di don Giorgio De Capitani
Lo riconosco: faccio un’enorme fatica a seguire Angelo Scola nei suoi ragionamenti, sia quando scrive, sia quando parla.
Nell’intervista, che vi propongo integrale, le domande sono chiare, mentre le risposte sono “gesuitiche”: dicono e non dicono. Scola non sembra rispondere: sposta il problema, rimanendo nel vago.
Certe risposte poi sulla fede o sulla situazione religiosa della Diocesi milanese sembrano di uno che vive in un altro mondo, o, meglio, di uno che vuole tenere chiusi gli occhi per non vedere la realtà. Scola non vuole riconoscere che la Diocesi in questi ultimi cinque anni ha subìto un arresto pastorale: un vero black out!
Scola si consola guardando al numero o all’efficienza organizzativa, ma non si accorge che le chiese si sono svuotate, i sacramenti ridotti a folclore, gli oratori sono diventati solo parcheggi di comodità e di svago (funzionano normalmente solo nei mesi di giugno/luglio con gli oratori feriali!), la catechesi si è rinchiusa tra le quattro mura familiari, e così via.
Perché illudersi e illudere, quando la realtà è sotto gli occhi di tutti? La Diocesi milanese cammina col passo di una grande macchina organizzativa, ma priva d’anima. Il pragmatismo della gente, su cui tra l’altro la Lega ha fatto la sua fortuna, e il pragmatismo pastorale vanno di pari passo, a danno di quella realtà radicata nel profondo dell’essere umano, dove il sacro (da non confondere con il religioso!) si fa comunione con lo Spirito di libertà.
Allargo il discorso. Non si vuole capire che la Chiesa-struttura, anche quella attuale, nonostante o a causa di papa Bergoglio, non potrà mai dare quella svolta radicale ad una società alienata, fondata sull’avere. La religione è finita, la Chiesa-struttura deve dichiarare anch’essa il suo fallimento e lasciare il posto ad una grande Mistica, che proponga come via di salvezza la riscoperta dell’essere interiore.
Lasciamo pure alla politica il compito di pensare ancora alla realtà esistenziale dell’essere umano, ma, nello stesso tempo, i pensanti (di qualsiasi credenza religiosa e anche al di fuori di ogni religione) dovranno spingere alla riscoperta dell’essere.
NOTABENE
Non voglio soffermarmi sulle risposte di Angelo Scola a proposito di papa Bergoglio, di Giuseppe Sala o di Matteo Renzi. Vere capriole gesuitiche!
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da Il Corriere della Sera
L’INTERVISTA
Milano, 3 luglio 2016
Il cardinale Angelo Scola:
«Io, il Papa e i miei anni a Milano»
Il cardinale, a Milano da cinque anni, parla di un’esperienza «sorprendente». I rapporti con il Papa? «Buoni. Francesco dice ciò che pensa con stile stimolante fino al provocatorio. Ed è vero che alcuni provano disagio»
di Aldo Cazzullo
Cardinale Scola, lei è a Milano da cinque anni, ed è reduce dalla visita pastorale nella diocesi. Come l’ha trovata?
«Un’esperienza sorprendente. Mi ha colpito la qualità e la quantità della partecipazione: alle assemblee non eravamo mai meno di 500 e spesso più di mille. E non è mancata gente che non frequenta la parrocchia. È emersa una realtà consapevole del grande cambiamento in atto. Permane nel nostro popolo un senso della fede spontaneo, l’importanza di Dio, di Gesù nella vita. Lo si nota anche dalla partecipazione all’eucaristia, che certo non ha più le frequenze di prima degli anni 70, però è molto più consapevole: viene in chiesa chi è convinto».
È finita la ritirata del cattolicesimo nella società?
