Quando i leghisti lo insultavano, chiamandolo “tettacazzi”!
di don Giorgio De Capitani
Una cosa si deve dire di Dionigi Tettamanzi: quando era arcivescovo di Milano, non è stato per nulla simpatico ai leghisti, che lo hanno anzi disprezzato e odiato. Lo chiamavano “imam” per la sua apertura al mondo islamico, e usavano nei suoi riguardi epiteti a dir poco vergognosi.
Nelle numerose lettere che ricevevo, oltre a insulti nei miei riguardi, non mancavano riferimenti al mio vescovo definito “tettacazzi”. I caporioni leghisti ce l’avevano con lui, anche perché lo ritenevano responsabile della mia permanenza a Monte.
In uno dei cordiali colloqui che ebbi con Tettamanzi, alla domanda: «Eminenza, che cosa prova di fronte agli insulti della Lega?», mi rispose: «Don Giorgio, di proposito non leggo i giornali, per sentirmi più sereno. Agisco in nome di Gesù. Questo solo mi basta!». «Scusi la curiosità, eminenza. So che Roberto Castelli Le scrive lettere perché si prendano provvedimenti nei miei riguardi. Che cosa risponde?». «Lo ignoro. Non rispondo mai!».
Mi ero permesso di porgli un’altra domanda: «Eminenza, che cosa pensa di questa Chiesa, alleata con il “porco d’arcore”?». Mi rispose: «Prima della Chiesa, obbedisco a Gesù Cristo: questi è il mio unico punto di riferimento!».
Anch’io ho avuto qualche screzio con Tettamanzi, ma ciò era dovuto ai suoi collaboratori, che non avevano la sua “illuminata” capacità di discernimento, ma si sentivano costretti a obbedire alle norme canoniche.
Quando Tettamanzi era vescovo di Milano, vissi i miei migliori e intensi anni di battaglie su tutti i fronti. Non era facile né per il cardinale né per il sottoscritto affrontare la realtà, ma nessuno di noi finse di non vederla e si adattò all’andazzo di una Chiesa più berlusconiana che cristiana.
Sì, Berlusconi imperava con le sue puttanate, ma non c’era solo lui. La Lega dettava legge con la sua barbarie e Comunione e Liberazione imponeva le sue direttive di potere anche affaristico. Erano anni in cui il trio bastardo, da perfetto puttanaggio, voleva sottomettere il Paese e la Chiesa, e in parte ci era riuscito, ma, si sa, prima o poi anche il più potente organismo frana sotto il marcio che viene a galla. E così il demonio si è scornato da solo, sputtanato da solo, smerdato da solo.
Sì, prima o poi il giudizio della storia, ovvero di quel Dio che è sì amore ma anche giustizia, scombussola i disegni dei malvagi, anche dei falsi amici di Cristo, come se Cristo fosse disposto ad andare a letto con i porci e i farabutti.
Ma anche quando la gerarchia ecclesiastica perde il proprio pudore denudandosi davanti al mondo intero e facendo vedere le sue “vergogne”, c’è sempre un vescovo, c’è sempre un semplice ministro di Cristo che reagisce e lotta per la Chiesa “migliore”.
Dopo Dionigi Tettamanzi, si cascò in un pantano spaventoso, e la Chiesa milanese imparò a convivere con un “pacifismo” degno del più omologante menefreghismo, tale da ridurre la fede a qualcosa di pancesco e lasciandola nelle mani ruvide e maldestre di leghisti mangiatori di ostie a buon mercato. Tanto per loro fare la comunione e riempirsi la pancia era, e ancora oggi, è la stessa cosa.
Con Angelo Scola la Chiesa milanese calò le braghe, e rimase nuda dell’Essenziale, in nome del quale Tettamanzi si era battuto per difenderlo da quella insaziabile sete di un inessenziale, fatto di una montagna di superfluo o di quell’eccesso che farebbe perdere l’equilibrio o la testa anche alle anime più pure.
