Serve più tempo per dare forza al cambiamento: il Sinodo italiano continua
La Seconda Assemblea sinodale delle Chiese in Italia che si è conclusa giovedì con un rinvio – Agenzia Romano Siciliani
da www.settimananews.it
Sinodo italiano:
l’apparato disattivato
3 aprile 2025
di: Andrea Grillo
Un appuntamento come quello che ha interessato la Chiesa italiana, dal 31 marzo ad oggi 3 aprile, per come si è svolto e per l’esito cui è arrivato, non era facile da immaginare. Anche se papa Francesco insiste così tanto sul bisogno di immaginazione e di inquietudine per fare buona teologia e buona informazione ecclesiale, pochi avrebbero pensato che le cose potessero andare come sono andate.
Perché? Il fatto è che all’appuntamento, che avrebbe dovuto essere il punto di arrivo della “fase profetica” del cammino sinodale della Chiesa italiana, si è arrivati con un testo di 50 Proposizioni, che però avevano accuratamente depurato il dibattito da ogni possibile profezia. La fase profetica sembrava aver prodotto un regolamento di condominio.
Questo “prodotto”, di cui nessuno capisce bene la genesi, ha di fatto scandalizzato larghissima parte di coloro che avrebbero dovuto votarlo, proposizione per proposizione. Il problema, avvertito immediatamente fin dalla prima scorsa al testo, era questo: non solo ogni singola proposizione, presa in sé, ma anche il respiro complessivo del testo, considerato sinteticamente, non era capace di restituire pressoché nulla di ciò che era stato vissuto, discusso e partecipato nel percorso dei quattro anni di impegno, nel confronto, nell’ascolto, nel dibattito e nelle molteplici e articolate stesure di assunti, prospettive e proposte.
Tanto più che questo stile stanco, burocratico e spesso del tutto vuoto, a moltissimi sembrava fatto apposta per chiudere tutto ciò che era aperto, per tacere su tutto ciò che era problematico, per addomesticare e sedare ogni moto d’animo o di spirito. Così, prima in una sequenza impressionante di interventi in aula, e poi nel lavoro di due sedute di “gruppi di lavoro”, è emerso che non qualche particolare, ma tutto, proprio tutto meritasse di essere riscritto, ripensato, rielaborato.
Chiedersi come è stato possibile un incidente del genere è inevitabile. E nascondersi dietro il “genere letterario” delle proposizioni, che sarebbero inevitabilmente brevi e povere, è davvero come nascondersi dietro il dito mignolo della mano di un neonato. No, anche le proposizioni di un sinodo, che certo non sono trattati, da sempre si possono scrivere in modo ricco o povero, appassionato o burocratico, problematico o retorico.
Così la Assemblea, sia in seduta comune, sia nei gruppi e costituita da ogni identità (episcopale, presbiterale, religiosa e laicale) è tornata alla ricchezza che conosceva e alla passione che aveva gustato e comunicato e che non trovava in un testo dove, come per incanto, l’immaginario sinodale sembrava esser stato chiuso per qualche giorno nel congelatore.
Qualcuno ci ha provato. Quelle 50 proposizioni sono il frutto di un disegno. Qualcuno ha provato a ribellarsi al cammino sinodale, al cambio di paradigma, alla chiesa in uscita e nelle 50 proposizioni ha tentato di far rientrare tutto e tutti nei ranghi. Ma la ribellione di qualche funzionario, dotato certo di qualche potere, non ha funzionato.
Il corpo ecclesiale, in tutte le sue componenti, non ha permesso ai funzionari di fare valere la “loro” sintesi. Così la loro ribellione di sistema non ha prevalso. Ha vinto invece la forza di una comunione reale e non formale.
Così sarà possibile un ulteriore percorso di confronto, perché il testo delle proposizioni (50 o 70 che siano) appaia orientato, scritto in modo non clericale, non vuoto e con stile appassionato. Nell’anno giubilare dedicato alla speranza, un segno di questo tipo allarga il cuore e permette davvero di aprirsi a ciò che non si vede.
Chi parla di “ribellione” della Assemblea non ha capito niente. La notizia è che la Assemblea (fatta di vescovi, di preti, di religiosi e di laici) non ha accettato la ribellione di pochi funzionari. La ribellione burocratica al sinodo non è passata.
La ribellione dell’apparato contro la istituzione del cammino sinodale ha fallito. Il processo sinodale merita ora una espressione non burocratica. Ci sarà da lavorare. Ma i burocrati sono avvisati e, come si dice, mezzo salvati.
• Pubblicato sul blog dell’autore Come se non.
***
da AVVENIRE
3 aprile 2025
Roma.
Serve più tempo
per dare forza al cambiamento:
il Sinodo italiano continua
Alessia Guerrieri
Alla fine della Seconda Assemblea sinodale è stato deciso di riformulare il documento finale e votarlo il 25 ottobre. Il testo andrà all’Assemblea generale Cei, che non si terrà a maggio ma a novembre
C’è bisogno di più tempo per formulare proposte concrete in grado di cambiare il volto della Chiesa. E così, al termine della Seconda Assemblea sinodale si è deciso che si tornerà a riunirsi ad ottobre per avere il tempo appunto di accogliere i suggerimenti dei delegati sulle Proposizioni. E così, accogliendo il sentire dei presenti, anche l’assemblea dei vescovi di fine maggio, che avrebbe dovuto discutere quel documento, viene spostata a novembre.
«Ci fa bene questo dinamismo, è il segno di una Chiesa viva – ha detto il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi al termine dei lavori nell’Aula Paolo VI – continuiamo a camminare, quanto ci fa bene camminare insieme. È forse dai tempi di Paolo VI che si tiene l’assemblea dei vescovi a maggio, un appuntamento fisso», che però verrà spostato in autunno.
Perciò, dopo aver ascoltato nei giorni dell’Assemblea sinodale, «sottolineature, esperienze, criticità e risorse che segnano la vita e la vitalità delle Chiese in Italia, con uno sguardo partecipe e responsabile», questa mattina i delegati hanno votato a larghissima maggioranza (su 854 votanti i favorevoli sono stati 835) la mozione con cui si stabilisce che il testo delle Proposizioni, dal titolo “Perché la gioia sia piena”, venga affidato alla presidenza del Comitato nazionale del Cammino sinodale perché, con il supporto del Comitato e dei facilitatori dei gruppi di studio, «provveda alla redazione finale accogliendo emendamenti, priorità e contributi emersi». Allo stesso tempo, l’assemblea ha fissato un nuovo appuntamento per la votazione del documento contenente le proposizioni per sabato 25 ottobre, in occasione del Giubileo delle équipe sinodali e degli organismi di partecipazione.
