La domanda non è: ma questo è un prete?
Certo che lo è: ordinato sacerdote nel 2018 dal vescovo Mario Delpini.
La domanda non è: questo prete si dà da fare per gli altri?
Certo che è impegnato, anzi super impegnato per gli altri.
E allora perché lo contesto?
A parte la mia apertura a ogni tipo di apostolato pastorale, che sa mettere in gioco qualità, doti, esperienze dei singoli preti al servizio della gente di oggi, che perciò vive in contesti diversi dai tempi in cui ero giovane prete, che non avevo a disposizione i mezzi tecnologici di oggi, usando però quella intelligenza che sa trasformare quel poco che si ha in modo pastoralmente efficace, ricorrendo alla creatività e alla fantasia, oltre a una mai calcolato impiego di tempo e di energie, talora al limite delle possibilità umane.
Non dico che i giovani preti di oggi non abbiano entusiasmo e fede, ma la cosa allucinante e paradossale è che sembra che abbiano dimenticato il Vaticano II e le sue aperture. Forse i preti di una volta, nati e operanti prima del Concilio, già sentivano aria nuova, e si battevano perché la Chiesa finalmente potesse tornare alla Sorgente più pura del Cristianesimo.
La mia impressione di prete ottantacinquenne è che questi giovani preti abbiano la testa fasciata, idee vecchie, super dogmatiche, amanti di un tradizionalismo chiuso alle sorprese evangeliche, però… però… sembrano “moderni”, in avanguardia, ma perché si aggrappano ad ogni più avanzata tecnologia, facendo valere o prevalere idee vecchie, chiusure mentali spaventose.
Certo che don Alberto Ravagnani è moderno, super moderno: realizza video visti da migliaia di fan (comunque sempre più in calo), usa qualsiasi canale social, va perfino in palestra, in qualche discoteca, usa un linguaggio giovanile anche scurrile, e poi tratta temi anche interessanti ma talmente retrivi da avere il consenso generale di una chiesa ancora fortemente ingessata.
Quando fin dall’inizio del suo successo (merito del covid!, senza il covid don Alberto Ravagnani ora sarebbe un perfetto sconosciuto!) avevo fatto notare qualche mio dubbio al Vicario generale di Milano, così mi ha risposto monsignor Franco Agnesi: “Tu sei invidioso! E non preoccuparti dei possibili squilibri di carattere psicologico dei nuovi preti: sono accompagnati da bravi compenti saggi psicologi”. Al che ho risposto: “Sono invidioso sì, ma dei santi, dei profeti, delle persone intelligenti… E poi, ai tempi del liceo e della teologia noi seminaristi eravamo seguiti dai cosiddetti Padri spirituali, che non costavano nulla, ed erano grandi figure carismatiche…”.
Una prova che anche don Alberto Ravagnani è ortodosso nel pensiero è il fatto che i superiori lo stimino e lo lasciano fare. Non importa se eccede nelle sue stranezze. Fino a quando non esprime un pensiero dissidente avrà sempre l’appoggio della gerarchia ecclesiastica, la quale addirittura lo promuoverà incaricandolo di responsabilità sempre più promettenti, con porte aperte anche sui giornali cosiddetti cattolici, per di più autorevoli, vedi AVVENIRE.
Ciò che mi irrita di questo “stravagante” prete non è tanto la sua stravaganza, ma la chiusura della sua testa, vuota di autentico cristianesimo, forse anche per opportunismo, visto che anche oggi fare carriera è una tentazione d’orgoglio e solo attraverso un leccaculismo si trovano porte aperte e proposte allettanti.
E poi, non dimentichiamolo, la gerarchia ecclesiastica nel campo del pragmatismo pastorale usa ancora la tattica del lasciar fare, dello stare a guardare, in attesa di ciò che succederà, al contrario dell’atteggiamento verso i dissidenti nel pensiero, i quali subito vanno fatti tacere o emarginati. È nello stesso agire senza intelletto che l’entusiasmo pastorale di un giovane prete si brucia col tempo, ma il pensiero è eterno, e neppure bruciando i corpi il pensiero subisce un arresto. Anzi!
Ma vorrei dire di più. Che il prete tizio caio o sempronio, la paghi poi di persona, interessa relativamente: è stata una sua scelta personale, e dovrà assumerne tutte le conseguenze anche personali senza dover addossare la colpa sugli altri, forse potrà accusare i superiori che gli hanno permesso anche favorito di fare ciò che ha fatto, ma che dire dei giovani in particolare, “educati” dal prete tal dei tali che ha dato il massimo in tecnologia ma trasmettendo un messaggio aleatorio, accattivante solo emotivamente, senza quel mordente interiore che solo la Parola di Dio, nella sua radicalità o essenziale, sa dare? Proprio non si vuole capire che ai giovani soprattutto va offerto un cibo sostanzioso, e non qualche briciola eterna, che poi si perde nel tempo! Non basta tener lontano i giovani dai pericoli o da ambienti di violenza gratuita, quando poi, dopo le prime estrose novità del prete tutto pelle, se ne andranno di nuovo, delusi ancora delusi per sempre perduti. Sono d’accordo che qualcosa ci voglia per attirare inizialmente i giovani, ma che questo qualcosa non rimanga sempre qualcosa.
