
Finalmente una bella omelia,
ma con tanti “ma”…
Sì un ma c’è, anche perché Mario Delpini il salto di qualità sembra farlo, magari dopo mille titubanze e mille tentativi, come il famoso indimenticabile Arthur Herbert Fonzarelli, soprannominato “Fonzie”, personaggio della serie televisiva Happy Days, che pretendeva di avere sempre ragione, ma quando aveva torto marcio, allora prima di riconoscerlo faceva mille versi.
E quando Mario Delpini vuole affrontare un serio problema di petto, lo fa sempre a modo suo, con parole che sembrano provocatorie, forse anche troppo, tuttavia sempre restando chiuso in un cerchio, perché incapace di perforarlo, vittima com’è di uno schema mentale senza via d’uscita.
Il problema è generale in una gerarchia ecclesiastica, di ieri e di oggi, tremendamente dogmatica, diciamo carnale, diciamo del tutto religiosa.
La radicalità evangelica che porta i discepoli di Cristo all’estremismo di una testimonianza che non ammette né se né ma, sembrerebbe un pretesto per trovare qualche soluzione un po’ più accomodante, visto che, come si dice, siamo fatti anche di carnalità troppo esigente, però dimenticando la realtà spirituale (già gli antichi dicevano che siamo tridimensionali, composti di corpo, psiche /anima) e spirito) e lo spirito, sciolto da ogni impaccio di un ego che fa crollare anche i cedri del libano, se si svuota di ogni superfluo permette allo Spirito divino di vincere il mondo, come ha detto lo stesso Cristo.
In altre parole, sembrerebbe un modo di dire alla delpini (l’omelia inizia così: “Si dovrebbe dire che noi stiamo celebrando una esagerazione”), più enigmatico che evangelicamente provocatorio, per invitare i nuovi diaconi, futuri preti ambrosiani, perché si rimettano ciecamente agli ordini di un pastore, il quale – è sotto gli occhi di quanti vogliono veramente vedere – sembra una caricatura del Buon Pastore, o, eufemisticamente, ne è solo debolmente o apparentemente o ipocritamente l’immagine, e così, dopo un susseguirsi a cascata di stilettate di assurdità poste come domande, inclusa già la risposta, Delpini arriva al dunque ed è ciò che gli preme. Ecco ciò che dice verso la fine: «Nel vivere nella Chiesa, colonna e sostegno della verità, saranno inclini al malumore e alla lamentela secondo l’abitudine inestirpabile della mediocrità?».
Non è la prima volta Delpini che se la prende con gli “inclini al malumore e alla lamentela, secondo l’abitudine inestirpabile della mediocrità?”. Notate tre parole: “inclini”, come per un vizio o un’“abitudine” (lo dice esplicitamente) mentale; “inestirpabile”, per cui già si dà per scontato che non si può estirpare, negando che la dissidenza potrebbe ottenere qualcosa di buono, eppure basterebbe poco, ovvero che Delpini facesse meno la trottola; infine “mediocrità”, e qui Delpini supera se stesso, ovvero la sua imbecillità, che non è mediocre, ma infinita, come direbbe ancora lo scienziato Albert Einstein.
C’è di più. Almeno avesse pronunciato la parola “Grazia”, che, essendo esigente per natura, chiede il massimo se si tratta del regno di Dio, senz’altro con il suo supporto, appena vede la disponibilità a farle il vuoto perché essa lo possa riempire. Sì, Delpini parla di “essere in Gesù e con Gesù”, se ho letto bene. Ma chi non nota frasi fatte, riferimenti che dicono e non dicono, anche se il contesto della preghiera di Gesù già dovrebbe far riflettere a lungo.
Delpini poi parla di Chiesa, e non specifica di quale Chiesa si tratti: della Chiesa istituzionale o di quella Chiesa nata nel pensiero di Cristo, che è l’autentico Cristianesimo? D’altronde da un pastore che vive di tanta superficialità, che cosa si può pretendere: che arrivi a quel Pensiero di Cristo da cui è nato il Cristianesimo ideale? Per il fatto che è ideale, non dobbiamo allora, quando lo viviamo, abbassarlo alla nostra stupidità pastorale.
E se posso permettermi, ma dirò lo stesso: l’omelia parte male con domande provocatorie, con risposte già scontate. Bisognava prima partire alla grande, offrendo le radici profonde del Cristianesimo, nato nel Pensiero di Cristo, e da lì poi scendere per fare le dovute applicazioni. Questione di metodo omiletico? No, tutta questione di una mentalità che non regge.
Forse Delpini aveva qualche buona ragione per dire ciò che ha detto: che finalmente si sia accorto di avere davanti futuri preti, alla stregua di quelli attuali, che già appena vanno in una parrocchia tutto fanno tranne che essere radicali, estremisti secondo il vangelo?
Ma la colpa su chi anzitutto addossarla? Solo su dei giovani teologi, figli del loro tempo, già mangiati da una tecnologia che risucchia lo spirito? Ma come vengono, in pochi anni lo sappiamo, educati a quella radicalità pastorale, che, ai miei tempi orami lontani, veniva quasi impressa in un percorso, sia disciplinare che dottrinale, di lunghi anni, dalle medie alla teologia?
Un parroco, di fronte a questi preti giovani che escono dai nostri seminari, mi ha detto: “Oggi tutto va bene, si chiudono gli occhi, perché essendo pochi non possiamo farne a meno!”.