«La Chiesa non è composta da guide che ignorano il “sentire” del popolo (di Dio), tirando dritto come se avessero sempre ragione – le parole con cui il presidente del Comitato nazionale del Cammino sinodale, il vice presidente della Cei Erio Castellucci, ha chiuso i lavori dell’Assemblea – ma è composta da guide chiamate a discernere la presenza e l’azione dello Spirito nel Popolo di Dio, del quale fanno parte. Si cresce insieme, ciascuno secondo i propri doni e le proprie responsabilità». Il testo proposto «di fatto è apparso inadeguato – ha proseguito –, perciò l’Assemblea di martedì mattina e le moltissime proposte di emendamento avanzate dai 28 gruppi richiedono un ripensamento globale del testo e non solo l’aggiustamento di alcune sue parti». I gruppi in queste due mezze giornate «hanno lavorato molto bene, intensamente e creativamente, ritrovando nel testo talvolta anche ricchezze che non emergevano ad una prima lettura, e hanno integrato e corretto il testo – ha concluso Castellucci – che tuttavia non si presenta ancora maturo».
Ora, insomma ci si rimetterà in cammino, dopo essersi ascoltati ancora in questi giorni. «Pensiamo che questo dinamismo rappresenti pienamente la sinodalità, in quanto vede tutti i ministeri ecclesiali procedere insieme, ciascuno con le proprie competenze e in armonia – è parte del messaggio conclusivo che i partecipanti invieranno a Papa Francesco –. Gioia e responsabilità sono i due sentimenti che ci hanno animato e che Le consegniamo, Santità, con la fiducia e l’affetto dei figli».
***
da AVVENIRE
5 aprile 2025
Le voci.
«Dissenso sì, ma costruttivo».
L’Assemblea sinodale raccontata
da chi c’era
Giacomo Gambassi
I partecipanti alla Seconda assise italiana che è stata rinviata a ottobre dopo i rilievi sul testo finale: «Una scossa sismica frutto dello Spirito. Più tempo? Scelta di realismo e umiltà»
Nessuno si nasconde dietro un dito. Il «dissenso» c’è stato fra i mille partecipanti alla Seconda Assemblea sinodale delle Chiese in Italia sul documento che giovedì doveva essere approvato al termine di quattro giorni di lavori. Un dissenso costruttivo, nel segno della «fraternità» e della «comunione», per il bene della comunità ecclesiale, che ha spinto a prendere tempo per riformulare il testo finale dal titolo “Perché la gioia sia piena” recependo i suggerimenti dei delegati sulle 50 Proposizioni che lo compongono. Formazione degli adulti, ruolo delle donne, accompagnamento dei giovani e delle famiglie ferite, peso degli organismi di partecipazione (come i Consigli pastorali parrocchiali), azione delle Caritas sono fra i temi da ricalibrare. L’assise sinodale tornerà a riunirsi il 25 ottobre per la votazione; poi il documento verrà discusso dall’Assemblea generale dei vescovi italiani che da maggio è spostata a novembre. «I delegati – spiega Laura Lamma della diocesi di Carpi – non hanno avuto timore a esprimere, perché accompagnati dallo Spirito, un dissenso a difesa non di proprie idee, ma di un cammino durato quattro anni in cui le diocesi si sono poste in ascolto profondo non solo delle realtà ecclesiali ma anche della società civile, con incontri che ancora oggi proseguono con un arricchimento reciproco. Tale e tanta è stata la ricchezza che non era possibile racchiuderla nelle poche righe che ogni Proposizione presentava. Mancavano pezzi importanti di questo ascolto. Mancava lo slancio profetico a cui ci si è sempre aggrappati per vedere una Chiesa che si fa compagna di strada di tutte le persone, credenti e non credenti. Ma lo Spirito ci ha sorpresi ancora quando la Presidenza si è espressa nel riconoscere e nell’accogliere quanto i delegati nei gruppi di lavoro hanno richiesto attraverso la produzione di emendamenti. L’Assemblea tutta, nella difficoltà del momento, non si è lasciata prendere dallo sconforto e ha avuto l’umiltà di accettare questo come parte di un processo che ci porterà ad essere annunciatori credibili del Risorto».
La riflessione di Laura è una delle molte testimonianze dei partecipanti arrivate alla mail Cei del Cammino sinodale. Contributi che sgombrano il campo dai «fraintendimenti di molta stampa che, riconducendo tutto alle logiche della rappresentanza e di affermazione di posizioni e rivendicazione di spazi di potere, a spinte e resistenze di parti che si vorrebbero dialetticamente contrapposte», non ha colto «il senso» di una «mobilitazione dinamica» che ha visto confrontarsi «dai vescovi ai presbiteri e diaconi, dai consacrati alle persone a diverso titolo impegnate nella vita pastorale» e che ha permesso di toccare con mano «il profondo respiro della Chiesa», nota Alberto Peratoner del patriarcato di Venezia. Sicuramente, avvertono Flavio Gotta ed Eugenia Travo, delegati di Acqui, è stato un «passaggio delicato, per certi versi rischioso» ma che ha inteso «davvero costruire una Chiesa evangelica».
Don Calogero Di Leo, referente diocesano di Perugia-Città della Pieve, lo ammette: «Nessuno si aspettava il movimento sismico che lo Spirito ha provocato. Mediante un confronto libero, franco e trasparente in plenaria, come nei gruppi di lavoro, ha consegnato possibilità di parola a ciascuno attorno a un testo di Proposizioni che è stato considerato insufficiente, sia rispetto alla ricchezza di contenuti emersi nel percorso sinodale delle diocesi, sia rispetto all’attesa di indicazioni che si vogliono meno esortative e maggiormente stringenti. Non sono mancati momenti di tensione, vissuti in modo costruttivo, per un’Assemblea definita “generativa e spirituale”, che ha saputo comporre nell’armonia le diversità. Lo Spirito ha parlato tramite il “santo popolo di Dio in credendo”, ma anche tramite i pastori che hanno saputo leggere i segni dei tempi con sano realismo e umiltà, annunciando che il cammino di discernimento continua».
Don Marco Pascarella, delegato di Capua, boccia l’idea di un «incidente di percorso». «Cosa è successo? Scontri accesi su temi scottanti o, peggio ancora, la volontà di non cambiare niente? Non ritengo veritiera né l’una, né l’altra versione. Non uno scontro, ma un dialogo fatto di parresia. Chi ha preso parola in assemblea (o ha inviato il suo contributo scritto) lo ha fatto con un profondo senso di responsabilità, portando la voce delle singole Chiese locali. Non sono mancati i riferimenti a una lettura nuova dei segni dei tempi, ma ciò che destava preoccupazione era il rapporto tra un testo freddo (le Proposizioni) e un’assemblea che sapeva quel che chiedeva. Il rimando a ottobre è un segnale forte per tutta la Chiesa italiana. E questa vicenda rafforza il legame tra collegialità (episcopale ndr) e sinodalità. L’attività di discernimento e insegnamento dei vescovi non può essere sganciato dall’ascolto del corpo ecclesiale».
