Alcune stimolanti e forti considerazioni su una Diocesi sempre più in balìa del nulla pastorale

Sulla nomina di nuovi quattro parroci, approfitto per fare alcune considerazioni anche forti sull’andamento generale di una Diocesi oramai in balìa del nulla, diciamo in senso pastorale, per non dire qualcosa di peggio.
Anzitutto, un doveroso ringraziamento. A parte i due parroci di Dolzago, prima don Giorgio Salati e ora don Walter Brambilla, a starmi vicino in questi dieci anni di emarginazione curiale (dal 2013 al 2023) è stato il decano di Brivio don Carlo Motta, ora nominato parroco a Esino Lario (Lc). Frequentemente veniva a farmi visita. Col permesso del vescovo Delpini, oppure segretamente, non saprei, ma non importa. Credo che la carità soprattutto sacerdotale impone doveri che vanno al di là di ogni legge o proscrizione. Quando a Dionigi Tettamanzi, residente a Triuggio, ponevo la domanda: “Eminenza, non è che venendo a trovarLa, creo a Lei qualche problema con Angelo Scola?”, mi rispondeva quasi risentito: “Don Giorgio, mi sento libero di incontrare preti che vogliono da me qualche consiglio! Non devo chiedere il permesso a nessuno, se non alla mia coscienza”. Ho sempre ammirato questa libertà interiore di Tettamanzi, forse meno quando era Arcivescovo di Milano, costretto talora a obbedire a un Vicario generale, don Carlo Redaelli, che io chiamavo anche in modo sprezzante il Dottor Diritto Canonico, tanto era chiuso in un mondo ipocrita di leggi farisaiche. Anche don Carlo Motta è stato nei miei riguardi molto autonomo e libero, obbedendo al dovere evangelico di visitare i carcerati. Ma si sa, di preti come don Abbondio ce ne sono sempre stati, e ancora oggi ce ne sono: preti che ignorano addirittura un confratello che vive da segregato nella loro parrocchia. Il mio telefono non è sotto controllo curiale: una telefonata basterebbe a consolare, e a darmi conferma che la cosiddetta fraternità sacerdotale non è solo un insieme di belle parole.
Ma c’è di più, e vorrei ora porre alcune domande al vescovo Mario Delpini, che dal 2017 regge la diocesi milanese, ma che già come Vicario generale, agli ordini di Angelo Scola, aveva emesso nei miei riguardi provvedimenti disumani, se non altro per la durata. Anche qui, lo ripeto se l’avessi già detto, alla domanda: “Eminenza, quanti anni dovrebbero durare certi provvedimenti curiali?”, Tettamanzi mi aveva risposto: “I provvedimenti disciplinari devono essere a tempo determinato, durare due o tre anni al massimo, se vogliono essere pedagogicamente efficaci, altrimenti diventerebbero controproducenti”. E poi in curia si chiedono perché in me ci sia tanto “livore”! Bastava poco: riabilitarmi, e sarei stato più comprensivo! Forse meglio così: lo spirito libero si esprime al meglio nelle lotte e nelle emarginazioni.
Non capisco tante cose di questa diocesi milanese, diciamo in generale di una chiesa gerarchica che dimentica le parole di Cristo: “La legge è per l’uomo, e non l’uomo per la legge”. Ma si sa, Cristo è stato tradito fin dagli inizi, quando il Cristianesimo è diventato quasi subito una struttura religiosa che privilegiava la legge, se è vero che già il mistico evangelista Giovanni e la sua comunità erano venuti in contrasto con la chiesa petrina.
Una Diocesi, vescovo Mario, che non tu conosci, come non conosci neppure la città di Milano, anche se hai la pretesa di descriverla nelle sue realtà più problematiche socio-religiose. Quando in una città o in un paese arriva il tal politico o il vescovo gli fanno vedere le cose più pulite e più belle. Perciò tu, della città di Milano conosci ben poco per non dire nulla, e le tue considerazioni, anche interessanti, valgono in generale, e vanno bene per ogni città e per ogni paese. E tanto meno conosci una diocesi, la più vasta del mondo, che ti è subito sfuggita di mano, anche se vorresti conoscerla correndo di qua e di là, come una trottola che gira sempre su se stessa, anche se si sposta in continuazione.
E allora i problemi, già grossi in una diocesi mastodontica, diventano sempre più grossi, anche nelle piccole realtà di comunità pastorali, che sembrano reggere solo quando c’è un pastore saggio e ricco di interiorità. Ma a te, vescovo Mario, quale criterio usi per scegliere i parroci per destinarli non a caso in parrocchie che richiederebbero quel giusto discernimento per cui deve star bene il parroco e star bene la comunità che gli è stata affidata? Star bene, nel senso più positivo: come pastore e come gregge. Oggi succede che diverse, troppe comunità pastorali stanno letteralmente male per pastori scelti male: comunità che neppure più reagiscono, ma se ne stanno immobili, indifferenti, dopo qualche timido tentativo di protesta.
