tanti concittadini che non ci sono più, ai familiari che ancora li piangono, a coloro che – nei giorni più terribili – non hanno avuto neppure il conforto di un parente al capezzale o di un funerale.
La pandemia non è definitivamente sconfitta, anche se l’azione dei vaccini e la risposta responsabile degli italiani ne hanno frenato l’espansione, ne hanno ridotto grandemente la pericolosità e hanno salvato la vita a decine di migliaia di persone.
Vi sarà ancora bisogna di intelligenza collettiva e responsabilità.
Il magistero di Francesco d’Assisi ha un preminente valore religioso, che le istituzioni della democrazia hanno il dovere di rispettare.
Contiene, tuttavia, anche un messaggio che al di là della fede interroga ciascuno: Francesco attribuiva maggiore importanza alla coerenza dei comportamenti piuttosto che alle parole che li descrivono e li interpretano.
Il Vangelo sine glossa di Francesco ne costituisce un esempio.
La sua vita, la sua Regola ne sono state ulteriori illuminanti dimostrazioni.
Più che le parole i comportamenti parlano; e la coerenza è la modalità, la condizione per dialogare in modo autentico.
Le religioni – tutte – hanno responsabilità nella costruzione della pace. Scavano fossati quando legittimano la violenza e il sopruso, se giustificano comportamenti di morte.
Diventano straordinari vettori di riconciliazione e di crescita quando professano con determinazione lo spirito del dialogo e dell’accoglienza, quando riconoscono l’umanità nell’uomo, in ogni persona, anche in quelle di altri fedi.
Abbiamo bisogno dello spirito di Assisi; e che si propaghi!
Pace, libertà, giustizia, democrazia si difendono con strumenti di pace, di libertà, di giustizia, di democrazia.
I mezzi sono parte dei fini; e devono essere con essi coerenti.
Ci avviciniamo all’ottocentesimo anniversario della morte di Francesco d’Assisi.
A lui guardiamo come a uno dei padri della nostra civiltà, come a un visionario che plasma la realtà, capace di indicare un percorso verso un futuro al quale intendiamo essere fedeli.
Un futuro migliore!
È questo, oggi, da Assisi, l’augurio per l’Italia e per il mondo.

 

1 Commento

  1. luigi egidio ha detto:

    Può sembrare paradossale ma l’intervento di Mattarella mi sembra più consono dell’omelia di Zuppi su san Francesco d’Assisi. Forse perchè Mattarella incarna bene il suo ruolo di Presidente della Repubblica, rispetto a Zuppi quello di presidente della CEI. Mattarella ha saputo e sa unire gli italiani. Zuppi deve ancora dimostrarlo con i vescovi e con il popolo cattolico. Don Giorgio chiede un cambio di rotta. Non credo sarà facile perchè è “prigioniero” di una papa che nonostante le speranze iniziali prosegue sulla stessa rotta iniziata con la restaurazione avviata da Woytjla. Penso che Zuppi abbia idee politiche vicine al PD, ma quelle di Giuseppe Conte sembrano prevalere sul papa. Il direttore di Avvenire ha parlato di partito del papa. Chi meglio di Conte lo incarna. Sta cercando di attirare le ACLI e l’ARCI nel suo progetto.

Lascia un Commento

CAPTCHA
*