Aggiunge don Sebastiano Pinto dell’arcidiocesi di Brindisi-Ostuni: «È stato necessario “strappare” ciò che non era ritenuto idoneo e veritiero: Proposizioni blande, verbi flebili, locuzioni sbiadite. Perché il Vangelo chiede franchezza, coraggio, verità. Non ci si poteva soltanto limitare a “rammendare”. È stato il tempo della parola riconsegnata ai delegati. Ed è stato il tempo dello Spirito che non ha fatto tacere la vigorosa voce della Chiesa italiana». Nessuna ribellione, quindi. «Si prospettava un documento, si è prodotto un orientamento – sottolinea don Livio Tonello della Facoltà teologica del Triveneto -. La prima esperienza italiana di ciò che un Sinodo comporta ha dato voce al popolo di Dio nella sua interezza. Le impreviste dissonanze nella melodia produrranno uno spartito di altra tonalità, soprattutto con l’apporto di tutti gli orchestrali». E Giovanni Berera della diocesi di Bergamo sintetizza: «Non una battuta d’arresto ma un’ulteriore rincorsa per il grande salto verso una Chiesa umile e disinteressata».
***
da AVVENIRE
5 aprile 2025
Intervista.
Notarstefano (Ac):
«Rivedere quel testo?
Una vera decisione profetica»
Enrico Lenzi
«Spiegheremo nelle parrocchie quanto è successo durante i lavori. Su alcuni temi è mancata una sintesi condivisa»
«Definirei una scelta “profetica” quella di concedere ulteriore tempo per elaborare un documento condiviso da consegnare all’Assemblea generale dei vescovi». Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale di Azione cattolica, sceglie volutamente quel termine ricordando che nel Cammino sinodale questa è stata definita la “fase profetica”.
Presidente, ma come va letta questa prosecuzione dei lavori della Seconda Assemblea sinodale?
«Ne darei una lettura positiva. Come Azione cattolica ci siamo preparati all’incontro di Roma riflettendo sui documenti elaborati nel corso del Cammino sinodale. Vi abbiamo unito anche il nostro cammino interno di associazione cercando di fare una lettura sinottica. Lo abbiamo fatto al nostro interno anche con diversi gruppi di lavoro, che hanno adottato lo stile sinodale che ci viene richiesto. Abbiamo anche condiviso con l’Agesci una riflessione su temi che possono accomunarci. E tutto questo nostro lavoro lo abbiamo raccolto in un documento che abbiamo inviato al Comitato nazionale del Cammino».
Qualcuno parla di un approccio critico dei delegati al testo delle 50 Proposizioni. Come è andata davvero?
«La gran parte dei delegati quel testo lo ha visto per la prima volta lì, all’avvio della Seconda Assemblea. Ma a creare maggior disorientamento è stato il fatto che il documento, forse troppo stringato, non rendeva, secondo i delegati, la ricchezza del dibattito e del cammino compiuto fino a quel momento. Diciamo che sono state sollevate osservazioni sulla metodologia con cui è giunti alla elaborazione del testo, che non ha avuto, ad esempio, alcuna condivisione strada facendo».
E sui contenuti?
«Le Proposizioni, ripeto, non hanno restituito la ricchezza del dibattito e su molti temi i punti sono stati considerati incompleti. Al di là di tutto questo, però, ci tengo a precisare che il clima che abbiamo vissuto dopo questo primo momento di difficoltà, è stato fortemente costruttivo. Nei lavori di gruppo ho potuto riscontrare l’entusiasmo di sempre e la voglia di proseguire il lavoro. Tra i temi su cui si è registrata maggior attenzione, ad esempio, quello sul ruolo delle donne, con un approccio che valorizzi la loro presenza in senso pieno, anche nello sguardo delle leadership, meno verticistiche e più con spirito evangelico».
Insomma, la Seconda Assemblea si è rimessa in moto?
«Non si era mai fermata, ma di certo in questo frangente si è dimostrato da una parte che la sinodalità inizia a essere uno stile di lavoro dentro la nostra Chiesa. Una Chiesa, quella italiana, che ha dimostrato una grande maturità. C’è stata una capacità di vivere questo appuntamento in modo positivo non fermandosi alla pura critica, ma con il desiderio di rimettersi al lavoro, di recuperare tutta la ricchezza uscita dal Cammino. C’è stata capacità di vivere ecclesialmente questa fase».
Alcuni commentatori laici parlano di “flop”, ma certo anche le parrocchie potrebbero essere disorientate.
«Ribadisco: ho visto una Chiesa italiana molto matura e capace di cogliere la sfida che abbiamo davanti. La sinodalità è davanti a noi, e ci chiede una conversione profonda. Nelle prossime settimane spiegheremo nelle parrocchie il vero valore di quanto avvenuto, consapevoli che troveremo anche una parte di credenti che si dice disillusa se non scettica sulla possibilità di cambiare. Cercheremo di far capire a tutti che si tratta di un processo in cui tutti siamo coinvolti. Con metodi nuovi come la “conversazione nello Spirito”, che può aiutarci a vivere la fede nella prospettiva del presente».
Come sarà il percorso verso il 25 ottobre, giorno nel quale si tornerà per votare il documento da affidare ai vescovi?
«Accompagneremo il lavoro di sintesi che i referenti dei gruppi sono chiamati a fare. Su diversi temi abbiamo raggiunto una visione condivisa per arrivare a una decisione operativa dei vescovi. Ma dobbiamo essere anche consapevoli che su alcuni temi di cui abbiamo dibattuto non abbiamo ancora una sensibilità comune e quindi sarà necessario darsi ancora del tempo, camminando insieme. In stile sinodale».
***
Le parole di un membro del sinodo:
“Ci siamo riuniti per quattro anni, abbiamo discusso, studiato, ci siamo confrontati, abbiamo fatto proposte, e nel testo non c’era niente di tutto questo”, dice un membro del cammino sinodale. I delegati non hanno ritrovato quasi nessuna delle questioni sollevate, temi non di rado controversi ma concreti e dettagliati. C’era il riconoscimento al ruolo delle donne nella Chiesa, ma nessun riferimento alla possibilità di nuovi ministeri femminili, ad esempio al diaconato. Accompagnamento delle persone omosessuali, ma nulla di più (e per qualcuno “accompagnamento” è un termine ambiguo), e nessuna menzione dell’acronimo lgbtq+ (che pure si era affacciato al sinodo mondiale). Poco o nulla sugli abusi sessuali. C’era il tema della trasparenza economica, i bilanci, e la “accountability”, ma tutto lasciato in carica alle singole diocesi. Poco e nulla per quanto riguarda la Cei, molto “si dovrebbe”, “si potrebbe”. E quanto ai temi sociali – il lavoro, i migranti, l’ecologia, la pace – una riverniciatura lessicale di bergoglismo senza tradurre in pratica le sollecitazioni, molto precise, formulate in questi anni dallo stesso Bergoglio. “Un testo che sembrava scritto 40 anni fa”, taglia netto un membro del sinodo.
