Del G20 indiano non resterà molto, forse neanche l’India

www.huffingtonpost.it
05 Settembre 2023

Del G20 indiano non resterà molto,

forse neanche l’India

di Carlo Renda
Polemiche e assenze, nazionalismi indiani e incomprensioni internazionali. Il tema del summit del 9 e 10 settembre è nella frase in sanscrito “Vasudhaiva Kutumbakam”, ossia “Il mondo è una famiglia”. Una famiglia alquanto litigiosa
Più ci si avvicina all’appuntamento del G20 a Nuova Delhi, più aumenta la sensazione che del summit rimarrà solo una lunga scia di polemiche e incomprensioni. È la prima volta che l’India ospita i leader dei paesi più ricchi del mondo e, come è normale, ci tiene che tutto sia in ordine. La capitale si prepara all’appuntamento del 9-10 settembre, dando una bella ripulita a strade, giardini, palazzi. Inevitabile il clamoroso dispiegamento dell’apparato di sicurezza, dai moderni sistemi anti-drone ai tradizionali rimedi anti-scimmie, fino a 130mila poliziotti e paramilitari schierati sul campo.
La brutale cosmesi di Nuova Delhi. La prima polemica riguarda i modi con cui la capitale indiana si sta imbellettando per l’occasione. Si stima un costo pari a 120 milioni di dollari per lo sgombero di almeno 25 baraccopoli, anche con energici blitz notturni; la demolizione di migliaia di abitazioni precarie; la nuova potente illuminazione stradale; il rifacimento dei marciapiedi; la tinteggiatura di edifici e muri lungo le arterie principali della città; l’installazione di fioriere e fontane; la rimozione dei cumuli di rifiuti che tradizionalmente campeggiano per le strade di Nuova Delhi. “Hanno rimosso i poveri insieme alla spazzatura” denunciano gli attivisti. Secondo Concerned Citizens Collective quasi 300mila persone sono state forzate ad abbandonare il luogo in cui vivevano, con l’unico effetto di spostare il problema un po’ più in là, oltretutto aggravandolo.
Volto nuovo, nome nuovo? La seconda polemica è scoppiata per un’anticipazione della stampa indiana. Sul cartoncino di invito alla cena ufficiale di apertura dei lavori, non ancora pervenuto ai leader del G20, Drouapadi Murmu viene indicata come presidente della Repubblica di Bharat. È il termine sanscrito – presente negli antichi testi e in realtà anche uno dei due nomi ufficiali previsti dalla Costituzione – che ha un valore diverso da India, di impronta coloniale. Inevitabile l’interrogativo se ci sia dietro un piano più ambizioso che punta a rimuovere definitivamente la vestigia più profonda della colonizzazione britannica. È una campagna che il partito nazionalista al governo, il BJP di Modi, si è intestato da tempo, “la parola India è un abuso, la parola Bharat è simbolo della nostra cultura” spiega il parlamentare Harnath Singh Yadav, “un altro colpo alla mentalità schiavista” aggiunge il leader del partito nello stato di Uttarakhadn, Pusshkar Singh Dhami. L’opposizione – che oltretutto si è riunita in un cartello elettorale nominato I.N.D.I.A. – sospetta che sia un’operazione tutta politica da parte di Modi: “Se la nostra alleanza dovesse chiamarsi Bharat, il governo tornerebbe a preferire India?” è la reazione ironica. “Cosa è successo mai all’improvviso che il governo ha dovuto cambiare il nome al nostro Paese?” ha detto Mamata Banerjee, una dei leader dell’opposizione, mentre Shashi Tharoor (Congress) segnala il “valore incalcolabile del marchio India accumulato nel corso dei secoli”. France Presse scrive che Modi ha in cantiere molto di più di una battaglia lessicale e cita fonti anonime di governo secondo cui nelle prossime settimane è pronto a dare un taglio netto al passato cambiando definitivamente nome all’India.
