da il Corriere della Sera
Maurizio Landini:
«Troppe diseguaglianze, questa non è democrazia.
Il 7 ottobre in piazza per dire basta»
di Claudia Voltattorni
Sarà un autunno caldo? «Il caldo c’è già da un po’», replica Maurizio Landini.
Il segretario generale della Cgil si prepara ad una lunga stagione di mobilitazione con assemblee e consultazioni nei luoghi di lavoro. E poi ci sarà piazza San Giovanni a Roma il 7 ottobre.
Segretario, perché scendete in piazza?
«I diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione sono oggi tutti messi in discussione: il lavoro è precario e sotto pagato; il diritto alla salute e alla cura e allo studio non sono più garantiti; la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro peggiora; si nega la crisi climatica e si aumentano le spese per armi anziché essere costruttori di pace e si vuole stravolgere la Carta con l’autonomia differenziata e il presidenzialismo. È il momento di dire basta e indicare una via maestra fondata sulla giustizia sociale e la partecipazione democratica. Qui non si delinea solo una crisi economica ma anche democratica e di credibilità».
Dove sta sbagliando il governo?
«Il governo ha fatto due cose che danno il senso di dove sta portando il Paese. Da un lato, taglia il reddito di cittadinanza a famiglie povere e non offre un percorso di occupazione e scarica sui Comuni. Dall’altra parte, fa votare in Parlamento una legge delega fiscale che va nella direzione opposta di quello di cui questo Paese ha bisogno: con un’evasione fiscale tra i 90 e i 100 miliardi, si continuano a fare condoni, addirittura senza più sanzioni amministrative né penali per chi evade. E da ultimo il ministro Salvini, in un Paese in cui il 50% degli italiani non arriva a fine mese, non trova di meglio che togliere il tetto dei 240 mila euro allo stipendio dei manager. Un’idea di Paese così non è accettabile, bisogna ribellarsi. Inoltre il governo ha tagliato la possibilità di investimenti, senza discuterne con nessuno: dall’Europa avevamo un’opportunità , ma sono stati cancellati quasi 16 miliardi di investimenti e non si capisce come possano essere recuperati. L’Italia ha bisogno più di altri di investimenti e nuove politiche industriali per una vera transizione ambientale ed energetica».
Il governo aveva promesso di confrontarsi con le parti sociali. Cosa è successo?
«Tutti questi interventi li sta facendo escludendo dal confronto le organizzazioni sindacali confederali del nostro Paese. Noi siamo quelli che rappresentano chi paga le tasse e tiene in piedi questo Paese e sulle riforme di fondo non siamo coinvolti e le decisioni vengono assunte senza alcun confronto. Al contrario il governo continua a chiamare a “tavoli finti” organizzazioni sindacali senza alcuna rappresentanza ma solo firmatarie di contratti pirata. Alle piattaforme unitarie presentate – pensioni, fisco, salute, precarietà e una legge sulla non autosufficienza – il governo non sta rispondendo. Così nei fatti il governo non riconosce il ruolo e la rappresentatività del mondo del lavoro».
Cosa chiedete?
«Le riforme necessarie per combattere le disuguaglianze, ma anche quelle come la riforma fiscale e quella del lavoro per dire basta alla precarietà. Bisogna cambiare le leggi sbagliate fatte negli ultimi 20 anni. C’è un’emergenza salariale grande come una casa: quando uno è povero pur lavorando significa che c’è qualcosa che non funziona. La riforma fiscale serve quindi a combattere l’evasione, a colpire la rendita finanziaria e la rendita immobiliare e a tassare gli extra-profitti per finanziare la sanità e la scuola pubbliche e per ridurre la tassazione al lavoro dipendente e ai pensionati: tutto questo non si sta facendo».
Manifestate anche contro la futura manovra economica?
«Quella del 7 ottobre non è la manifestazione della Cgil, ma di oltre 100 associazioni del Paese che vogliono dire basta e proporre temi per un cambiamento, ed è aperta a tutti, chi vorrà esserci è benvenuto. Non è una manifestazione di semplice protesta, ma chiede di applicare la nostra Costituzione per dare un futuro al nostro Paese, con cambiamenti concreti: basta precarietà, più salari, rinnovo dei contratti nazionali, fissazione di una quota oraria minima quale salario minimo e una legge sulla rappresentanza che dia validità generale ai contenuti salariali e normativi dei contratti nazionali. E una riforma fiscale degna di questo nome. Applicare la Costituzione per unire l’Italia e non per dividerla. Non è più il momento di stare a guardare. Ma il 7 ottobre è solo l’inizio. Perché se non vedremo questi cambiamenti nella prossima legge di Bilancio, la mobilitazione sarà generale. In settembre faremo una consultazione straordinaria tra lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati e giovani cui chiederemo cosa pensano delle nostre proposte e se sono disposti a sostenerle con noi, fino allo sciopero».
Secondo i sondaggi, gli italiani però continuano ad apprezzare questo governo.
«No, i sondaggi dicono che quasi il 60% degli italiani non ha più alcuna fiducia nelle forze politiche. Siamo di fronte al fatto che la maggioranza di questo Paese non va più a votare e non si sente più rappresentata. E se chi governa continua a stringere l’occhiolino a chi non paga le tasse, continua ad aumentare la precarietà, non si pone il problema che la maggioranza dei nostri giovani se ne va via perché qui è sottopagato, sfruttato e non riconosciuto, questo non fa che aumentare la crisi democratica della rappresentanza nel nostro Paese. Il governo ha vinto le elezioni ma non ha la maggioranza del Paese, ha preso 12 milioni e mezzo di voti e ce ne sono 18 milioni che a votare non sono andati: pensare che avendo vinto le elezioni uno può fare ciò che vuole senza alcuna mediazione sociale, non è democrazia».
Che giudizio dà all’esecutivo guidato da Giorgia Meloni?
«Trovo non accettabile il modo in cui il governo si sta muovendo, nel metodo, non confrontandosi, e nel merito, come ad esempio l’intervento sul fisco, che non è solo contro i lavoratori, ma anche contro quegli imprenditori onesti che le tasse le hanno sempre pagate e pensano sia giusto pagarle. Un Paese degno di questo nome ha un sistema fiscale in cui tutti concorrono, come dice la nostra Costituzione, in base alla loro capacità contributiva, non puntando alla flat tax. È uno schiaffo in faccia a chi le tasse le ha sempre pagate. ».
Scende in politica? (Sorride).
«Il sindacato confederale è sempre stato anche un soggetto che ha fatto politica. Io sono stato rieletto segretario generale 6 mesi fa e ho intenzione di portare a termine il mio mandato. Quello che interessa a me e alla Cgil ora è migliorare le condizioni di vita e di lavoro di chi tiene in piedi questo Paese, il mio obiettivo è portare a casa quelle riforme che producano uguaglianza in un Paese disuguale come non è mai stato prima».
Non è questione di schieramenti, ma dichiarazioni responsabili di chi rappresenta milioni di lavoratori e di cittadini e non viene mai interpellato. Perché Meloni e soci rifiutano i confronto con chicchessia, per paura di sentirsi chiudere la porta in faccia.