***
da FAMIGLIA CRISTIANA
01/04/2025
Sinodo italiano:
l’Assemblea critica il testo
Il 95 per cento degli interventi contro le Proposizioni accusate di essere troppo povere rispetto al cammino fatto in questi anni. Discussi i temi delle donne, degli omosessuali, dell’accompagnamento ai più fragili
Annachiara Valle
Un testo che può essere interamente cambiato. Perché, dopo che oltre il 95 per cento degli interventi sulle 50 proposizioni sinodali è stato critico, «la presidenza del Comitato del Cammino sinodale, che aveva fissato un numero limitato di possibili emendamenti, ha lasciato invece che potranno entrare tutti gli emendamenti che ciascun gruppo deciderà di votare a maggioranza dei due terzi». Monsignor Erio Castellucci, presidente del Comitato, non nasconde le contestazioni che, numerose, sono arrivate sul documento che fa sintesi dei quattro anni di lavoro della Chiesa italiana. «Piuttosto che un’Assemblea sonnacchiosa, che non è interessata, ne preferisco una che critica. Per me questa è la sinodalità: confrontarsi liberamente senza preoccuparsi di ferire, magari anche di colpire chi ha lavorato ai testi». E anche se «ci sentivamo come due orsacchiotti cui si tirano le palle come al tiro a segno», ironizza guardando monsignor Valentino Bulgarelli, segretario del Comitato, racconta ai giornalisti, senza finzioni, che «siamo stati contenti della partecipazione. Ci sono stati 50 interventi, ma iscritti a parlare erano 155». Un cammino sinodale in salita quello che la Chiesa italiana sta percorrendo, da 2021 e che è arrivato adesso alla Seconda Assemblea. Compito dei delegati (957 di cui 176 vescovi, 246 presbiteri, 442 laici, 31 consacrati, 18 diaconi, 44 tra religiosi e religiose) delle 226 diocesi (su 229) è quello di arrivare alla definizione di un testo da consegnare poi all’assemblea di maggio della Cei perché i vescovi italiani lo convertano in un documento normativo per la Chiesa italiana. Riuniti in Vaticano fino al 3 aprile continueranno a confrontarsi dopo la vivace mattinata di oggi. «Sperando arrivino anche proposte concrete», aggiunge monsignor Bulgarelli. Tra i temi al vaglio dell’assise anche l’accoglienza delle coppie Lgbtq, e la responsabilità ecclesiale delle donne. «Questo testo è introdotto da alcune riflessioni che agganciano il cammino fatto in precedenza in tre grandi ambiti», spiega monsignor Castellucci. «La missione come prossimità, l’iniziazione cristiana, la corresponsabilità. Che contiene anche il tema della femminilità nella Chiesa e dei giovani». Su questo alcune delle maggiori critiche perché le Proposizioni sono state ritenute «un testo che ha ristretto la ricchezza del cammino fatto finora». È stato detto «che è un testo povero e allora», insiste monsignor Bulgarelli, «i gruppi di studio, una trentina, hanno due mezze giornate per esaminare le tre parti del testo e proporre degli emendamenti, delle integrazioni, delle cancellazioni». In modo tale che, ha aggiunto don Gianluca Marchetti, sotto segretario della Cei, «si possa convergere su un testo da consegnare poi all’Assemblea Cei. Sapendo che si tratta di un cammino, di un percorso in divenire».
Dalla «mancanza di afflato missionario» alla critica della parola «accompagnamento» giudicata troppo paternalistica fino «all’uso, giudicato eccessivo, del linguaggio degli auspici – “si provveda, si faccia, ci si muova” – si è chiesto di essere più incisivi». In ogni caso, è stato ribadito «questo testo, anche se verrà fatto a pezzi, se verrà integrato, è una base, non è il testo finale del sinodo. Si tratta di una serie di proposte per capire dove converge l’Assemblea. Il testo con le Proposizioni, in tutto 38 pagine, è diviso in tre sezioni, la prima preceduta da una introduzione generale che si intitola “Perché la gioia sia piena”. Qui, elenca monsignor Castellucci, si parla di «missione nello stile della prossimità, promozione dello sviluppo umano integrale, formazione alla vita affettiva, cura delle persone fragili, servizio di tutela dei minori e degli adulti vulnerabili, accompagnamento delle persone in situazioni affettive particolari, ambiente educativo e accompagnamento dei giovani. Ma anche di organismi di partecipazione, della liturgia, della omelia, della revisione dei testi liturgici e della pietà popolare. Della comunicazione, dell’ambiente digitale, del patrimonio artistico, dell’ecumenismo, degli stili di vita sostenibili, della dignità del lavoro, delle opere segno delle Caritas, del disarmo e del commercio etico». E ancora si parla di «iniziazione cristiana, del servizio per le persone con disabilità e dei percorsi di formazione per educatori, animatori, presbiteri e diaconi, con la richiesta abbastanza diffusa di rivedere i cammini di formazione, per lo meno per quanto riguarda l’integrazione di donne e famiglie nella formazione anche dei futuri preti». Infine le «proposizioni sulla corresponsabilità. Qui si potrebbero già prendere delle decisioni sulle riconfigurazioni territoriali. E poi sui referenti di comunità, queste figure, soprattutto nelle piccole parrocchie non più abitate dai parroci». Le richieste di snellire i modelli di curia, «la burocrazia, la certificazione, la possibilità di trovare delle forme di alleggerimento della gestione delle parrocchie attraverso deleghe, procure e altre forme di corresponsabilità. E quindi anche di una guida sinodale delle comunità dove il pastore è pastore, ma ci sono anche altre figure che condividono la responsabilità pastorale. E poi ce n’è una, la quarantottesima sulla trasparenza economica e la rendicontazione diocesana».
Tra le critiche più severe quelle riguardanti l’omoaffettività e il ruolo delle donne. La proposizione 5,«che è stata anche oggetto di alcune osservazioni, dice che “le diocesi, avvalendosi anche di esperienze formative, prassi già in atto, si impegnino nella formazione di operatori e nuovi percorsi perché le comunità siano compagne di viaggio e favoriscano l’integrazione delle persone che soffrono perché si sentono ai margini della vita ecclesiale a causa delle loro relazioni affettive o condizioni familiari ferite o non conformi al matrimonio sacramentale (sposati civilmente, divorziati in seconda unione e conviventi eccetera) o del loro orientamento sessuale e della loro identità di genere». Così pure alla proposizione 43 che «riguarda la responsabilità ecclesiale e pastorale delle donne. VI si legge: “Al fine di riconoscere che la Chiesa è comunità di donne e uomini che vive per l’apporto corresponsabile di competenza, parola, servizio degli uni e delle altre, si raccomanda alle diocesi di promuovere la nomina di donne (laiche e religiose) a guida di uffici diocesani, in ruoli di responsabilità pastorale in diocesi, parrocchie e associazioni, di favorire l’apporto di esperti in scienze bibliche e teologiche nelle istituzioni di formazione del clero e dei laici, di garantire una consistente presenza di donne negli organismi di partecipazione, nell’equipe di guida Sinodale delle comunità, nei tribunali ecclesiastici, di promuovere il loro accesso ai ministeri istituiti, perché – come lettrici, accolite, catechiste e referenti di piccole comunità – possano servire le comunità cristiane in modo competente, autorevole e stabile». La critica, in questo caso è all’aver espunto il riferimento al diaconato. Anche se, chiosa monsignor Castellucci, «come vedete non sono neanche tanto chiuse, queste proposizioni». Per esempio, aggiunge monsignor Bulgarelli, «quando si parla di donne come guida sinodale c’è un’evoluzione nel pensiero non indifferente. Bisognerà poi vedere come incarnare queste parole. Un processo che è in cammino, non semplice, ma che continua ad andare avanti».