È il Seminario che deve formare alla radicalità evangelica, tornando alle origini, o meglio a quella Sorgente (proibito chiamarla Mistica?) a cui attingere se si vuole immergere il proprio essere, prete o non prete, nel mondo del Divino. Certo, per un prete, non per un privilegio particolare (superficialmente tra l’altro snobbato), ma per un dovere del proprio ministero pastorale, sarebbe il colmo se dovesse limitarsi a un fare o a uno strafare, tipico di un pragmatismo tutto pelle.
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Ordinazioni diaconali
MILANO – Duomo – 5 settembre 2024
Chiamati all’esagerazione

1. Un estremismo, una esagerazione: tutto, per sempre!
Si dovrebbe dire che noi stiamo celebrando una esagerazione.
Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo ascolta la preghiera del Figlio e consacra nella verità questi suoi figli. È una esagerazione: sono chiamati a vivere una appartenenza, una partecipazione alla vita e alla missione di Gesù che suona francamente esagerata.
Si tratta infatti di una consacrazione che consegna alla santità di Dio tutta la persona, tutta la vita, tutti i pensieri, tutti i desideri, tutti i sentimenti. Tutto, per sempre.
Potranno questi uomini avere una vita privata, un dopolavoro rilassante, potranno avere parentesi in cui accontentare i propri capricci, dare sfogo alle loro passioni? No, non potranno, sono consacrati al Signore, nel tempo della fatica e nel tempo del riposo, di giorno e di notte, d’estate e d’inverno, sono del Signore.
Potranno questi uomini circondarsi di persone amiche, simpatiche e benevole e tenere lontane persone nemiche, antipatiche, ostili? No, non potranno, perché la consacrazione li rende partecipi degli stessi sentimenti di Cristo.
Potranno questi uomini fare quello che piace a loro ed evitare quello che è gravoso, spiacevole, contrario alle proprie inclinazioni? No, non potranno, perché sono consacrati al Signore e lo seguono dovunque egli vada.
È una esagerazione: in questo tempo di individualismo, in cui le persone ritengono inappellabile il diritto di fare quello che vogliono, questi uomini dichiarano di rendersi disponibili per fare quello che il Signore vuole, in obbedienza a quello che la Chiesa chiede.
È una esagerazione. Vi chiedo dunque: veramente volete questo? veramente ne sarete capaci?
2. È una esagerazione, una specie di estremismo: rendersi impopolari.
Questo stile di vita, questa professione di fede è insopportabile per quello che san Giovanni chiama “il mondo”. Faranno del bene e saranno ricompensati con l’antipatia e l’impopolarità: è una scelta esagerata, estrema.
Indicheranno la via della vita, della salvezza, del compimento della libertà e saranno perciò circondati di disprezzo, di contestazione, coperti di ridicolo, guardati con quel compatimento umiliante che li dichiara un anacronismo: è una esposizione esagerata.
Cercheranno di vivere secondo il comandamento di Gesù, praticando la carità, amando come Gesù ama, desiderando il bene delle persone e delle società in cui vivono e saranno odiati “perché non sono del mondo”, saranno considerati come nemici, pericolosi, un ostacolo al progresso, alla libertà. È una condizione estrema.
È un estremismo: volete veramente questo? veramente ne sarete capaci?
3. È una esagerazione, una specie di estremismo: la pienezza della gioia di Gesù.
In questo drammatico estremismo che sono chiamati a vivere, potranno forse essere presi dallo scoraggiamento, lasciarsi vincere dalla tristezza? No, non potranno, perché Gesù prega perché abbiano in sé stessi la pienezza della sua gioia.
Nella missione che si prepara ad avere lo stesso esito di quella di Gesù, cioè il rifiuto, il fallimento, potranno forse lamentarsi e protestare con Gesù e pretendere un risarcimento, e dichiararsi delusi, come si vivessero qualche cosa di inaspettato, qualche inadempienza all’alleanza celebrata con il Signore? No, non potranno perché saranno abitati dalla gioia piena, quella gioia misteriosa che convive con lo strazio; quella gioia inimmaginabile che irrompe d’improvviso nel momento estremo,
persino nel tormento del martirio.
Nel vivere nella Chiesa, colonna e sostegno della verità, saranno inclini al malumore e alla lamentela secondo l’abitudine inestirpabile della mediocrità? No. Non faranno spazio al malumore e alla lamentela perché vivono nella pienezza della gioia e le loro parole sono il cantico dell’esultanza, il salmo della benedizione, e ameranno la santa Chiesa di Dio con l’amore di Gesù che l’ha resa santa e immacolata, come la sposa amata, come la fidanzata per la quale l’Agnello ha versato il suo sangue.
4. Padre … consacrali nella verità.
Come potranno vivere in questo estremismo? Come si realizzerà questa esagerazione?
Sono forse uomini superiori, inaccessibili alle tentazioni e alla desolazione? Sono forse uomini addestrati e preparati per affrontare situazioni estreme, temerari che prendono gusto a sfidare il pericolo, che vogliono dimostrare di essere invincibili, gente che non conosce la paura e la tristezza?
No, questa disponibilità all’esagerazione dell’appartenenza, della impopolarità e della gioia non viene da loro né è frutto delle loro capacità.
Questa via esagerata, questa scelta estrema è possibile perché la loro vita è dentro la preghiera di Gesù, le loro scelte sono rese possibili da Gesù e dalla sua relazione con il Padre: come tu hai mandato me nel mondo, così anch’io ho mandato loro nel mondo. Per loro io consacro me stesso perché siano anch’essi consacrati nella verità.
Con questa certezza noi accogliamo la disponibilità di questi uomini ad essere consacrati per sempre e totalmente per la missione, disponibili a questo estremismo, a questa esagerazione:
– la totalità e definitività della consacrazione;
– l’esposizione alla ostilità del mondo;
– la gratitudine nell’ospitare la pienezza della gioia.
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