6 ottobre 2024: VI DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
Is 45,20-24a; Ef 2,5c-13; Mt 20,1-16
Stavolta vorrei soffermarmi sul terzo brano, che riporta una parabola di Gesù tanto famosa quanto problematica. Quando risento questa parabola, penso ai sindacati, e mi pongo la domanda: quale sarebbe la loro reazione? Probabilmente direbbero che è una parabola anti-sindacale.
In ogni caso, si tratta di una parabola che presenta interessanti risvolti a livello teologico, ma almeno indirettamente tocca anche aspetti culturali (in quella mentalità tipicamente commerciale), anche aspetti economici, del mondo del lavoro o in genere contesti strettamente sociali.
Senza dilungarci nell’esporre le molteplici e le più differenti spiegazioni che sono state date del comportamento per lo meno “strano” del padrone della vigna, possiamo così sintetizzare con don Bruno Maggioni, noto biblista che è il mio preferito.
Commenta don Bruno: «La parabola non insiste sulla chiamata a tutte le ore né sul giudizio sempre possibile né semplicemente sul fatto che gli ultimi sono stati chiamati per primi né sull’ovvia verità che Dio conosce profondamente il cuore dell’uomo. La parabola insiste invece sul fatto che gli ultimi sono stati pagati come i primi. Se si vuole veramente comprendere la parabola, questo è il paradosso che si deve affrontare».
Diciamo che dalla parabola risulta evidente che la giustizia di Dio è diversa dalla nostra. Così pure la libertà di Dio non è da intendere come il nostro arbitrio: “faccio ciò che mi pare e piace”.
Continua don Bruno Maggioni, il quale ci chiede una particolare attenzione, perché non dice cose scontate: «Non è violata la giustizia, ma la proporzionalità. Dio è insindacabile, non perché contro, o senza la giustizia, ma perché oltre, nel senso della bontà».
Vorrei chiarire. Qui la parola “bontà” non significa buonismo, essere magnanimo. Bontà richiama quel Bene Assoluto, che è Dio. Bene Assoluto, che è l’Unico Bene Necessario. Ecco come intendere la giustizia divina.
Continua don Bruno: «Lo spazio dell’agire di Dio è quello senza limiti del Bene, non quello angusto del diritto e delle differenze. Dio intende incontrare l’uomo, ogni uomo, giusto o peccatore, nella gratuità, che non contraddice il diritto, ma lo dilata».
Chiariamo. Non si può parlare di diritti di Dio, anche se Dio, proprio in quanto Creatore, ne avrebbe da rivendicare nei nostri riguardi, in quanto creature. Ma noi creature non facciamo che avanzare diritti anche davanti al Creatore. Ma siccome Dio ci conosce per rettamente e sa che siamo corti di memoria e soprattutto contaminati dal virus dell’orgoglio, ci aiuta, ed ecco la parabola di Gesù, a dilatare, come dice don Bruno, il nostro concetto di diritti o di pretese, certo uscendo, andando oltre gli aspetti strettamente sindacali.
Continua don Bruno: «Il padrone della vigna pone all’operaio che si lamenta una domanda intelligente, che va al fondo della questione: “O il tuo occhio è invidioso perché sono buono?”. Giusta domanda: i primi operai, infatti, non si lamentano perché è stato loro tolto qualcosa, ma semplicemente perché è stato dato anche agli altri quanto è stato dato loro. La loro protesta non esprime desiderio di giustizia, ma invidia. La libertà, la novità e la paradossalità dell’agire del padrone non sorgono dall’arbitrio, ma si muovono in una direzione costante, lineare: lo spazio largo della gratuità. Il Dio di Gesù Cristo non è senza la giustizia, ma non si lascia imprigionare nello spazio ristretto della proporzionalità. Quest’ultima sembra all’uomo una legge intoccabile. Così pensavano gli ascoltatori di Gesù e così pensiamo noi. Certo anche la proporzionalità ha una sua verità, ma non quel tipo di verità che è capace di dischiuderci il mistero del Dio di Gesù Cristo. Il centro della parabola è ora sufficientemente chiaro: non lo schema rendimento/ricompensa rivela il mistero di Dio, ma la gratuità. Rivelazione di Dio, la parabola è anche, di conseguenza, un forte avvertimento: se vuoi spogliarti sul mistero di Dio, lìberati dallo schema della rigida proporzionalità».
Don Bruno ha scritto: «Dio intende incontrare l’uomo, ogni uomo, giusto o peccatore», perciò ecco la domanda: la parabola è per i peccatori o per i giusti? Probabilmente è rivolta a entrambi: ai peccatori per annunciare loro la “bella notizia” che non sono gli ultimi; ai giusti per ammonirli a non rinchiudere Dio nello spazio della loro ristretta giustizia. Per tutti, giusti e peccatori, la parabola è un appello alla conversione e per una apertura alla gratuità.
La parabola degli operai chiamati al lavoro a ore diverse e pagati allo stesso modo, più la rileggiamo, più ci provoca, quasi ci scandalizza, perché abbiamo perso il senso della gratuità. In più, sentiamo un forte disagio di non riuscire a cogliere il senso pieno del messaggio di Cristo. Talora siamo tentati di girarci attorno, soffermandoci su alcuni particolari, forse per paura di farci scuotere fino in fondo.
D’altronde, la parola di Dio ci scuote nel nostro essere interiore, prima di farsi legge morale anche nel campo sociale. Ed è proprio partendo da una lettura spirituale che siamo sulla strada giusta per avvicinarci al nocciolo del messaggio evangelico.
E qual è questo nocciolo o quella essenzialità di un Mistero che ci immerge nel mondo del Divino? Una parola: Bene assoluto, il che ci porta subito a pensare alla Gratuità. Il Bene assoluto è Gratuità. “Assoluto” nel senso di “sciolto da ogni legame”, di quel legame che ridimensiona o riduce o addirittura toglie la gratuità da ogni campo del nostro vivere, o del nostro vegetare. Neppure gli animali vegetano.
Certo, noi non siamo il Bene assoluto: ne siamo solo una emanazione pallida e imperfetta, ma non per questo non dobbiamo fare di tutto per dare una svolta radicale a questa società che pretende di fondare ogni rapporto sociale, anche nel campo del lavoro, su criteri stabiliti dalla legge della “proporzionalità”, secondo lo schema rendimento/ricompensa. Se, come si sente dire, l’essere umano è un “mistero”, perché si resta accollati a una carnalità che fa del mistero dell’essere umano l’ingranaggio di un sistema che funziona secondo leggi meccanicistiche? Un “mistero” ha leggi proprie, che non sono carnali, ma spirituali. Le leggi dello spirito sono del tutto spirituali: ci portano al di fuori di una carnalità meccanicistica.
Se la parola di Dio è un appello alla conversione, il che comporta un cambiamento di mentalità, e se, come si è detto, la parabola in questione è una apertura alla gratuità, allora dovremmo fare un salto di qualità: l’essere umano, in qualsiasi campo sia costretto a vivere, se osservasse le leggi dello spirito cambierebbe la storia. Dio non ci vuole ingranaggi di un sistema meccanicistico, ma figli che vivono la gratuità del Sommo Bene, che allarga i confini, e ci immerge nella libertà dello Spirito divino.
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