***
La Repubblica
04 APRILE 2025
Sinodo, mons. Castellucci:
“Ascoltare e cambiare idea,
ce lo insegna il Papa”
di Iacopo Scaramuzzi
Intervista all’arcivescovo di Modena-Nonantola Carpi, vicepresidente della Cei e presidente del comitato nazionale del cammino sinodale: “L’assemblea ha mostrato una Chiesa intelligente, costruttiva, creativa”
All’assemblea sinodale italiana si è sentita «l’aria di papa Francesco». Ne è convinto monsignor Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola Carpi, vicepresidente della Cei e presidente del comitato nazionale del cammino sinodale.
Ha raccontato che qualcuno le ha dato una pacca sulla spalla a mo’ di condoglianze, ma il suo discorso finale è stato accolto da una standing ovation: com’è andata?
«Il primo giorno una cinquantina di membri dell’assemblea sono intervenuti in modo molto critico nei confronti del documento, come se riducesse in modo inaccettabile la ricchezza del percorso fatto in questi anni. Era chiaro dagli applausi che molti condividevano questi interventi. Siccome io sono il responsabile di questo cammino, alcuni vescovi scherzosamente si sono avvicinati dicendomi: coraggio, siamo con te! Ma in realtà non mi sono mai sentito né in lutto e nemmeno triste perché ho visto subito un’assemblea che dentro le critiche voleva costruire».
Un’assemblea definita da alcuni ribelli, ma che ha mostrato una Chiesa vivace…
«… intelligente, costruttiva, creativa: un’assemblea che ha costruito. Gli emendamenti arrivati, forse più di trecento, sono stati pensati, votati, discussi con intento costruttivo. Il testo non è bocciato ma rinviato a ottobre, dovrà essere ripresentato in forma molto più ampia, recuperando la ricchezza di questi quattro anni».
Progressisti contro conservatori, laici contro vescovi?
«No: ci sono posizioni diverse, e ci sono temi che vanno approfonditi. Si è cominciato a confrontarsi e questo è positivo».
Quanto ha influito la “sinodalità” di papa Francesco?
«Sicuramente lo stile che il Papa ha impresso, il fatto di avere individuato la sinodalità come compito della Chiesa per il terzo millennio, il fatto di avere riformato radicalmente l’istituto dei sinodi in modo che prendano avvio da una consultazione del popolo di Dio, tutto questo ha influito. Si sente l’aria di papa Francesco».
Lei ha notato che la Chiesa “non è composta da guide che tirano dritto come se avessero sempre ragione, cosa purtroppo molto diffusa oggi nelle tendenze sovraniste e dittatoriali”
«Oggi a tanti livelli le guide delle comunità, nazionale o locali, sono portate a affermare le loro idee nonostante tutto. Se la Chiesa facesse così non obbedirebbe allo Spirito, che soffia attraverso l’insieme dei fedeli».
Cosa si porta a casa dopo queste giornate intense?
«Un po’ di fatica personale — solo mercoledì le ore di riunione sono state diciassette — ma soprattutto gioia per avere visto una Chiesa che ha voglia di essere creativa nella società: non di tirare i remi in barca, o di essere aggressiva, o di scomparire tra le pieghe del mondo e delle sue mentalità a volte inaccettabili, ma di essere un segno creativo della presenza del Signore e del suo Vangelo».
***
da camminosinodale.chiesacattolica.it
3 Aprile 2025
L’intervento di Mons. Castellucci
Pubblichiamo l’intervento di Mons. Erio Castellucci, Presidente del Comitato Nazionale del Cammino sinodale.
Comincio, esprimendo gratitudine, con una confidenza: in questi giorni ho ricevuto attestati di vicinanza da parte di alcuni di voi che, incontrandomi, sorridevano a labbra strette e mi davano una pacca sulla spalla, come si fa quando si porgono le condoglianze. Ringrazio per queste attenzioni, rassicurando comunque che il mio stato d’animo è di prevalente gratitudine a questa Assemblea, in tutte le sue componenti: è stata definita da alcuni un’Assemblea “ribelle”, ma è stata piuttosto un’Assemblea viva: critica, leale, appassionata per la Chiesa e la sua missione.
Nella lunga riunione della Presidenza del Comitato, ieri pomeriggio e sera, per la nostra Assemblea di questi giorni – sia nei momenti comuni sia in quelli dei gruppi – è stato speso più volte l’aggettivo “generativa”. Aggiungerei che abbiamo vissuto dei giorni davvero “spirituali”, non solo nei momenti di preghiera, ma anche in quelli di dialogo, dibattito, confronto e ricerca di consenso. L’azione dello Spirito, infatti, non mira al livellamento e all’uniformità, ma alla comunione, che è armonia delle diversità e ricerca di una sintesi superiore. Così accade fin dalla prima grande riunione ecclesiale, da alcuni definita addirittura “Concilio di Gerusalemme”, di cui abbiamo un sintetico verbale nel cap. 15 degli Atti degli Apostoli. Questa riunione si svolse a partire da discussioni con i cristiani giudaizzanti, vide gli interventi di Pietro, Giacomo, Paolo e Barnaba, e si concluse con un dissenso proprio tra Paolo e Barnaba, che da quel momento si separarono. Alla fine, votarono una sola “Proposizione” (l’asciugatura lì è stata massima), ma decisiva per la vita della Chiesa: “È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime” (At 15,28-29).
I momenti di tensione, dunque, fanno dunque parte da sempre dei percorsi sinodali e sono esperienze spirituali, se vissuti – come è successo in questa Assemblea – in modo costruttivo. Nel discorso di chiusura del Sinodo ordinario dei Vescovi sulla famiglia, Papa Francesco disse, con la consueta franchezza: “Nel cammino di questo Sinodo le opinioni diverse che si sono espresse liberamente – e purtroppo talvolta con metodi non del tutto benevoli (ma si riferiva ai Vescovi, ndr.) – hanno certamente arricchito e animato il dialogo, offrendo un’immagine viva di una Chiesa che non usa ‘moduli preconfezionati’, ma che attinge dalla fonte inesauribile della sua fede acqua viva per dissetare i cuori inariditi” (24 ottobre 2015). L’opinione comune non si forma solo sull’ascolto, ma anche sul dibattito, che orienta a una votazione per registrare il consenso.