Ancora sogno e rimpiango quei tempi in cui, col mio cardinale, benché su piani diversi e con metodi differenti, ero in prima fila a lottare per qualcosa di ben più alto di quel falso benessere, rappresentato dall’anti-vangelo, vissuto da una Chiesa puttaniera e inculcato da una politica altrettanto puttaniera.
Ma nessuno di noi voleva dimenticare la realtà dell’uomo concreto: sì, c’era un pane da garantire sulla tavola anche dei più poveri, c’era una casa e un lavoro da proteggere, ma nello stesso tempo c’era un diritto sacrosanto da non dimenticare, ovvero la realtà interiore dell’essere umano.
E oggi? Nonostante papa Francesco, tutto è così tremendamente “normale” che anche il più becero leghista potrebbe benissimo fare il catechista, e il più lurido venditore di fumo annunciare dal pulpito il Vangelo.
Ricorderò sempre i miei “amati” vescovi, Dionigi Tettamanzi e Carlo Maria Martini. Due figure diverse tra loro, ma complementari. Ognuno ha dato del “suo”: un suo che in realtà non era “loro”, ma di quel Cristo di cui oggi purtroppo è rimasta solo qualche briciola tra le nostre comunità cristiane, affamate di slogan di mentecatti populisti, la cui unica soddisfazione sembra quella di “ciulare” più anime e corpi di brianzoli e di italiani ormai sull’orlo di un rincoglionimento irreversibile, capace solo di emettere ragli d’asino.
No, caro Dionigi, non riposare in pace (come si augura il leghista Roberto Maroni!), ma che il tuo spirito riviva nelle nostre lotte, perché non ci stanchiamo, adeguandoci a quel lassismo spirituale in cui sono cadute le comunità cristiane.
Non lasciarci in pace!
Se dobbiamo credere ai vangeli, e non vedo alcun motivo per non farlo, da bravi cristiani dovremmo imparare a distinguere la chiesa di Gesù Cristo da quella dell’apparato, che sono due cose molto, ma molto, diverse. Gesù ha sempre precisato che non ci teneva affatto ad instaurare un nuovo potere politico e anche se ha scelto un piccolo gruppo di amici a cui trasmettere con semplicità il messaggio d’amore del padre celeste, ha sempre precisato che il suo magistero riguardava esclusivamente l’uomo e il suo rapporto con Dio. Per questo ha più volte rifiutato gli onori mondani e davanti alle tentazioni del diavolo, all’inizio della sua missione, come davanti a Pilato, alla sua conclusione, ha ribadito che il suo “regno” non aveva nulla a che fare con il potere terreno, tanto ambito dai politicanti e dai loro cortigiani. Anzi, tutte le volte che ne ha avuto l’occasione, non ha certo risparmiato critiche, anche inflessibili e pungenti, verso la potente classe sacerdotale che governava con pugno di ferro sia l’aspetto religioso che quello sociale del popolo di Israele. La chiesa apparato invece, è immersa fino al collo (e a volte anche di più) nel potere mondano, di cui si può ben dire che sia tra gli esponenti più in vista … basti pensare agli scandali a ripetizione in cui sono coinvolti insigni prelati e personaggi che operano all’ombra complice della madre chiesa.
I nomi di Calvi e del banco Ambrosiano, o quelli del cardinale Tarcisio Bertone e del suo attico da monarca, o ancora di Enrico de Pedis (Renatino) leader della banda della Magliana, tumulato con onore nella chiesa di Sant’Apollinare a Roma, e peggio ancora del chiacchieratissimo monsignor Marcinkus, invischiato nel misterioso rapimento di Emanuela Orlandi. E lo scandalo vergognoso dei preti pedofili, a lungo tenuto nascosto dalle autorità ecclesiastiche, non ci dicono niente?
In questo senso, mi sembra esemplare l’insegnamento di Dionigi Tettamanzi, che ha sempre privilegiato il messagggio evangelico, anche quando significava dover andare contro la gerarchia ecclesiastica, di cui, tra l’altro era uno dei maggiori rappresentanti. Il fatto che dei bifolchi ignoranti, nascosti dietro le insegne della lega, lo detestassero e lo insultassero è una ulteriore prova della sua eccellenza.