Ma c’è di più, vescovo Mario. Tu, non sei comunque l’unico, lasci, quando addirittura non li spingi tu stesso, che vadano fuori dalla diocesi i preti migliori, più in gamba, per motivi che non sto qui a elencare, e affidi parrocchie orfane a preti di dubbia moralità o a preti appartenenti a Ordini, a Istituti religiosi o a Movimenti ecclesiali, su cui il cardinal Carlo Maria Martini aveva espresso forti riserve. Come puoi affidare una parrocchia a un prete dei “Legionari di Cristo”? Reprimi preti diocesani solo perché “dissidenti”, e affidi incarichi diocesani a preti chiusi di testa? Ma dove è finita la spiritualità diocesana? L’hai messa sotto i piedi, come hai messo sotto i piedi la dignità di preti che si sentono soli perché il loro vescovo è sempre in giro a raccontar frottole.
Così non va, vescovo Delpini! Stai trascurando la Diocesi, castrandola nella sua più autentica spiritualità diocesana. La stai riducendo a un rottame, allo stesso modo con cui l’attuale governo sta riducendo a rottame un paese oramai nelle mani di gente scriteriata e farabutta, incompetente e criminale.
Ci sono parrocchie che aspettano ancora un prete, e tu che cosa fai? Spedisci in un ospedale come cappellani preti diocesani cinquantenni, ancora in piene forze per assolvere incarichi pastorali, là dove ce n’è bisogno. Ma che cazzo d’un vescovo sei? Negli ospedali manda pure come cappellani frati, legionari di cristo, focolarini, ciellini, ecc., loro sono bravi nel confortare i malati, anche invitandoli a vedere il papa in tv subito dopo che sono stati operati, o invitandoli a fare digiuno per la pace del mondo.
Sì, che cazzo d’un vescovo sei? Sposti i preti alla carlona, di qua e di là, e per simpatia personale affidi alcune parrocchie, che dovrebbero far parte di comunità pastorali, ad alcuni tuoi “amici”, da proteggere da qualche loro marachella (da intendere in senso eufemistico!), e poi fai il duro quando un “tuo” giovane prete, per tante ragioni, espone le sue difficoltà per certi incarichi, e per punizione lo mandi in modo del tutto scriteriato in un ospedale per dieci anni. Già, mi parlano bene della tua profonda spiritualità, che sinceramente non so vedere, quando agisci da pastore sempre in periferia, e nei contatti con i tuoi preti in difficoltà che tu ignori o addirittura disprezzi.
Da ultimo. Te lo dico sinceramente: mi sforzo ancora di ascoltare qualche tua omelia, nella speranza di poter dire finalmente: “Questa è veramente bella!”. Rimango ogniqualvolta deluso, e nella mia convinzione che proprio non ce la fai a uscire dal tuo modo di predicare e di agire nel campo pastorale, che non dà segni di conversione. Non ti poni la domanda: in questo periodo così drammatico, complesso, che sta disorientando tutti, anche i buoni, i migliori, i giusti, perché non cercare quella via, l’unica, che porti tutti, potenti e gente comune, a ragionare, rientrando in quel sé, che è il Sé divino? Voi, vescovi, cardinali, lo stesso papa, che cosa state facendo, che cosa state dicendo? C’è il Sinodo! Già, c’è il Sinodo! Forse lo Spirito si è stancato di tutto e di tutti: invocatelo pure, con danze e litanie, come i profeti di Baal al tempo di Elia, e farete la loro stessa fine.
NOTABENE
1. Vescovo Mario, sono sempre chiuso in casa, e quando mi capita mi piace vedere in tv la celebrazione di qualche Santa Messa, soprattutto nelle festività, ma non posso non dirLe che mi sta diventando sempre più insopportabile assistere a solenni liturgie celebrate nel nostro bel Duomo di Milano, sempre più fredde, povere di spiritualità, diciamo vuote di misticità, con canti spenti, vuoti d’anima, per non parlare della tua parola poco autorevole, noiosa, che va sopra la testa della già poca gente presente. Che nostalgia, quando penso al Duomo di Milano nei tempi migliori, con cardinali migliori! Certo, ognuno ha le sue doti, i suoi carismi, i suoi stili, ma il decoro non dovrebbe mai mancare, ovvero quella presa di coscienza di essere ministro di quel Dio, che è Purissimo spirito, tanto indicibile quanto eternamente presente. Un Duomo diventato “freddo” fa star male: almeno fosse ancora quel punto di riferimento che attiri la gente disorientata, delusa, alla ricerca di qualcosa di veramente interiore. Forse, vescovo Mario, non è tutta colpa tua. Umanamente non ce la fai a uscire dai tuoi schemi anche ridicoli, ma riprenditi almeno quel po’ di dignità, di quel decoro che il Mistero divino esige, e lo esige una lunga nobile tradizione ambrosiana.
2. Sai qual è il tuo peccato d’orgoglio, vescovo Mario? Non ascoltare coloro che potrebbero darti una mano. Carlo Maria Martini mi diceva, e me lo ha ripetuto diverse volte: “Don Giorgio, la diocesi è grande, e ha bisogno anche di te!”. Tu, degno figlio di Angelo Scola, dici: “Don Giorgio, la diocesi non ha bisogno di te!”. Se la Chiesa gerarchica nel passato avesse ascoltato gli spiri liberi, ora non sarebbe in agonia! E il suo peccato d’orgoglio ancora attuale è ascoltare solo se stessa come struttura, i suoi più ciecamente obbedienti e imbecilli collaboratori, e allontanare gli spiriti liberi. Tu, vescovo Delpini, fai così: te ne stai solo nel tuo regno di poca avvedutezza, e non ti accorgi di essere lo zimbello di te stesso, nel tuo orgoglio che ti porterà verso una fine disastrosa, e con te una diocesi che potrà reagire e risollevarsi solo quanto darai le dimissioni, nella speranza che stavolta lo Spirito santo compia un miracolo tutto suo.

