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02 Giugno 2023
Sfida ambientalista al Ponte di Salvini. “Resterebbe chiuso 45 giorni l’anno, più costi che benefici. Non si farà mai”
di Silvia Renda
Dossier di contronarrazione sull’impatto economico e ambientale del Ponte sullo Stretto. Silvestrini (Kyoto club): “Non si tratta di essere disfattisti, ma oggettivi: è solo propaganda, serve a pochi”. Lenzi (Wwf): “Pronti a manifestare se dovessero partire i lavori. Migliorare i traghetti”
Un ponte costretto a chiudere per vento 45 giorni all’anno, a rischio sismico, causa di una strage di uccelli, ostacolo al traffico di alcune portacontainer, anticostituzionale e che in definitiva vedrebbe i benefici annullati dai costi. Il dossier redatto dagli esperti di tre associazioni ambientaliste (Kyoto Club, Wwf e Lipu) passa al vaglio i dati sinora noti a proposito della costruzione del Ponte sullo stretto di Messina, smontando, pezzo per pezzo, l’analisi di chi sostiene la necessità di mettere in piedi la struttura: non è vero, dicono gli ambientalisti, che porterà a un cospicuo aumento dei posti di lavoro, non è vero che porterà guadagni. “Non serviranno barricate per bloccare i lavori, semplicemente perché il Ponte sullo Stretto non si farà mai. E io credo che il governo lo sappia. È una pura operazione di immagine, alimentata da Matteo Salvini, ma dove li trovano i soldi e come faranno a ignorare tutte le questioni ambientali che pone la costruzione? Alla Sicilia e alla Calabria servono miglioramenti sulle strade, non un’opera costosissima utilizzata da pochi”, commenta a HuffPost il direttore scientifico di Kyoto Club, Gianni Silvestrini. Ma se mai i lavori dovessero cominciare – ipotesi remota, secondo le associazioni ambientaliste – farebbero sentire la propria voce, assicura a HuffPost il responsabile dell’Ufficio relazioni istituzionali del Wwf, Stefano Lenzi: “Comitati locali hanno già messo in piedi i cortei. Siamo pronti a proteste pacifiche, con la partecipazione dei cittadini: in passato abbiamo realizzato un corteo di 200 barche, la fantasia non ci manca”.
Costi e benefici
Secondo Kyoto Club, Wwf e Lipu il costo totale della costruzione del Ponte si aggira intorno ai 15 miliardi di euro e il ritorno economico non produrrebbe altrettanto. La riduzione dei tempi, e quindi dei costi di trasporto sulle lunghe distanze, risulta ad esempio trascurabile secondo il dossier: “Si otterrebbe un risultato migliore se si facessero interventi cento volte meno costosi sui tratti autostradali e sulle linee ferroviarie del Mezzogiorno. L’economia delle due regioni, Calabria e Sicilia, come quella del Mezzogiorno d’Italia, non ha dimensioni tali da giustificare un investimento come quello del ponte”. L’opera, dunque, non sarebbe mai in grado di remunerare il capitale investito, a causa delle ridotte dimensioni degli scambi economici attivabili. Il gruppo di lavoro del Ministero delle Infrastrutture documentò che il 76,2% degli spostamenti su nave in ambito locale avviene da parte di passeggeri senza auto al seguito. Complessivamente, coloro che ogni giorno si muovono tra le due sponde sono 4.500 persone. Il canone di utilizzo della infrastruttura ferroviaria sarebbe molto elevato, mentre il traffico su gomma previsto sul ponte sarebbe di 11,6 milioni di auto, a fronte di una capacità annua della infrastruttura pari a 52,56 milioni di auto, ovvero di 105 milioni di auto considerata la bidirezionalità dei flussi. Il grado di saturazione dell’11% del ponte non giustificherebbe l’opera. “Non serve ai cittadini di Messina e Reggio, che tenderebbero a non utilizzarlo dal momento che bisogna compiere un percorso lunghissimo per raggiungerlo”, commenta Silvestrini di Kyoto Club, “Negli ultimi 20 anni c’è stato un enorme calo del passaggio di merci e passeggeri, che ormai seguono altre tratte. I soggetti che ne avrebbero benefici sono limitati e diminuiranno nel tempo. Realizzare un’opera costosissima ma avere poi un territorio inadeguato da un punto di vista trasportistico è assurdo”.
I posti di lavoro
La costruzione del Ponte creerebbe “100mila posti di lavoro”, secondo l’annuncio del ministro delle Infrastrutture Salvini, primo sostenitore dell’opera. Il dossier sottolinea tuttavia che sarebbero lavoratori impegnati solo nel corso della costruzione (la cui durata è stimata di 5-6 anni), che al termine si ritroverebbero nuovamente disoccupati: “Ma il vero problema è che a regime il saldo dell’occupazione creata sarà negativo. Una volta a regime, il ponte avrà prodotto poco meno di mille posti di lavoro stabili, e questo numero sarà inferiore agli esuberi che si registreranno nel settore dei trasporti navali. A regime, quindi, nella migliore delle ipotesi si sposteranno posti di lavoro dal settore marittimo ai servizi connessi con il Ponte, ma con un saldo certamente negativo”. I giuristi che hanno contributo alla stesura del dossier contestano inoltre la legittimità costituzionale delle norme introdotte nella legge di Bilancio 2023 e dal Decreto legge sul Ponte, convertito poi in legge, per la sospetta violazione degli articoli 9 (tutela del paesaggio e dell’ambiente), 32 (tutela della salute) e 41 (iniziativa economica privata).