Questi giovani preti perché loro stessi per primi sono attrattati da una pastorale dell’immediato? Ma come sono stati educati in seminario? Ai miei tempi, in seminario si entrava in prima media, e, con tutti i difetti che poteva comportare una simile scelta diciamo precoce, una cosa almeno si imparava: il senso del dovere, un apprendimento scolastico di prima scelta, un cammino lungo ma progressivo di fede che richiedeva preghiera, meditazione, esercizi spirituali, e soprattutto una preparazione teologica che oggi non mi pare sia così seria e approfondita. Chi entra oggi in seminario magari neppure conosce magari il latino e il greco. Altro che psicologi, avevamo come padri spirituali preti carismatici… Ci inculcavano quel senso di fedeltà diocesana, frutto di una spiritualità diocesana, da qui una radicale fedeltà al proprio posto di lavoro, in quella determinata comunità parrocchiale, non scelta secondo i gusti di ciascuno, ma accettata sì per dovere, ma che era animato da una fede profonda anche gioiosa al servizio della gente del posto. No, oggi, il prete giovane è un girovago, impegnato “altrove”, con soddisfazioni legate proprio al fatto che le prestazioni pastorali sono aleatorie, diversificate, sempre alla ricerca di quel quid che possa almeno dare qualche tornaconto, speriamo del tutto spirituale.
Certo, occorre che ci sia il buon esempio dall’alto. Se il vescovo è anche lui un girovago, sempre in giro, e soprattutto fuori della diocesi, magari preferendo o con un occhio particolare ai preti diocesani “fidei donum” fuggiti per andare a pascolare “lontano”, tradendo in parte la vocazione diocesana.
E ci sarebbe anche da dire dei preti diocesani che poi diventano eremiti, vivendo in ambienti isolati, ristrutturati e con ogni ben di dio, pur non avendo nulla in contrario a chi sceglie di fare il monaco, soprattutto se monasteri fossero dislocati in qualche punto strategico della diocesi, come fari di contemplazione e punti di riferimento mistico.
Basterebbe andare a chiedere un parere sincero ad un parroco che ha accolto un prete novello negli ultimi anni. Dopo le prime parole di circostanza inizierebbe ad uscire il rammarico. “Non ci sono mai”, “Son sempre impegnati”, “Han sempre qualche impegno”. Non si sa cosa fanno; vanno in palestra? In discoteca? A praticare sport coi giovani? Quello che è chiaro è che non hanno mai tempo per celebrare una Messa in più oppure passare tempo in confessionale. Non è un caso che nella maggior parte delle parrocchie, nelle feste di Pasqua e Natale, arrivano preti stranieri, spesso studenti a Roma, per aiutare nelle confessioni e nelle celebrazioni (e questi dimostrano una dedizione al servizio che ci colpisce…certo vedere un prete sempre in confessionale o che aiuta ad ogni celebrazione è qualcosa di inconcepibile per noi).
Allora chiediamocelo: che cosa fa il prete giovane oggi? Qual’è il suo ruolo? Poi non stupiamoci se diminuiscono le celebrazioni (anche se alle volte è corretto) oppure ci si confessa meno…sono i preti per primi a dedicare meno tempo a queste cose. Però mi sembra che venga a mancare il “senso” del servizio alla chiesa da parte dei preti giovani. Sbagliato l’eccesso dei preti di un tempo che erano eroici nel servizio ma neanche l’eccesso dei preti di oggi che sembrano poco inclini. Molto più attenti al loro equilibrio, al loro benessere che all’impegno per la loro parrocchia, al bene della propria comunità. Non vorrei essere il parroco di don Alberto Ravagnani; questo è sempre in giro, settimane in ferie coi giovani. E chi porta avanti la comunità? O è superfluo oppure c’è qualcuno che deve sgobbare per sopperire alle sue scampagnate.
Di questo atteggiamento contesto il bisogno di evadere, di girare, di guardare altrove, di aver sempre bisogno di qualcosa di straordinario come se non si possa costruire, progredire e fare bene lì dove si è nati. Come se la vita di tutti i giorni debba essere considerata una prigione per non dire uno schifo. In breve questi preti giovani vanno ridimensionati. A loro va insegnato che se non si trova gioia nella piccole cose, nella quotidianità si finisce schiavi di una continua ricerca di qualcosa di nuovo, di diverso, di grande che ci porta a rimanere eternamente infelici. Trovate gioia nel celebrare, nel confessare, nell’ascoltare, nello stare in silenzio e pregare. Non serve andare in giro per il mondo…basta fermarsi.
Condivido…in particolare sul fatto che i monasteri dovrebbero essere piu’ accessibili..sono andata a visitarne alcuni per motivi personali e si arriva distrutti…
Per quanto riguarda poi l’argomentazione dei preti che fanno gli eremiti sono rimasta davvero ferita da un tale Don Alessandro Deho’ che se leggi cio’ che lo riguarda sembra disponibile a colloquio e scambio nella pratica quando ho cercato di iniziare un dialogo a distanza mi ha scaricato dicendomi che avevo messo in campo questioni alle quali non poteva rispondere …in poche parole si e’ dileguato…non e’ una novita’ ma solo uno dei tanti che l’hanno preceduto’…e una volta di piu’ l’amarezza … Pero’ il Deho’ trova il tempo per scrivere i suoi libri pieni di bei discorsi…..