«È finita, anche se diventa più difficile aiutarci a quella che il Papa chiama “la Chiesa in uscita”. Citando il Vangelo ho detto: “Il campo è il mondo”. Facciamo ancora troppo affidamento sulle strategie, e non vediamo che non c’è uomo che prescinda dall’esperienza comune a tutti: gli affetti, il lavoro, il riposo… Inventiamo strumenti per andare verso i cosiddetti “lontani”; ma di lontano da questa esperienza umana non c’è nessuno».
Ha visto il disagio delle periferie?
«Ho visto soprattutto una grande vitalità nelle nostre province. In città come Monza, Sesto San Giovanni, Cologno Monzese, Cinisello Balsamo, dove le prove sono assai dure: immigrazione, emarginazione, disoccupazione,emergenza abitativa, sviluppo problematico; vengono però affrontate con cuore appassionato e anche con elaborazioni e progetti intellettualmente originali. In centro a Milano ho trovato realtà educative molto valide. Per esempio a Sant’Ambrogio, come all’Incoronata, ci sono bellissimi e frequentati oratori. È purtroppo doloroso però constatare che nelle periferie, soprattutto quelle della circonvallazione esterna, ci sono sacche di emarginazione e miseria molto pesanti. Forse si notano poco perché sono a macchia di leopardo. Non abbiamo la “favela” o lo “slum”, però il disagio è assai grave».
Sala ha fatto la prima giunta al Giambellino.
«Quando è venuto a trovarmi era molto deciso sulla questione periferie. Un tema assai marcato anche da Parisi. È un punto su cui si deve investire tutti insieme con creatività, dall’urbanizzazione, alla casa, fino a un accurato welfare e alla cultura. Al Forlanini ho visto abitazioni popolari, le “case bianche”, in grave degrado, con persone ammalate al nono piano senza ascensore. Grazie a Dio, dappertutto il volontariato cattolico e laico è molto attivo. Insomma, questa gente non è lasciata del tutto sola».
Quindi il cattolicesimo milanese non è in crisi.
«Questa idea va un po’ smantellata. C’è piuttosto partecipazione della nostra Chiesa — che ha ancora eccellenti risorse personali e comunitarie — al grande travaglio che è in atto nelle Chiese d’Europa».
Come mai allora il Papa non viene a Milano?
«Ha soltanto spostato di un anno: si è trovato di fronte un’agenda molto fitta per il Giubileo. Con i suoi collaboratori stiamo fissando la data».
Ma come sono veramente i rapporti tra lei e il Papa?
«Ma che domanda… Sono buoni. Conoscevo Bergoglio da prima, abbiamo lavorato insieme in diverse congregazioni. È un solido figlio di sant’Ignazio. Certo ogni Papa ha il suo stile. Lo stile di Francesco risulta a noi europei — non possiamo nascondercelo — stimolante fino al provocatorio: uno stile molto impostato sui gesti. Il Papa non percorre strade clericali, dice quello che pensa e colpisce perché è uno che si gioca in prima persona, cioè si coinvolge con il Vangelo che annuncia e per questo risulta assai convincente».
Ma c’è una destra cattolica che soffre?
«Premetto che con categorie come destra e sinistra non si capisce la Chiesa; comunque è vero che alcuni provano disagio. Mi pare che il Papa voglia superare una riduzione “dottrinalistica” della proposta cristiana. È un’esigenza che molta buona teologia ha già formulato da anni. Penso, per citare personalità con cui ho avuto il dono di collaborare, a De Lubac, Balthasar, Ratzinger: la Rivelazione è Gesù Cristo, Verità vivente e personale. Il Papa parte dall’esperienza. La sua è una sensibilità teologico-culturale ancorata alla dottrina, tipica di un cristianesimo di popolo che si è trovato di fronte problematiche antropologiche, sociali ed ecologiche enormi. Si può capire la fatica di persone che amano la Chiesa, ma che sanno bene che, per il cattolico, il Papa è il Papa e sottolineano l’importanza di ribadire formulazioni dottrinali esplicite. Altro è il discorso di chi parla senza avere una coscienza adeguata del ministero del successore di Pietro!».