Il vento e il rischio sismico
Il ponte, si legge nel dossier, è stato progettato su statistiche dei venti disponibili sino agli anni ‘70, non più valide a causa del cambiamento climatico: “In base ai presupposti progettuali, con venti superiori a 60 chilometri orari era stata calcolata una oscillazione di 12 metri e, quindi, da progetto, in tale situazione occorreva prudenzialmente chiudere il ponte al traffico sia ferroviario che veicolare (chiusura stimata per 45 giorni all’anno, in base ai dati utilizzati nel 2011)”. Nel dossier si ricorda che già il gruppo di lavoro istituito nel 2021 dal Ministero delle Infrastrutture evidenziò i punti di debolezza del progetto di ponte ad unica campata del 2011 redatto dal General Contractor Eurolink. In particolare, i rischi legati a vento e terremoti e a una lunghezza superiore del 50% a tutti i ponti costruiti, oltre al notevole impatto visivo. Per quanto riguarda i terremoti, si legge, “gli studi sismici sono certamente migliorati negli ultimi decenni, così come quelli geologici, considerando l’elevata pericolosità potenziale dell’area. Il recente sisma in Turchia (7.8 Richter) indica che terremoti di intensità notevolmente più alta di quella considerata dagli strutturisti del Ponte (7.1 Richter) siano certamente possibili nell’area mediterranea. Le informazioni geologiche e sismiche aggiornate dovrebbero indurre logicamente ad una rivisitazione dei parametri progettuali”. “Oltre alle numerose criticità strutturali, lo stretto di Messina si trova all’interno di due zone di protezione speciali tutelate dell’Europa: già nel 2005 abbiamo ricevuto una lettera di prima messa in mora dalla Commissione europea per la tutela dell’area”, dice Lenzi del Wwf, “Un infrastruttura, di per sé, non ha mai portato il benessere economico finanziario, tranne che nei tempi antichi in cui erano molto poche. I soldi andrebbero investiti negli adeguamenti e gli ammodernamenti sul sistema del traghettamento, che già adesso in soli dieci minuti permette di attraversare lo Stretto”.
Gli uccelli
Trecento specie diverse di uccelli transitano giorno e notte lungo lo Stretto di Messina, area cruciale per la migrazione afro-euroasiatica, considerato uno dei punti di concentrazione della migrazione dei rapaci diurni e delle cicogne più importanti del Paleartico occidentale. Costruire un ponte, dicono gli ambientalisti equivarrebbe a costruire una barriera di ingenti dimensioni, provocando un elevatissimo rischio di collisione, amplificato dall’illuminazione della struttura, dalla presenza di frequenti condizioni meteorologiche avverse: “A ciò si aggiunga il fatto che gli uccelli che utilizzano la rotta dello Stretto, vi giungono fortemente sono stremati, dopo aver percorso ben 2.700 km di deserto e non meno di 140 km di mare, entrambi ambienti fortemente ostili, dalla migrazione. Il ponte provocherebbe perciò una vera e propria strage di uccelli con numeri non quantificabili, ma certamente insostenibili, durante la migrazione primaverile e autunnale di ogni anno, con un impatto pesantissimo su intere popolazioni di specie ornitiche, che non sarebbe mitigabile in alcun modo”.
L’altezza
Il ponte sarebbe passibile di danneggiare le economie siciliana e calabrese, poiché lo spazio che una nave può utilizzare per passare sotto al ponte, il franco navigabile, in condizioni di massimo carico sarebbe di 65 metri, altezza che secondo Federlogistica è incompatibile col passaggio delle più grandi portacontainer in rotta dall’Oceano Indiano, che “non potendo varcare lo Stretto, abbandonerebbero il più importante porto di transhipment d’Italia (Gioia Tauro) 31 in favore di altri porti mediterranei in Spagna e Francia, con grave danno all’economia locale e nazionale. Inoltre, le grandi portacontainer in partenza da altri porti italiani, dovendo circumnavigare la Sicilia, subirebbero un aggravio nel costo e nei tempi di navigazione, a danno del sistema-Italia”. Non solo, anche le più grandi navi da crociera si troverebbero di fronte a un blocco.
Silvestrini di Kyoto Club precisa che “non si tratta di fare il partito del No o di essere a prescindere disfattisti. Ci sono posizioni assunte da ambientalisti che reputo sbagliate, ad esempio sulle rinnovabili: è un errore opporsi visto l’aumento dell’emergenza climatica. La mia posizione è sempre stata molto laica, non capisco le barricate inutili. Ma nel caso del ponte la questione si complica, l’impatto ambientale è indubbio, dal momento che si tratta anche di un punto di passaggio per i rapaci. Ma non credo serviranno proteste per bloccare i lavori, perché il Ponte non si farà mai”.
Ancora e solo propaganda ad uso dei creduloni di turno. In realtà solo un disastro ambientale ed economico.