5 Commenti

  1. Martina ha detto:

    Non conosco personalmente don Carlo Motta ma solo il fatto di essere stato in questi anni vicino a don Giorgio, mi fa capire che è differente da chi invece lo ha sempre più emarginato.
    E poi per cosa?

    San Paolo dice categoricamente: «Se piacessi agli uomini non sarei servo di Cristo».

    Tutti quelli che sono veramente servi di Cristo non piacciono a questo mondo, e quindi non piacciono alle strutture come la Chiesa e la società.
    Infatti “mondo” non significa altro che amor sui, egoità ovvero ciò che mette in contrasto con gli altri e allo stesso tempo crea i gruppi, le chiese, i partiti, le sette ecc.
    Il Regno di Dio non è di questo mondo. Non adeguarsi a questo mondo è il vero modo di amarlo. Suona come un paradosso.
    Don Giorgio non si è mai adeguato a questo mondo.

  2. Valerio ha detto:

    Grazie, non sapevo di questo nipote, ma figlio di chi? Don Giovanni Battista, che fu parroco di Esino dal 1927 al 1965 (ho scritto un’anteprima della biografia e gliela posso far pervenire)era figlio del fratello Gaspare che aveva avuto una filanda. Poi don Ambrogio aveva anche un altro fratello, don Emilio, morto giovane coadiutore a Corbetta. I tre sacerdoti sono sepolti nella cappella dei preti di Senago, fatta costruire da don Ambrogio. Io ho anche copia del Cronicum di Senago di quei tempi. La ringrazio ancora, buon tutto.

    • Don Giorgio ha detto:

      Ho controllato bene: don Luigi Ronchetti non era cugino di don Ambrogio Rocca, ma suo comparrocchiano. Figlio di Angelo e di Rossetti Pasqualina, era nato a Senago il 24 marzo 1885.

  3. Valerio ha detto:

    Sono molto contento che don Carlo Motta le sia stato vicino.
    Sono nativo di Esino, referente dell’archivio parrocchiale e studioso e biografo del grande parroco don Giovanni Battista Rocca, nipote di don Ambrogio Rocca che fu parroco di Senago e che, come scritto da lei in un libro di cui mi ha fatto omaggio, ha pagato gran parte delle spese della chiesa di Monte di Rovagnate, grazie ad una eredità di un fratello che fece l’imprenditore e morì in Argentina. Eredità che fu recuperata dal parroco di Esino. Sicuramente don Carlo sarà un bravo parroco. La Comunità ne ha un grande bisogno.
    Tanti auguri di ogni bene.

    • Don Giorgio ha detto:

      Sì, don Carlo Motta sarà un ottimo pastore d’anime, attento, sensibile, anche autorevole (non si farà mettere sotto i piedi da nessuno).
      In realtà, don Ambrogio Rocca ha pagato tutto lui: terreno, chiesa, casa canonica e campanile, lasciando anche un lascito per i primi passi della comunità. Ha imposto tre cose: che la chiesa ecc. venisse costruità dove in realtà sarà poi costruita, che venisse dedicata a Sant’Ambrogio, e che come primo parroco fosse nominato il nipote don Luigi Ronchetti.

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