Xi salta e fa arrabbiare tutti. La terza polemica arriva dalla Cina. Sulla stampa indiana è stato considerato un affronto la decisione del presidente cinese Xi Jinping di non partecipare al G20 di Nuova Delhi, delegando al premier Li Qiang. Si comporta ormai con “una mentalità da imperatore” – la paternità è di Alfred Wu, docente dell’Università di Singapore – ormai vuole che siano i leader stranieri ad andare da lui e non viceversa. Una mossa che ha sorpreso perché arriva poche settimane dopo un consolidamento dei rapporti con l’India nell’ambito del formato Brics, ma anche in un clima di costante contesa fra i due vicini. Una tensione accentuata dallo scandalo suscitato dalla mappa ufficiale in cui la Cina si è attribuita la nazionalità di territori che contende all’India, ma di fatto indiani. Tra le ipotesi che circolano, c’è la volontà di Xi di non affrontare alcuni dei possibili temi del G20: la guerra in Ucraina, la direzione dell’economia cinese, la crisi di Taiwan, i dissidi con l’India. Oppure ancora, Xi non aveva interesse a partecipare a un evento che avrebbe rafforzato il profilo di una rivale a cui, oltre ai territori di confine, contende la guida del Sud globale. Non solo l’India ha accolto male l’annuncio della Cina: il governo tedesco ha espresso rammarico per l’assenza di Xi Jinping, Joe Biden si è detto deluso, ma confida in un futuro incontro. Parole a cui da Pechino hanno risposto in modo piccato: il ministero della Sicurezza di Stato, l’agenzia di spionaggio cinese, ha detto che “per realizzare davvero ‘Da Bali a San Francisco’ – e quindi puntare a un bilaterale fra i capi di stato al vertice Apec di novembre – gli Stati Uniti devono mostrare sufficiente sincerità”.
Convergenze improbabili. C’è poi un tema di fondo che lascia poche aspettative di successo al vertice di Nuova Delhi. Il blocco G20 rappresenta l’80% del Pil globale il 75% del commercio internazionale. Nato come formato in cui nazioni più ricche e quelle in via di sviluppo avrebbero unito le forze per domare gli eccessi e gli squilibri della globalizzazione, vive oggi un momento di particolare crisi della cooperazione internazionale e di crescente disequilibrio del mondo. Ne fanno parte Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Corea del Sud, Messico, Russia, Arabia Saudita, Sud Africa, Turchia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Europea. Quest’anno il tema principale è il rinnovato sostegno ai paesi in via di sviluppo da parte delle istituzioni multilaterali, in un contesto in cui i Brics si allargano e vogliono conquistare un mondo multipolare come portavoce del Sud Globale, mentre Joe Biden spinge per le riforme di Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale, fin qui in realtà sempre osteggiate da Washington, per mantenere saldo il timone. E ancora, temi chiave sono la riforma dell’architettura del debito internazionale, la normativa sulle criptovalute, l’impatto delle incertezze geopolitiche sulla sicurezza alimentare ed energetica. Temi su cui sono in pochi a scommettere che si possa trovare una convergenza tale da produrre una dichiarazione congiunta di un qualche senso politico. Forse una qualche convergenza potrebbe ottenute la proposta di Narendra Modi di aprire il G20 a una rappresentanza permanente e unitaria dell’Africa, ma – basta vedere cosa sta accadendo a Nairobi per il summit sul clima – poi si aprirebbe una conseguente battaglia in seno ai paesi africani.
Passaggio a Rio. Il tema del G20 indiano è sintetizzato nella frase sanscrita “Vasudhaiva Kutumbakam” che vuol dire “Il mondo è una famiglia”. Una famiglia alquanto litigiosa, senza dubbio. L’India poi cederà la presidenza al Brasile. Proprio Luiz Inacio Lula da Silva è uno dei leader più attesi per quella che preanuncia come una campagna contro la disuguaglianza e per la pace. Anche per il Brasile nel 2024 sarà una prima volta, a Rio de Janeiro. Anche Lula ha grandi ambizioni, e come Modi la sua forza e la sua debolezza convergono nello status di Paese non allineato, capace di mantenere il piede in tutte le scarpe del mondo. Sempre più strette.

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