da La Repubblica
05 NOVEMBRE 2024
Jamaica Kincaid:
“Troppa gente è attratta dal fascino dei criminali.
Per questo ora ho paura”
di Antonio Monda
“Trump conosce la pancia del Paese. Abbiamo sottovalutato negli anni il suo irrefrenabile sentimento di rivalsa”, afferma la scrittrice
NEW YORK — Jamaica Kincaid è tra gli 82 milioni di americani che hanno preferito sfruttare la possibilità del voto anticipato «per contribuire a dare un segnale di partecipazione e, ammetto, per evitare l’inevitabile fila del 5 novembre». Vive con grande angoscia l’attesa dei risultati elettorali e ci confessa: «Credevo di averle viste tutte, dalla vittoria di Kennedy su Nixon con voti sospetti in Illinois alla decisione della Corte Suprema di assegnare la vittoria a Bush, ma queste elezioni sono epocali per il pericolo che comportano».
Un dato epocale è anche il fatto che Harris sia figlia del melting pot.
«Certamente, ed essendo originaria dei Caraibi, il fatto di essere di colore per lei è un dato assolutamente naturale. Oltre ad avere un curriculum impeccabile, è una persona onesta e dignitosa. C’è una grande differenza rispetto a Hillary Clinton, donna bianca trattata vergognosamente dal marito: come puoi candidarti a guidare il Paese se nemmeno in casa sei rispettata?».
Quali sono i pericoli ai quali ha fatto riferimento?
«Non voglio neanche immaginare cosa potrebbero essere altri quattro anni con Trump: basta sentire cosa dice sui “nemici” all’interno del Paese, l’intervento dei militari, il fatto che non ci sarà bisogno di votare di nuovo, e non mi dilungo sugli insulti e le oscenità. Trump è una persona crudele, con un cervello che sta invecchiando e dà seri segni di squilibrio».
Robert De Niro lo ha definito “un fascista”.
«Sono d’accordo, anche se ultimamente le parole sembrano perdere sempre di più il proprio significato, come ad esempio il termine genocidio. Tuttavia non si può riflettere sul significato di questo voto se prima non prendiamo in considerazione alcuni elementi imprescindibili della cultura di questo Paese: l’America è una nazione che sente in maniera irresistibile il fascino per i criminali, e nell’intimo è profondamente razzista».
Sono affermazioni estremamente forti.
«Nelle quali credo profondamente, e che riaffermo con dolore. La ricchezza americana è imprescindibilmente legata all’aver reso schiavi uomini e donne africane, coloro che hanno fondato questo Paese hanno realizzato qui quello che non potevano fare nel luogo di provenienza: le fondamenta dell’America sono intrecciate con la criminalità. Ovviamente questo si può affermare a proposito di tutti i grandi imperi, e in America ci sono state anche straordinarie eccezioni in direzione opposta. Sono stati fatti enormi passi avanti, ma il razzismo è vivo soprattutto tra le persone convinte di non esserlo».
È un quadro senza speranza.
«Credo che il razzismo in America sia come l’ossigeno nell’aria, e a proposito di progressi, è necessario fare un’altra riflessione: il movimento abolizionista è andato di pari passo con quello delle suffragette, e molti anni dopo la battaglia per i diritti civili si è sposata con quella dell’emancipazione femminile».
La maggioranza dei votanti è composta da donne.
«È un segnale importante: il genere rappresenta la madre di tutte le diseguaglianze, anche se purtroppo ho visto troppe donne che, una volta al potere, hanno preso il peggio di quanto hanno fatto i maschi».
È solo quella che lei definisce “l’irresistibile attrazione per i criminali” il motivo per cui metà degli americani vota ancora per Trump?
«Non si capirebbe altrimenti perché la popolazione non premia un’amministrazione che ha garantito un’economia in forte progresso. Come può immaginare, non sono tra le persone che mette l’economia al primo posto, ma in un Paese come l’America questi dati dovrebbero chiudere sul nascere la partita».
Riconosce qualche talento a Donald Trump?
«Conosce e sa interpretare certamente la pancia del Paese, quella più rozza e ignorante, e sa sedurre i ricchi che vogliono pagare meno tasse e ritengono che lo Stato sia un peso inutile e insopportabile. Quando lavoravo al New Yorker ho avuto modo di conoscerlo: all’epoca nessuno lo prendeva sul serio per la sua volgarità, ignoranza, arroganza e, specie a New York, per aver distrutto palazzi storici per far posto ai suoi grattacieli. Ricordo un evento dove aveva acquistato un tavolo e per tutta la sera nessuno gli andò a parlare: ovviamente fu un errore non solo da un punto di vista dell’etichetta, ma anche della sottovalutazione del personaggio che stava coltivando un irrefrenabile sentimento di rivalsa».
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