Aggiungi un posto a tavola…

poveri
di don Giorgio De Capitani
Quando ho letto la notizia che, anche quest’anno, la Chiesa ambrosiana tramite la Caritas aveva lanciato la proposta di accogliere in casa, nei giorni natalizi, una persona in difficoltà (non siamo molto lontani dall’invitare un barbone di qualche anno fa!), beh, sinceramente ho provato una tale reazione da venirmi meno anche quel minimo di speranza che avevo di riconciliarmi con la mia fede nel Mistero natalizio.
Non mi interessa se qualcuno mi accusa di essere il solito prevenuto. Se lo sono, è perché la Curia milanese, in questi anni, è talmente malridotta da lasciare poca o nessuna speranza perché si ravveda.
Gli sbagli del passato si perdonano, come si perdona anche la buona fede (quando c’è), ma come si può ancora sopportare che si persista nel voler sfruttare il Natale come se fosse un bel pranzo da offrire al poveraccio, prima spidocchiato a dovere, secondo il rituale delle decenza sociale?
– Come al solito, caro don Giorgio, hai polemicamente estremizzato l’intento del nostro invito!
Beh, allora vi chiedo che cosa intendete per “chi è in difficoltà”. Non saprei in quanti tra difficoltà economica per colpa della crisi accetterebbero l’umiliazione di essere invitati a tavola, il giorno di Natale, dai più fortunati.
Questi cosiddetti fortunati che aprono le loro porte a Natale (insisto nel dire: a Natale!), in realtà che cosa potrebbero offrire ai meno fortunati, oltre al cibo e al rituale panettone con spumante? Un po’ di calore umano, di amore e di bontà, un gesto occasionale di fratellanza o di solidarietà?
Ma chi ha detto che i più fortunati o baciati dalla provvidenza siano talmente ricchi da poter offrire anche un po’ di amore sincero, quello autenticamente gratuito? E poi, per quanto tempo durerebbe questo po’ d’amore, o gesto di bontà? Solo un giorno, o magari due o magari addirittura una settimana? E poi…?
Ma non è che noi, fortunati, vogliamo un’altra cosa, per cui più offriamo ai poveri, più li usiamo per riempire quel vuoto che proprio quel benessere che ci ha baciato ha creato in noi?
E sì perché il Mistero natalizio dovrebbe farci sentire poveri dentro, e invece ogni anno sfruttiamo l’occasione di una Festa, oramai spenta nel suo Mistero, per toglierci anche il disagio del nostro vuoto interiore. Non è bastata la confessione rituale natalizia, bisogna aggiungere un capro espiatorio, il povero, su cui scaricare i nostri sensi di colpa. E il povero dovrà subire, per un giorno o due, la nostra povertà spirituale o la nostra presunzione di essere generosi anche d’amore. Sì, quel povero sarà costretto a vivere qualche ora del nostro ipocrita buonismo, tra sorrisi di convenienza e attenzioni affettate.
Il povero tornerà nel suo mondo, ancora povero, ma in realtà più felice di non appartenere al mondo dei più fortunati.
Quando il Papa è andato in Africa e ha visitato qualche zona all’estremo della dignità umana, la nostra ipocrisia occidentale è arrivata a pensare che quel mondo di miserie sociali fosse anche un mondo di disperati. Eppure li abbiamo visti tutti: quei poveri ballavano, cantando la loro gioia. Gioia per vedere un Papa che era venuto per dar loro una parola di conforto? Ma quale conforto? Forse il conforto da parte di noi occidentali, tanto sazi da vivere nel terrore che qualcuno ci porti via qualcosa del nostro falso benessere? Ma che almeno ci privassero di questo falso benessere materiale, lasciandoci nella nostra nudità di ben-essere!
Qualcuno, nei giorni scorsi, dopo gli attentati terroristici di Parigi, ha temuto di dover cambiare gli stili di vita. Almeno li cambiassimo!  Se non capiamo da soli la lezione, allora ben venga anche il male, se questo dovesse costringerci a cambiare rotta.
Sarà paradossale dirlo: ogni crisi economica è una benedizione, perché ci costringe a tagliare quel mondo di superfluo che ogni boom economico porta con sé. Ma noi siamo testardi e idioti: dopo la crisi, torniamo a riprenderci il superfluo che abbiamo perso. E così la società peggiora, tanto più che i poveri si ribellano, dietro la spinta del nostro falso benessere, creandoci altri problemi. Riusciremo, dopo i primi urti, ad assorbire nel nostro mondo anche i poveracci, venuti dall’Africa, togliendo loro quella filosofia dell’essere che, nonostante la loro miseria o proprio per la loro miseria, avevano a lungo conservato.
Vogliamo, allora, invitare a tavola un poveraccio a Natale? Lasciamolo così, povero, senza coprirlo dei nostri orpelli, e impariamo da lui, almeno per un giorno all’anno, una lezione  di vita.
Poi, lasciamolo tornare nel suo mondo, perché, se quel mondo si spegnesse, sarebbe la fine di tutto. 