Si può dire che l’esperimento dei due Papi funziona?
«Il Papa è uno solo. Comunque sì, l’attuale situazione funziona. È sempre stato previsto che il Papa potesse rinunciare in caso di necessità».
E lei cosa farà quando a novembre compirà 75 anni?
«Come ogni vescovo manderò la mia rinuncia al Papa e poi, quando verrà il momento, abiterò in una canonica vicino a Lecco. Torno nelle mie terre e farò un po’ quello che può fare ogni prete. Se avrò ancora forza, ho lì dei brogliacci. Vorrei riprendere il tema della differenza sessuale, a cui già mi sono dedicato in passato, per scrivere qualcosa».
Sul referendum costituzionale come voterà?
«Ho bisogno ancora di entrare nella questione, ma l’idea di un bicameralismo perfetto non è più praticabile. Però un Senato totalmente nominato lascia perplessi. E poi d’istinto non sono portato ad assolutizzare simili vicende. Questo vale anche per Brexit. L’ho sentito dire a Cacciari e a Prodi, con i quali mi sono confrontato pubblicamente di recente: “Non facciamone una tragedia, trasformiamola in un’opportunità”. Vale anche per il referendum, al di là della logica pro-Renzi o contro-Renzi. Per carità, chi guida è importante. Però i problemi difficili che abbiamo di questi tempi stanno a monte».
Quindi non facciamo una tragedia né di Brexit né del referendum italiano?
«Non facciamone una tragedia. E quindi smettiamo di puntare su queste cose come se fossero discriminanti assolute. Il vero problema dell’Europa è un problema di “senso del vivere”. Per un momento mi lasci tornare molto indietro: Atene, Alessandria, Gerusalemme e non solo hanno attraversato il tempo perché l’Europa, senza pretese di primeggiare, li ha assunti nel suo Dna. Così ha creato il terreno su cui è germogliato il cittadino europeo. Il cittadino oggi non si sente più accompagnato nel suo desiderio di vita pacifica, in cui le sue doti siano valorizzate, in cui i diritti autentici diventino libertà effettive e non restino sulla carta. La politica non aiuta più la società civile a dare senso al proprio camminare. La struttura finanziaria, economica, tecnocratica e burocratica è diventata così pesante da schiacciare la creatività che viene dal basso».
Il problema è il deficit delle classi dirigenti?
«C’è una netta difficoltà delle classi dirigenti. Ovunque, anche nelle Chiese. Manca spesso una leadership istituzionale adeguata, capace di raccogliere le spinte della partecipazione. Il cittadino ha l’impressione di non essere preso sul serio. L’Europa, dopo la fase fondativa, ha visto Paesi che sotto la bandiera dell’unità cercavano di cavare pragmaticamente solo il proprio utile. Non si è stati capaci di pensare come ogni singola nazione potesse contribuire all’Europa unita. Mi ricordo che all’inizio degli anni 70 in Calabria un piccolo gruppo intuì un’idea: l’Italia doveva assumersi in Europa il ruolo di leadership del Mediterraneo. Non l’abbiamo fatto. Oggi l’Italia è sola nell’accoglienza dei migranti: Chiesa, società civile e Stato da noi fanno non poco, ma l’Europa deve sostenere il processo di integrazione. La reazione a questo disimpegno secondo molti è il populismo, anche se dietro questa categoria ci sono tanti significati diversi».
I 5 Stelle sono populisti, secondo lei?
«Per quanto ne capisco sono ancora un agglomerato, che sfrutta la capacità unificante della rete per tenersi insieme. Cosa diventeranno dobbiamo vederlo. Non è populismo assecondare il bisogno dei cittadini e dei corpi intermedi che la loro esperienza umana sia considerata portatrice di civiltà. Le comprensibili paure per i grandi cambiamenti in atto — l’immigrazione, la crisi economica, il terrorismo: pensiamo oggi con acuto dolore alle vittime di Dacca, ai morti italiani, di cui uno della nostra diocesi — non possono essere usate da nessuno per nascondere la domanda delle domande, che già i nostri grandi ponevano. Penso alla bella espressione di Leopardi “ed io che sono?”. Non “chi sono”; perché è questo “che” a tener dentro il mio rapporto con tutta quanta la realtà. Persone libere, capaci di relazione comunitaria con tutti e con tutto. Di questo ha bisogno l’Europa».