Non è inutile ricordare che il nostro Cammino sinodale si è mosso liberamente rispetto ai canoni di un Sinodo vero e proprio o di un Concilio. Abbiamo percorso in questi anni tre tappe – narrativa, sapienziale e ora profetica – che si sono precisate un po’ alla volta, con scelte ispirate dalla realtà che si stava snodando, non solo riguardo ai contenuti (ad esempio all’inizio non sapevamo quali argomenti sarebbero stati prioritari), ma anche riguardo alle modalità (ad esempio, all’inizio avevamo previsto una sola Assemblea sinodale finale e poi ne sono nate due… e in questi giorni ne è stata proposta una terza). È difficile, ma è anche appassionante, lasciarsi condurre dalla realtà, nella convinzione che lo Spirito semini in essa delle tracce da discernere alla luce del Vangelo. Si chiamano, in grande, “i segni dei tempi”; e nel nostro piccolo possiamo chiamarli “tracce del Regno”.
È importane anche ribadire che non stiamo semplicemente celebrando degli eventi, ma dei processi, e che per questo il peso dei documenti prodotti è da misurare sul cambiamento degli stili ecclesiali. Come ci è stato ricordato in quest’Aula, la profezia non sta tanto nelle carte e nemmeno la si può attribuire a se stessi, ma si verifica negli eventi e nelle esperienze. Un libro può esprimere e incentivare l’auspicata conversione comunitaria, ma non la può surrogare. L’esperienza di sinodalità di questi anni, che Lucia Capuzzi ci ha narrato aprendo i lavori dell’Assemblea, è già un frutto grande del Cammino sinodale, da custodire anche attraverso i documenti.
Questo processo sinodale rappresenta una novità per le Chiese del nostro Paese. Certo, i cinque decenni post-conciliari precedenti, più volte rammentati nei testi di questi anni, erano esperienze di coinvolgimento e partecipazione. Ma il metodo è stato cambiato, proprio sulla spinta della visione di sinodalità introdotta da Papa Francesco. Prima veniva steso un documento di orientamento all’inizio di ogni decennio, seguito da altri documenti che scandivano la recezione nelle Chiese; e a metà decennio un Convegno nazionale evidenziava la dimensione sociale e culturale del tema scelto. In questo decennio, invece, siamo partiti dalla consultazione aperta all’intero Popolo di Dio e poi, fase dopo fase, siamo arrivati alle Assemblee sinodali di metà decennio, per fissare alcune priorità e rilanciare orientamenti pastorali che nei prossimi anni dovranno essere recepiti: non più, però, come testi elaborati per così dire dagli esperti e consegnati a tutti, ma elaborati da tutti – ovviamente con le necessarie e inevitabili mediazioni – e consegnati a tutti. Non è un cambiamento da poco.
Veniamo ora alla cronaca recente. La terza fase – lo ricordo ancora una volta – si è aperta con l’Assemblea della CEI dello scorso maggio, dalla quale sono sorti i Lineamenti, consegnati, attraverso vari passaggi e rielaborazioni, alla prima Assemblea del novembre scorso. Di qui è nato lo Strumento di Lavoro, sul quale le Chiese in Italia hanno potuto offrire i loro contributi nei mesi di gennaio e febbraio: il 2 marzo era il limite entro il quale consegnarli e, di fatto, entro i primi giorni di marzo ne sono giunti 196 dalle Diocesi più altri da associazioni e gruppi.
A questo punto segnalo e ammetto alcune carenze nel percorso del mese di marzo, dovute anche al fatto che il passaggio da queste sintesi alla nostra Assemblea si è dovuto contrarre nell’arco di tre settimane. Nei primi giorni del mese, la Presidenza del Cammino sinodale ha letto tutti i contributi e alcuni dei membri hanno steso un primo testo di sintesi, di 74.000 caratteri, letto integralmente e discusso l’11 marzo nel Consiglio Episcopale Permanente; in quella riunione ne è stata chiesta la riduzione drastica, perché si arrivasse alla forma di Proposizioni (come da Regolamento) sintetiche e mirate. Probabilmente la dieta è stata eccessiva, avendo eliminato anche tutte le citazioni e ridotto il testo a 46.000 battute. Questo lavoro ha richiesto alcuni giorni (si doveva anche impaginare e stampare) ed è stato poi presentato al Comitato Nazionale del Cammino sinodale in una rapida riunione online il 28 marzo, prima di essere inviato a tutti i delegati il giorno dopo.
Una seconda carenza, oltre a quella della tempistica, ha riguardato la comunicazione. Abbiamo dato per scontato che tutti conoscessero il genere letterario delle Proposizioni e lo condividessero. Dovevamo certamente spiegare meglio che le Proposizioni andavano lette alla luce dei testi precedenti, soprattutto i Lineamenti e lo Strumento di Lavoro, e abbiamo supposto, sbagliando, che fosse chiaro che le Proposizioni erano pensate come testo di passaggio, quasi un indice ragionato, che doveva aprire la strada ad alcune decisioni concrete e poi soprattutto al recupero della ricchezza del quadriennio. Dovevamo valutare meglio che questo genere letterario, da alcuni ritenuto sorpassato, in un percorso così ricco come quello del quadriennio, può risultare arido e povero, senza riuscire a mostrare una reale continuità rispetto ai documenti precedenti.
Cosa fare ora? Ne abbiamo parlato ieri nella Presidenza del Comitato e nel Consiglio Episcopale Permanente. Abbiamo ribadito che la Chiesa non è composta da guide che ignorano il “sentire” del popolo (di Dio), tirando dritto come se avessero sempre ragione – cosa purtroppo molto diffusa oggi nelle tendenze sovraniste e dittatoriali – ma è composta da guide chiamate a discernere la presenza e l’azione dello Spirito nel Popolo di Dio, del quale fanno parte. Si cresce insieme, ciascuno secondo i propri doni e le proprie responsabilità. Il testo proposto di fatto è apparso inadeguato. L’Assemblea di martedì mattina e le moltissime proposte di emendamento avanzate dai 28 gruppi richiedono un ripensamento globale del testo e non solo l’aggiustamento di alcune sue parti. I gruppi in queste due mezze giornate hanno lavorato molto bene, intensamente e creativamente, ritrovando nel testo talvolta anche ricchezze che non emergevano ad una prima lettura, e hanno integrato e corretto il testo; che tuttavia non si presenta ancora maturo.
Ora vi verranno restituiti i lavori svolti nei gruppi e poi verrà avanzata una mozione da votare, per impostare il seguito del Cammino sinodale. Anticipo che vorremmo fare un passo avanti, non “tirare una riga” e ricominciare, perché abbiamo alle spalle quattro anni di Cammino delle nostre Chiese: vorremmo andare verso un testo che, pur mirando alla sintesi e orientandosi a decisioni votabili (prima o poi occorre pure decidere), sia più discorsivo del presente testo delle Proposizioni, anche emendato con i lavori di questi giorni, e più ricco e profondo. Per la tempistica futura, dei prossimi anni di recezione, come già detto ci intrecceremo con il calendario della recezione del Sinodo universale. Per la tempistica prossima, invece, che riguarda la conclusione del nostro Cammino sinodale, verrà proposta tra poco un’ipotesi al voto di questa Assemblea, che ringrazio ancora.