 

4 Commenti

  1. Giuseppe ha detto:

    Secondo un famoso detto “in guerra e in amore tutto è permesso”. Ebbene, credo di poter affermare che oggi, nella società così intrisa di consumismo che abbiamo creato, questa “regola” possa valere anche e soprattutto per il commercio, visto chele modalità spietate con cui si realizzano le operazioni di markerting tendono a sfruttare ogni pretesto e ogni debolezza umana lucrandoci sopra. E la ricorrenza del Natale sembra cadere a proposito per incrementare il giro di affari, magari sfruttando il candore di chi in buona fede desiderasse semplicemente compiere un atto generoso e condividere una gioia con chi è meno fortunato, oppure ancor di più -e ancor peggio- facendo leva sui nostri sensi di colpa, argomento che in particolare noi cattolici conosciamo molto bene. Sì perché la madre chiesa non ha mai smesso di instillarlo nei nostri cuori, ricordandoci continuamente che siamo dei peccatori, nati nella colpa e che nella colpa siamo cresciuti nonostante i nostri sforzi, tant’è vero che solo presso di noi il sacramento della confessione, che oggi eufemisticamente viene chiamato della riconciliazione, ha la forma che ci è familiare. Mai come nel periodo natalizio si moltiplicano iniziative benefiche e la nostra posta viene inondata di richieste di aiuto per i più bisognosi, come se la loro condizione sia solo occasionale, propria di questo giorno e non si tratti di una ferita che non si rimargina e brucia continuamente. Ma tant’è: “passata la festa e gabbato lo santo” possiamo tornare alle nostre abitudini e dimenticarci delle necessità altrui, tanto ci sarà sempre qualcuno che se ne occuperà…

  2. zorro ha detto:

    Si ma qualche ritocchino ci va per esempio la sanita’ puo’ essere povero ma e’ necessario avere la sanita e l’educazione alla scienza tecnica che gli permetterebbe di sostentarsi con meno fatica.Il superfluo non serve sicuramente ma e’ anche vero che certi impianti di produzione una volta costruiti hanno bisogno di essere impiegati H24 per avere dei costi spalmeti sulle 24 H e dare lavoro alle persone.Purtoppo parrebbe che inevitabilmente x avere continuita’ di impieghi lavorativi la produzione deve essere continua.E’ difficile moderare adeguamente e conciliare produzione consumi occupazione sviluppo sarebbe la quadratura del cerchio.Sarebbe opportuno avere una distribuzione piu’ equa dei prodotti questo si ma purtroppo entrano in gioco i governi le religioni e le risorse naturali.Buoni intenti e propositi ma la realta umana e’ un vero supplizio quanti sacrifici ha subito l’umanita per arrivare a un mondo incompleto oggi e quanti ne faremo ancora magari senza riuscire a compiere il proposito dignita’ x tutti

  3. GIANNI ha detto:

    Il Natale rappresenta ormai da tempo qualcosa di diverso per ognuno di noi, secondo i propri convincimenti e la propria fede.
    Originariamente festa cristiana, è divenuta sempre più festa laica, anche per i credenti.
    Con la secolarizzazione della società, l’aspetto mondano e laico ha predominato, e quello religioso è stato messo un po’ in disparte.
    Quanto all’ospitare i più bisognosi, alcuni osservano, in effetti, che non si fa tanto a favore dell’altro, ma per sentirsi a posto con la propria coscienza, anche se quell’altro, forse, starà poi ancora peggio, dopo aver assaporato, per poco tempo, una condizione meno disagiata.
    In fondo, chi non prova il più, spesso non ne sente il bisogno, ed invece, è chi lo ha provato che, come una droga, non riesce a farne a meno.
    La società attuale, fatta più di superfluo che di essenziale, questo ci mostra.
    In effetti, credo siano deciamente più meritevoli quelle inziative continuative, che almeno cercano di sfamare quotidianamente i bisognosi, più che non l’occasione singola per usare il bisognoso, più per sentirsi a posto con la propria coscienza, che altro.
    Il bisognoso, del resto, ha più bisogno di qualcosa di continuativo, che di sporadico.
    Tutto sommato, c’è forse più sincerità in coloro che dicono che per loro il Natale è una festa come tante altre, di chi si perde in pure formalità esteriori, ritenendo che queste rappresentino l’intimo spirito natalizio, senza rendersi conto che sono lontani mille miglia dall’autentico senso
    della festa cristiana.

  4. don ha detto:

    Don Giorgio ti racconto un episodio: un Vescovo della mia regione invitò (con molta eco mediatica) una famiglia di rom a pranzo nel palazzo vescovile a Natale; la bambina innocentemente gli chiese: “ma in questa tua casa ci sono tante stanze, molto belle e grandi… Perché non possiamo fermarci qui a dormire, invece di ritornare in quel campo rom così disastrato?”. Ovviamente il Vescovo non seppe che rispondere… tra accoglienza “mediatica” e un percorso di vera accoglienza c’è una bella distanza!

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