Concorso Nazionale di Pittura EMILIO GOLA 36° Edizione 2021

Ancora, forse soprattutto oggi, partecipare a un concorso di pittura (unicamente di questo stiamo parlando) sembra il sogno di qualsiasi pittore (autodidatta o meno, hobbysta o meno) per farsi valere nella sua arte, il che significa voler cercare una certa visibilità per affermarsi come artista, dimenticando che l’Arte non può imporsi, e tanto meno cerca notorietà, casomai un concorso può essere l’occasione per esprimere la propria “idea” di Arte. Sì, l’Arte è una Idea nel senso più platonico: va al di là di ogni espressione carnale, per puntare a quella misticità che è partecipazione del Bello divino, a sua volta emanazione del Bene Assoluto.
Certo, anche il Bene/Bello ha una sua visibilità, ma solo in funzione di contestazione, più spontanea che cercata.
L’Artista volere o no contesta proprio nelle sue opere quella carnalità come oscena anche violenta dissacrazione dell’Arte in quanto tale.
Non tocca a noi giudicare le intenzioni di nessun pittore, ma non possiamo tenere chiusi gli occhi, per non “vedere” una de-formazione del tipo carnale di quell’Arte che sembra sempre in procinto di partorire, ma che per mille e più motivazioni abortisce in una perversione mentale, che fa credere che Arte sia solo esposizione di corpi, al meglio della loro proporzionalità epidermica, così da far godere la vista, strappando quella solita esclamazione: “Che bello!”. Bello che?
Certo, belle le forme, anche se volgari, oscene, bestiali, magari in un gioco di luci in contesti ambientali addobbati di cose, di figuranti/oggetti, di fantasmi che provengono da un inconscio infernale o solo immaginifico, evocativo di chissà quali misteri esoterici ed essoterici (dentro e anche fuori il nostro circolo di fortunati perbenisti).
DON GIORGIO
MARTINA

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