***
da camminosinodale.chiesacattolica.it
L’introduzione del Card. Zuppi
31 Marzo 2025
Carissimi e carissime, benvenuti!
È una gioia salutare tutti voi, fratelli e sorelle, Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, laici e laiche con l’augurio, tratto dalle parole che ci accompagneranno in questi giorni: «Che la nostra gioia sia piena!» (cf. 1Gv 1,4). Sono parole che ci riportano al senso della nostra chiamata, che il Giubileo ci dona con larghezza, ci introducono in quella casa dove il Padre getta le braccia al collo e ci bacia, liberandoci dalla dannazione del mio perché in quella casa tutto ciò che è mio è tuo! È gioia che ci libera dalla tentazione del pessimismo, dal fatalismo che fa sperare solo dopo che abbiamo le risposte o garanzie sufficienti, scambiando questo come realismo, finendo lamentosi e fragili. È vero anche per noi: «Tutti, in realtà, hanno bisogno di recuperare la gioia di vivere, perché l’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen 1,26), non può accontentarsi di sopravvivere o vivacchiare, di adeguarsi al presente lasciandosi soddisfare da realtà soltanto materiali. Ciò rinchiude nell’individualismo e corrode la speranza, generando una tristezza che si annida nel cuore, rendendo acidi e insofferenti» (Spes non confundit, n. 9).
Il nostro pensiero va subito a Papa Francesco, che del resto del Gaudium ha fatto la cifra del suo ministero, per liberare da un cristianesimo triste, ripiegato su di sé, ridotto a tranquillizzante, inquieto per l’interno e non per il mondo, ossessionato difensore delle proprie paure che scambia per verità perché ha perso il senso della storia, diventando giudice purista, attivo pelagiano che si fida delle sue opere o gnostico innamorato dei propri ragionamenti o interpretazioni.
A Firenze, l’Evangelii gaudium in italiano e per l’Italia, Papa Francesco ci chiese: «In ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium». Disse ancora: «La nostra fede è rivoluzionaria per un impulso che viene dallo Spirito Santo. Dobbiamo seguire questo impulso per uscire da noi stessi, per essere uomini secondo il Vangelo di Gesù. Qualsiasi vita si decide sulla capacità di donarsi. È lì che trascende sé stessa, che arriva ad essere feconda». E aggiunse: «Il cristiano è un beato, ha in sé la gioia del Vangelo. Nelle beatitudini il Signore ci indica il cammino. […] L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di sé stesso, allora non ha più posto per Dio. Evitiamo, per favore, di “rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli” (Esort. ap. Evangelii gaudium, 49)» (Discorso, 10 novembre 2015).
È facile finire per essere scontenti, ipercritici (sugli altri) e poco capaci di gioire della tanta santità della “porta accanto”, alla ricerca di una comunità virtuale, che non esiste, e umiliandosi poco, proprio come la nostra generazione, a costruire relazioni, legami concreti e veri. Oggi torniamo qui dove tutto era iniziato: nella sede di Pietro, il 30 gennaio 2021, quando rivolgendosi all’Ufficio Catechistico Nazionale, il Papa ci incoraggiò a intraprendere in modo deciso il Cammino sinodale. «La Chiesa italiana deve tornare al Convegno di Firenze, e deve incominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, Diocesi per Diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel Convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo Sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare» (Discorso, 30 gennaio 2021).
Abbiamo iniziato a camminare e il cammino, come sempre, si è aperto a mano a mano, con buona pace di chi pensava necessario conoscerlo tutto prima di partire, per poi restare fermo o restare a discutere, diciamo così, da fermo, in surplace! Solo camminando, abbiamo capito cosa significa sinodale, quanto sia una dimensione costitutiva e una forma indispensabile della Chiesa, scelta di pensarsi insieme, nella vita, nel cammino per la gioia che vogliamo raggiunga tutti. Oggi ci sentiamo di nuovo a casa, qui nella casa di Colui che presiede nella carità, il servo dei servi che ci ricorda che siamo qui solo per servizio e che ci guida con il suo magistero e con i suoi gesti, per amare e custodire l’unità della Chiesa nella comunione. Lo ringraziamo per l’attenzione paterna che sempre rivolge alle Chiese in Italia e Gli assicuriamo la nostra preghiera per la Sua salute. Si uniscono a noi i tanti compagni di strada che si sentono vicini a Lui.
La gioia! I lavori di questi giorni saranno introdotti dalle parole del Presidente del Cammino sinodale, Mons. Erio Castellucci. Permettetemi di ringraziarlo insieme a Mons. Valentino Bulgarelli, a tutto il Comitato, alla Presidenza di questo, ai referenti che con generosità personale non hanno fatto mancare il loro contributo e la loro speranza, anche tra non poche difficoltà.
1. Quello che da principio abbiamo udito
«Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita…» (1Gv 1,1). Tutto inizia con un’esperienza concreta di Dio. Apparentemente i protagonisti sono gli uomini, ma in realtà il protagonista della storia è il Verbo della vita che si è fatto conoscere dagli uomini. Il vero protagonista è il Signore e non il nostro protagonismo, raffinato o rozzo che sia, che ci rende attenti più alla considerazione che al contenuto, al ruolo più che al servizio, al risultato più che al processo, allo spazio più che al tempo. È lo Spirito che nel Cammino sinodale svolto in questi anni ci ha donato il tempo in cui il Signore si è fatto ancora conoscere, il tempo in cui lo Spirito ha continuato a parlare alle Chiese (cf. Ap 2-3). Il Cammino sinodale è stato ed è un percorso fondamentalmente spirituale, un’occasione propizia per rinnovare il legame tra la Chiesa e il suo Signore Risorto, un modo per leggere i segni dei tempi, dilatare il cuore nella fede, nella speranza e nella carità, per costruire comunità e la Chiesa di Dio. A mio parere è proprio questo il problema che ci deve appassionare per il futuro: costruttori di comunità, di relazioni, di famiglie dove si è generati alla vita e si ricostruisce il “noi” della casa del Padre, altrimenti blindata dal rancore ferito del fratello maggiore che non ha interesse alla fraternità. Il “modo sinodale” di cui parlava il Papa è diventato lo stile che ci ha ispirato in questi anni di Cammino sinodale.
2. La nostra gioia
San Giovanni nell’incipit della sua Prima Lettera dice: «Perché la nostra gioia sia piena». Non si tratta né solo della mia né solo della vostra, ma della nostra gioia. La casa del Padre si riconosce da quell’amore dove – non conosco amore che non sia così – mio e tuo coincide. Siamo in un mondo che ha paura di pensarsi insieme e finisce attratto dalla forza di un “io” che si impone e risolve, con sintesi che a volte appaiono grottesche, altre preoccupanti e pericolose. La gioia cristiana che il Cammino sinodale ci ha concretamente illustrato è comunitaria, ecclesiale, non per élite di Chiesa, ma finalmente al plurale e per tutti.
