Sulle contraddizioni del 25 aprile in Valletta, e altro…

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di don Giorgio De Capitani
Ho letto su Merateonline l’articoletto firmato Silvio Pellico sulle contraddizioni del 25 aprile nella Valletta. Vorrei fare qualche commento, distinguendo anch’io i due punti.
Sulla cerimonia religiosa, vorrei però allargare il discorso.  L’anno in cui – eravamo nel 1983 – ho celebrato il 4 novembre da parroco di Balbiano e Colturano (due paesini confinanti con Melegnano, allora sotto la diocesi milanese), mi ricordo di aver detto la Messa, d’accordo con l’amministrazione comunale comunista (allora c’erano ancora i comunisti autentici, per fortuna!), e di aver tenuto l’omelia su testi di don Primo Mazzolari, la cui ostilità alla guerra è nota soprattutto per il suo opuscolo “Tu non uccidere”, ricevendo poi apprezzamenti dal sindaco comunista. Finita la Messa, si è avviato il corteo verso il Monumento ai caduti. Ho partecipato anch’io da semplice cittadino. Non capisco come mai, ancora oggi, si possano mischiare i due momenti: quello religioso e quello civile. Che senso ha benedire tutti gli anni il Monumento, già benedetto, quando in chiesa si sono già ricordati al Signore i caduti per la patria? La cerimonia religiosa sia religiosa (senza interventi di personalità politiche), e quella civile sia civile, senza la presenza del prete in paramenti liturgici!
Per quanto Silvio Pellico racconta a proposito della corona di fiori (non importa se in realtà si è trattato solo di un vaso floreale) deposta sulla tomba di un “ben noto fascista di Monte”, vorrei dire la mia. A Monte tutti lo avranno identificato. Anch’io, quando ero ancora a Monte, mi chiedevo se era opportuno, in particolare il giorno del 25 aprile,  rendere un omaggio a uno dichiaratamente fascista, da parte dell’amministrazione comunale. Per quale motivo? Per quale merito civile? Qualcuno mi potrebbe rispondere?
 E perché allora non avevo esposto pubblicamente le mie riserve? Non per opportunismo o per paura, ma per il semplice motivo che ero ancora prete di Monte, e non volevo suscitare ulteriori divisioni in paese, soprattutto a seguito di dolorose (per me!) vicende, anche queste ben note, dando l’impressione di volermi quasi vendicare. Mi ero ripromesso che certe “ferite” non dovevano più essere riaperte. Quindi ho taciuto. E, quando negli ultimi mesi della mia presenza a Monte, avevo scritto numerosi fogli riportandovi le mie esperienze precedenti, dal 1963 fino al 1996, avevo di proposito deciso di non scrivere nulla, per il momento, sulla mia esperienza pastorale a Monte.
Neppure ora che sono stato allontanato da Monte è arrivato il momento di parlarne, ma prima o poi lo farò, e allora potrà succedere di tutto. Tuttavia, vorrei anticipare qualcosa.
All’inizio del mio ministero pastorale a Monte, ho provato una indicibile sofferenza nel constatare come un muro di diffidenza e di ostilità nei miei riguardi. Ho capito subito che a “comandare” in paese erano ancora alcune famiglie, che da anni e anni mettevano in sudditanza l’intera comunità. A poco a poco le ho isolate, le ho messe a tacere, ma ciò ha comportato solitudine e calunnie. Perdonare non è dimenticare. Se c’è una cosa di cui vorrei vantarmi è l’essere riuscito, benché dopo anni e anni di duri contrasti e diffidenze, a liberare Monte da una specie di soggezione, l’aver educato la gente a camminare con la propria testa, a uscire da uno schema mentale pauroso e da una fede retrograda, a vedere oltre i limiti del proprio orticello.
Quando penso a certi personaggi di Monte e al male che hanno fatto al paese e a chi tentava di liberarlo dal loro potere, non posso più tacere di fronte a certe incongruenze imperdonabili: rendere onore pubblico alle loro tombe per me è qualcosa di veramente insopportabile! È vero che per anni e anni da chi governava il nostro Paese è stato distrutto ogni senso di legalità, ma pensavo che almeno nei nostri piccoli paesi si potesse ancora distinguere tra il buon grano e la zizzania.

 

2 Commenti

  1. don ha detto:

    Caro don Giorgio, come ti capisco! Sono in un altra regione, confinante con la tua (Piemonte) e nel mio ministero,ne ho viste delle belle…. spesso si parla di corresponsabilità dei laici nella gestione della Chiesa, ed è più che giusto, ma io dico: “Quali laici?”. Quelli che urlano più forte degli altri e comandano l’intero paese, oppure la gente umile che veramente lavora per il bene comune?

  2. GIANNI ha detto:

    Sulle vicende di anni fa, non commento, non conoscendo, se non i brevi cenni di cui all’articolo, insufficienti per comprenderle compiutamente.

    Quanto alla commistione di celebrazioni religiose e civili, credo sia una tradizione le cui radici affondano nel passato, almeno sino all’antica Roma, con una tradizione di commistioni che poi è traslata anche nel cattolicesimo

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