6 novembre 2022: NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO
Dn 7,9-10.13-14; 1Cor 15,20-26.28; Mt 25,31-46
L’ultima domenica dell’anno liturgico, che precede l’Avvento, celebra la festa di Cristo, re dell’universo. Un anno liturgico si chiude, e inizierà un altro. Dire però “un altro” non è esatto, perché si tratta sempre del medesimo circolo, in cui solo convenzionalmente si fissa un punto di partenza e un punto di arrivo, in realtà tutto scorre in modo ininterrotto.
È chiaro che la Liturgia è composta di vari momenti: il periodo dell’Avvento, il periodo della Quaresima, il periodo della Pasqua, il periodo della Pentecoste, ecc. che celebrano eventi che però riguardano sempre lo stesso Mistero di Dio, ma il Mistero divino non è una composizione di eventi, ma è di una tale semplicità per cui tutto è Mistero anche nelle sue molteplici celebrazioni liturgiche.
Pensate all’etimologia della parola “periodo”: deriva dal greco, “perì”, intorno, “odòs”, “strada”. Dunque, “periodo” significa circuito, giro.
Si parte e si torna allo stesso punto. In realtà, non è così. Chiarisco. I greci non avevano una concezione lineare della storia, per cui c’è un punto di partenza e un punto di arrivo verso cui progressivamente ci si dirige. Gli antichi greci avevano una concezione circolare della storia, per cui tutto torna all’inizio, ma in modo del tutto particolare, come quello di una spirale o di un tornante in montagna. Si torna, ma si sale verso l’alto.
Così dovremmo vedere anche l’anno liturgico, che torna sì ogni anno, ma non allo stesso punto dell’anno scorso: ogni volta si sale, ci si eleva, si migliora.
Concretamente, l’Avvento di quest’anno dovrà essere diverso da quello dell’anno scorso, perché si torna sì a celebrarlo di nuovo, ma in senso nuovo. Ogni anno c’è qualcosa di nuovo che ci attende.
Ogni anno dovremmo celebrare l’Avvento in modo sempre più profondo, perché il Mistero di Dio non è qualcosa di storico da commemorare o da ricordare: è il Mistero di un Dio infinito, da scoprire nella sua presenza sorprendente.
Soffermiamoci sulla festa di oggi: Cristo, re dell’universo.
Chiariamo subito che le parole “re” e “regno” e l’espressione “regno di Dio o dei cieli” vanno intese così come Gesù le ha spiegate a Pilato: il mio regno non è di questo mondo, io non sono come i re della terra che dominano, trattando i sudditi come degli schiavi.
Cristo lo dimostrerà sulla croce, morendo per l’umanità. Dunque, un regno il cui intento è servire, e non farsi servire.
Che poi nella Chiesa istituzionale tutto sia successo, lo sappiamo, leggendo la sua storia millenaria, in cui anche i pontefici si comportavano come sovrani assoluti, e, anche questo lo dovremmo sapere, ogni regno esige una gerarchia di potere.
Se siamo sinceri, anche oggi la Chiesa è ben lontana da quel regno di cui parlava Cristo anche nelle parabole: un regno spirituale, che significa un regno, la cui parola chiave è scoperta di quel mondo interiore, dove il Mistero divino è presente in tutta la sua realtà infinita.
Nel Vangelo di Luca troviamo scritto: «I farisei domandarono a Gesù: “Quando verrà il regno di Dio?”. Egli rispose loro: “Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, oppure: Eccolo là. Perché, ecco, il regno di Dio è in voi!”».
Eppure, la Chiesa ancora oggi pretende di indicarci dov’è il Cristo, ma sempre nella esteriorità, quasi abbia paura di dirci: Cristo è dentro di noi! Sulla incarnazione di Cristo e del suo Regno ognuno ha detto la sua, dimenticando anche volutamente di dirci la cosa più importante: Cristo è in noi!
È interessante la pagina in Matteo capitolo 25: famosa parabola, anche perché provocatoria, detta da Gesù in un contesto polemico, quello di uno scontro con i rappresentanti dei diversi gruppi di potere che ruotavano attorno al tempio di Gerusalemme. Ed è l’ultima parabola di Gesù, poi ha inizio il racconto della sua passione.
Così commenta don Angelo Casati: «Strano re, potremmo dire, e strano regno! Dove il re non si esibisce, ma si nasconde. Tanto è vero che sia i membri di un gruppo che quelli dell’altro, all’unisono rispondono al re: “Quando mai ti abbiamo visto?”. Ci accomuna, dunque, nei giorni che viviamo sulla terra, questo non vedere con gli occhi di carne il Signore: “E quando mai ti abbiamo visto?”. È un Dio in incognito. Ma dove si nasconde? Noi siamo soliti dire che è presente, se pur non lo vediamo, nella Parola delle Scritture sacre; che è presente, se pur non lo vediamo, nei sacramenti. Forse meno siamo stati educati a pensare che lui si nasconde in persone in carne ed ossa che noi quotidianamente incrociamo; che è presente, se pur non lo vediamo, in persone che vivono un disagio, una mancanza o di cibo o di serenità, una oppressione. Presente negli offesi dalle ingiustizie della vita. Pensate, Dio si nasconde in quelli che non hanno, cui manca. Si nasconde!». Poi don Angelo dice a ciascuno di noi: «E dunque tu affina gli occhi, dilata l’attenzione, lavati gli occhi che sono sedotti da altro. Dio è nascosto, come dice il profeta, in colui che “non ha né apparenza né bellezza”. Non perdere il suo passaggio. Dentro una stagione che dà visibilità, consistenza, importanza a quelli che sono, che hanno apparenza e bellezza, a quelli che contano, tu, fedele alla parabola, resisti a mettere attenzione da un’altra parte. Dove si è rifugiato Dio».
Caro don Angelo, bisogna fare qualche altro passo ulteriore, ma in profondità. Giusto, doveroso saper vedere Dio nascosto nei poveri della terra, ma ci sono poveri e poveri. Poveri materialmente, e poveri di spirito.
Se è difficile vedere Dio nei poveri materiali, forse è ancor più difficile saper vedere Dio nei poveri di spirito. Ovvero, diciamo che, tolta o ridotta la povertà materiale, che cosa rimane? Quel Dio, che è invisibile, proprio perché Dio in quanto purissimo spirito, come vederlo nella realtà di ogni essere umano, tanto più quando il nostro mondo interiore è coperto da un mucchio di cose materiali? Anche i poveri in senso materiale, dobbiamo già educarli a riscoprire il loro mondo interiore: non basta dar loro qualcosa, pensando che quel qualcosa è come se lo dessimo a Cristo presente nei poveri.
Vorrei di nuovo porre la domanda: se è vero che la Chiesa istituzionale non è assente, anzi è tra le prime strutture presenti nell’assistenza ai più poveri, qualche dubbio l’avrei se sia anche tra le prime, e dovrebbe esserlo proprio per la sua naturale missione, a impegnarsi nel dovere di educare alla scoperta di quel mondo interiore, che è la vera ricchezza di ogni essere umano, tanto più che è gratuita, anche se fortemente impegnativa. Abbiamo un tesoro dentro di noi, e nessuno lo dice. Non è facile passare da una soddisfazione psicologica, facendo del bene agli altri a quella gioia interiore o beatitudine che ci prende nel nostro profondo più mistico.
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