Damiano Tommasi: «I colleghi sindaci mi compravano al fantacalcio. Il ruolo più difficile? Fare il marito»

dal Corriere della Sera

Damiano Tommasi:

«I colleghi sindaci mi compravano al fantacalcio.

Il ruolo più difficile? Fare il marito»

di Claudio Bozza
Ex mediano della Roma, padre di 6 figli e preside della scuola che ha fondato, è sindaco di Verona da 7 mesi per il centrosinistra: «In giunta vorrei uno come “Pendolino” Cafu. Il ruolo più difficile? Fare il marito di Chiara. Ma è anche
maglia della Roma
Da “calciatore operaio” a “sindaco antidivo”, l’essenza non cambia. E strappargli questa intervista è stata quasi un’impresa. Damiano Tommasi, a 48 anni, non ha la minima idea di attaccare le scarpette al chiodo: ogni domenica mattina continua a giocare in Seconda categoria nella sua squadra di paese. Il resto della settimana la sveglia è puntata all’alba: «Prima di andare in Comune vado a scuola, dove faccio qualche supplenza ai bambini, perché specie nelle prime ore, a volte, c’è da rimediare a qualche emergenza».
Tommasi, lei ha più eteronimi di Fernando Pessoa: padre di sei figli, ex calciatore con oltre 300 presenze in Serie A, ex capo del sindacato calciatori, ora preside di un suo istituto scolastico e sindaco di Verona da sette mesi. Qual è il ruolo più difficile?
«Essere marito di una moglie. Ma è anche il più gratificante. Chiara l’ho conosciuta in classe a Ragioneria e non ci siamo mai più lasciati».
La prima cosa fatta appena ha messo piede in Comune, dopo aver battuto a sorpresa la destra in una roccaforte che pareva inespugnabile?
«Ho fatto mettere la bandiera europea sopra Porta Nuova, all’ingresso della città. Verona è europea, deve essere aperta al mondo. Manca la consapevolezza di poter ambire a grandi obiettivi. È come quando alla Roma arrivò Batistuta: era la garanzia che potevamo giocarcela contro tutti. Fu uno stimolo enorme per tutti noi a fare meglio. Così vincemmo lo scudetto. Noi siamo Verona, e ora arriverà questa consapevolezza».
Lei è devoto a don Milani: come ha declinato quegli insegnamenti per questa sfida politica?
«Ho conosciuto i suoi valori durante la mia esperienza da obiettore di coscienza. È stato fondamentale per imparare la scelta delle parole, nel rapportarsi all’altro. Mi ha insegnato a badare alla sostanza, togliendo il superfluo. Su queste basi è nata l’esperienza di Rete, il nostro contenitore civico e politico che ha messo insieme tante persone, anche diverse, ma sulla base di “password” condivise».
Tanti suoi ex compagni calciatori, dopo carriere dorate, puntano su Dubai, immobiliare, finanza e lusso in generale. Lei hai invece investito i suoi guadagni nella costruzione di una scuola bilingue intitolata proprio a don Milani, che va dall’asilo alla scuola secondaria. Perché?
«Diciamo che, con sei figli, siamo particolarmente sensibili al tema. Dopo la mia esperienza con la maglia del Levante in Spagna, siamo tornati a Verona, dove mia moglie e sua sorella decisero di aprire un asilo, che poi si è ingrandito piano piano».
Ma quando è dietro la cattedra preferisce di più matematica o italiano?
«Mi piace provocare i bambini, le loro idee e le loro soluzioni. Si può fare con entrambe le materie».
Parliamo di politica. Che ex compagno di squadra vorrebbe in giunta?
«Come modo di stare in campo penso a Marcos Cafu (alla Roma ribattezzato “Pendolino” per via della sua velocità lungo la fascia, ndr ). Cafu ha una storia personale importante, ha sempre giocato per vincere, con umiltà. Siamo stati sempre a fianco in tutti gli anni alla Roma: era il compagno che aveva sempre la parola giusta. Quindi saprebbe prendersi le sue responsabilità in giunta».
Alla sua prima assemblea con tutti i sindaci d’Italia come è andata?
«Eh, mi sembrava di essere in curva Sud (ride, ndr). Mi hanno fermato tutti, in tanti mi hanno raccontato che mi compravano al Fantacalcio».
Lei è l’unico volto vincente del centrosinistra da molto tempo a questa parte. Sente il peso di questa investitura?
«No. Non mi sento investito. Il mio impegno è concentrato sulla mia città. Sono veronese al cento per cento».
Chi l’ha convinta ad accettare quella che sembrava una “mission impossible”?
«Beatrice, mia figlia, 25 anni, ama le Scienze politiche. Vedere la sua passione mi ha stimolato. La mia proposta era alternativa agli ultimi 15 anni di questa città, oltre la sinistra e la destra. Sono qui perché lo hanno scelto i cittadini».
La destra, in campagna elettorale, seppur divisa faceva le piazze piene con i leader nazionali, mentre lei faceva passeggiate, fino a 10 km al giorno…
«Esatto. Ci hanno dovuto letteralmente inseguire su tutto». In più lei è riuscito a tenere dentro tutti, incluso il Movimento. Per il futuro è un’alleanza obbligata? «Il Movimento ha diverse cose in comune con il centrosinistra. Negli anni si è personalizzato troppo. È vero, ci sono differenze, anche profonde, ma qui a Verona non si notano: abbiamo puntato su ciò che ci univa, per cambiare la città».
Ma lei votava i Cinque stelle?
«La prima versione: gli Amici di Beppe Grillo».
Il reddito di cittadinanza lo avrebbe lasciato?
«È una misura sicuramente migliorabile. Spesso, però, si dimentica che questo strumento sostiene anche chi proprio non può lavorare. Una risposta a chi è in difficoltà è doverosa».
Sta facendo rimuovere tutti i divisori che il suo predecessore aveva fatto installare su tutte le panchine della città.
«Era un impegno preso in campagna elettorale. Finora si era parlato di Verona per questa misura contro i clochard, cioè di una cosa che non siamo».
Ci spiega la differenza tra essere di destra o di sinistra?
«Il primo rappresenta un ideale che porta a chiuderti. Mentre credo che il secondo ti spinga in giro per il mondo, con orgoglio».

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