La seconda caratteristica della gioia sinodale mi pare di poterla scorgere già in quel documento che non a caso porta il titolo di Gaudium et spes, ultimo testo del Concilio promulgato proprio sessanta anni fa, il 7 dicembre 1965. Lì il Concilio illustrava una caratteristica fondamentale della Chiesa cattolica: l’attitudine positiva al dialogo con il mondo, franco, sereno, maturo, propositivo e, se necessario, critico, sempre audace per difendere il Signore e la persona. Questo dialogo è essenziale: non c’è infatti gioia cristiana senza inserimento pieno nella storia, senza coinvolgimento attivo nelle vicende della gente, senza lettura dei segni dei tempi, senza amore per tutti, soprattutto per quanti si trovano relegati, loro malgrado, nelle periferie esistenziali. La gioia che vogliamo annunciare è dunque “nostra” nel senso che è di tutta la Chiesa ed è anche aperta, offerta con rara gratuità a ogni donna e uomo di questo nostro tempo. Il Cammino sinodale ci ha insegnato a non restare soli, a non pensarci da soli arrivando a temere di perderci, noi che siamo chiamati a essere lievito, luce, sale e che siamo ammoniti quando viviamo per noi stessi non quando comunichiamo il Vangelo.
Ancora la Prima Lettera di Giovanni parla di una “gioia piena”. In questi cinque anni siamo passati attraverso diverse fasi certamente intense, a volte faticose, qualche volta frustranti, ma anche in questo fruttuose: l’ascolto, il discernimento e la profezia. Proprio la profezia avrà in questa Assemblea una tappa fondamentale. È bene dunque non dimenticare cosa ha consentito la maturazione di questa fase ultima. All’inizio siamo tornati a esercitarci nell’arte sublime dell’ascolto. Abbiamo voluto che tutti fossero ascoltati e che si sentissero ascoltati. L’ascolto ha fatto bene a chi ha ascoltato e a chi è stato ascoltato. Non si è trattato di un’operazione di facciata, ma di obbedienza alla Parola di Dio, che si rivela nelle Scritture e nella storia delle persone. Così le nostre Chiese si sono rese penetrabili alle voci più diverse, nella consapevolezza che lo Spirito «soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va» (cfr. Gv 3,8). Mi sento di dire che un primo risultato del Cammino sinodale è stato proprio questo stile dell’ascolto ecclesiale, a cui è corrisposta la libertà di chi si è espresso sentendosi partecipe e accolto. Non dovremo perdere questo slancio anche in futuro.
Abbiamo poi imparato l’arte del discernimento ecclesiale. Il Vangelo è stato il caleidoscopio attraverso cui abbiamo guardato quanto abbiamo appreso nella prima fase. Le sintesi diocesane hanno mostrato la sensibilità delle Chiese locali nell’individuare le azioni pastorali sentite come più urgenti a quelle meno. Mi pare di poter vedere qui una espressione chiara del sensus fidelium. E le Proposizioni che discuteremo in questi giorni ne sono il distillato migliore. Davanti a noi abbiamo le Proposizioni: ma tutti noi sappiamo che dietro c’è molto di più. C’è la vita e le attese delle nostre Chiese.
Con questa Seconda Assemblea Sinodale chiudiamo la terza fase: quella della profezia. Dopo aver dedicato spazio a raccogliere suggestioni e a mettervi ordine, ci attendono scelte importanti, di stile ecclesiale e di merito. Sarebbe un tradimento dello spirito del Cammino sinodale pensare che tutto sia finalizzato a un mero cambio di strutture esterne. Tutti noi sappiamo che sono le persone a cambiare le strutture, e non viceversa. La vicenda stessa di Gesù e dei suoi discepoli ce lo insegna. Non ci sottrarremo certo alla responsabilità di cambiare le procedure, a livello diocesano, regionale e anche nazionale, se lo riterremo necessario: ma non perdiamo l’orizzonte spirituale entro cui ci muoviamo. La passione di comunicare la gioia e la speranza del Vangelo si unisce alla coscienza di non separare più la propria salvezza da quella altrui. Paolo VI e il Concilio interpretano la salvezza come qualcosa che si cerca e si riceve mai separati dagli altri. Papa Francesco, durante la pandemia, il 27 marzo 2020, affermò in un tempo di grande crisi: «Nessuno si salva da solo» (Omelia). La Gaudium et spes inizia così: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli…» (n. 1). La compassione non è separarsi dalla storia del mondo, delle donne e degli uomini, piccola, dei poveri, più larga, ma condividerla interiormente e nei fatti. È il nostro orizzonte. Bisognava rimettere il Vangelo «nella circolazione dell’umano discorso» (Ecclesiam Suam, n. 82), espressione bellissima per dire: far scorrere la Parola di Dio nelle vene della società, nei pensieri, nelle discussioni e nelle parole dei contemporanei, nella vita delle persone e nella cultura. Non ci rassegniamo davanti alla realtà malata della società, come se non si avesse niente da dire o da dare. La visione della Gaudium et Spes richiama «l’indole comunitaria dell’umana vocazione» (n. 24). «Iddio, che ha cura paterna di tutti, ha voluto che tutti gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero tra loro come fratelli… Perciò l’amor di Dio e del prossimo è il primo e più grande comandamento» (Gaudium et Spes, n. 24). La fraternità diventa un metodo – si legge nella Gaudium et spes – per «superare, in questo spirito di famiglia proprio dei figli di Dio, ogni dissenso tra nazioni e razze…» (n. 42). Dalla fraternità dei pochi alla fraternità senza confini.
Questo è il mio augurio: che alla fine di questa Seconda Assemblea sinodale delle Chiese che sono in Italia tutti insieme si possa dire che costruiamo comunità aperte, piene di Dio e di umanità. Adesso davvero la nostra gioia è piena non perché abbiamo tutte le risposte, ma perché siamo in cammino dietro a Gesù, forse più poveri ma più vicini tra noi e ai compagni di strada.
Conclusione
Desidero concludere questa mia introduzione e aprire la Seconda Assemblea sinodale con un incoraggiamento a tutti, ad iniziare da me stesso. Molto dipenderà da noi, dal nostro lavoro serio e saggio di questi giorni, audace e pieno di speranza. Abbiamo un compito delicato: quello di aiutare i Vescovi, che si riuniranno nell’Assemblea generale di maggio (26-29 maggio 2025). Anche per questo passeremo insieme la Porta Santa del Giubileo da pellegrini di speranza e, per questo, pieni di gioia perché pieni di Cristo. Così invitava Padre David Maria Turoldo: «Voi che credete / voi che sperate / correte su tutte le strade, le piazze / a svelare il grande segreto…Andate a dire ai quattro venti / che la notte passa / che tutto ha un senso / che le guerre finiscono / che la storia ha uno sbocco / che l’amore alla fine vincerà l’oblio / e la vita sconfiggerà la morte. / Voi che l’avete intuito per grazia / continuate il cammino / spargete la vostra gioia / continuate a dire / che la speranza non ha confini».
Chi volesse leggere le 50 Proposizioni sinodali
⇒ QUI
Commenti Recenti