Sulla povertà insiste molto il Papa.
«Quando il Papa dice che la povertà va letta teologicamente, intende affermare che partendo dalla carne e dal bisogno dell’altro uno deve riflettere su come concepisce la società e su come le istituzioni agiscono in essa, anche arrivando alla critica giusta ed equilibrata dei poteri forti».
Quali sono i poteri forti?
«Capisco benissimo che la finanza è molto importante, però capisco altrettanto bene che noi del popolo siamo messi in condizione di comprendere assai poco di quello che la finanza fa. E la finanza morde sulla nostra pelle. Qui c’è qualcosa che non funziona. Ad esempio una forma di salario minimo va introdotta».
Salario minimo? O il reddito di cittadinanza che chiede Grillo?
«Non entro nelle formule tecniche, ma il salario non può essere sotto un livello dignitoso e chi è senza reddito va sostenuto».
Come valuta l’avventura di Renzi?
«Ammiro il coraggio di questo giovane politico: si espone, dice quello che pensa, credo che sia anche sincero quando afferma che lui non vuole occupare il potere a lungo. Forse deve prendere meglio le misure».
3 luglio 2016
Ma se le Chiese sono vuote, come è possibile che il nostro Vescovo sia colpito dalla grande partecipazione???????? Ma poi la partecipazione a che cosa? Chi ha invitato? I suoi parenti? I ciellini? Don Giorgio, guardiamo al futuro che è meglio, ti propongo una scommessa: Papa Francesco sceglierà un nuovo Arcivescovo che farà restare tutti a bocca aperta x la meraviglia. Se vinco io smetto di difendere il Papa sul tuo blog….
Speriamo!
Che dire?
Meno criptico del solito, nell’intervista affronta diversi temi, su qualcuno con opinioni per me più condivibili, su altri meno.
Interessante in particolare l’analisi sull’Europa, che evidenzia come vi sia stato un egoismo dei singoli stati.
Per il resto, nulla di particolarmente innovativo. ma anche le domande mi sono parse poco…scottanti, improntate ad una certa diplomazia.
Interessante anche l’opinione su Renzi.
L’articolo l’avevo già letto il giorno stesso della pubblicazione sul Corriere. Quando Cazzullo parla di Sala al Giambellino, Scola nella risposta dice: “… un tema assai marcato anche da Parisi. …” Il suo schieramento nelle votazioni milanesi per Parisi l’avevo capito senza essere un esperto del linguaggio di Scola. Sono rimasto deluso da Cacciari e Prodi che lo hanno incontrato (lo sapevo già quando per curiosità ho aperto il sito “Chiesa di Milano”). Cacciari sponsorizzava Sala. A me pare che Scola dia un colpo al cerchio e un colpo alla botte come sta facendo, ahimè, papa Francesco. Marco Politi sul “Fatto quotidiano” nell’articolo “La Chiesa apre alle istanze sociali del M5S (e isola il neoliberismo renziano): Se il Papa, il cardinale di Milano e l’Avvenire mostrano apertamente grande attenzione al M5S le cose non si mettono bene per Matteo Renzi.” mi fa riflettere sull’interrogativo proposto “Che da ciellino sia diventato “gesuita”? non è campato in aria. Le storielle popolari aiutano a capire. Per esempio facevano vincere “i cappuccini” e “i francescani” più vicini alla gente rispetto ai troppo potenti “gesuiti” e ai molto colti “domenicani” nella loro difficile convivenza. Che Scola, e i ciellini per mantenere il potere, si affidino al “gesuita” Bergoglio?