Vorrei riprendere a parlare alla gente che pensa

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Vorrei riprendere a parlare alla gente che pensa

Scusate se insisto, ma ho il brutto vizio di rompere le… scatole. O meglio: ho il difetto o l’onestà di dire ciò che penso, soprattutto quando la maggior parte della gente comune  ha venduto il cervello all’ammasso, o quando si fida ciecamente dei cosiddetti intellettualoidi in balìa del vento opportunistico, la cui arte sta unicamente nel credersi superiori, e ritenere gli altri degli esseri inferiori. E la gente si accomoda nell’anticamera dell’anticamera dell’anticamera… dei salotti perbenisti.
Forse arriverà un momento in cui invidieremo il tempo attuale, in nome di quel detto di Orazio: “laudator temporis acti”, che caratterizza i tempi tristi o le età longeve, ma allora sarà proprio il caso di confessare amaramente: “Non c’è proprio alcun limite alla idiozia o alla follia umana!”.
Sì, anch’io talora mi volto indietro, dimenticando un altro detto, ma stavolta del Vangelo: «Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio» (Lc 9,62). Ma, se lo faccio, lo faccio solo per appellarmi a quel “genio” che sembra averci lasciato in panne, senza sapere se ci sarà ancora una ripresa, un colpo d’ali, un riavvio più deciso.
Amo troppo il mio presente, per vivere di nostalgia di un passato ormai passato. E vivo “questo” presente con lo sguardo al domani. Qui sta il mio cruccio. Come sarà il domani? Tanto più che il domani che sogno e aspetto non sarà immediato: lo vedranno dopo la mia morte.
Ma è qui che entra in gioco la mia fede: la fede nell’Umanità che, se è composta di concreti esseri umani, è anche e soprattutto una sorgente di quasi infinite energie. Purtroppo, secondo noi, i tempi del vero progresso che s’incarna della realtà sono troppo lunghi, dimenticando che sono compatibili solo alla forza vitale del seme che cresce, sottoterra. 
Sì, la stupidità di un certo mondo politico italiano mi irrita, e mi manda in crisi, ma è pensando all’Umanità vitale che vado oltre, sperando in un domani migliore.
Certo, dubbi si sono, e tanti: l’idiozia o la follia è tale da scoraggiare perfino i santi e i giusti, ma non tutto dipende da noi, neppure dalla nostra santità o giustizia, se il bene sembra ritardare il suo processo. Ma, nello stesso tempo, anche se al momento, apparentemente, il male sembra trionfare o è tale da bloccare ogni sforzo di bene, c’è indiscutibilmente quel quid misterioso capace di far procedere nel suo inarrestabile cammino la storia, che mi verrebbe la tentazione di chiamare: Storia gelosa dell’Eterno Ignoto. Ognuno di noi vorrebbe darne un nome, ma, quando ne azzecca uno, ci sentiamo subito fuori rotta.
I credenti si appellano a un loro dio, e gli atei vorrebbero farne a meno, ma non si accorgono che anche loro si appellano a qualcosa che non è diverso da ciò che noi credenti chiamiamo dio.
Tutti, volere o no, siamo credenti. E tutti, volere o no, siamo miscredenti o idolatri. Tutti ci inventiamo un dio, ma poi ne facciamo ciò che vogliamo.
Per me Dio è nell’Umanità che non cessa di stupire. E Dio è nell’Uomo che, nonostante il male o le parvenze del male, non cessa di credere nell’Umanità migliore.
Stavolta, come vedete, non ho parlato alla pancia con ragionamenti di contro-pancia. Mi sento più Uomo elevandomi nei pensieri e nelle idee. Quando parlo a gente che ragiona con la pancia, mi deprimo. Ma… serve parlare alla testa, quando milioni di italiani non la usano, preferendo ascoltare la voce o i borbotti della pancia?
Ci ho ancora provato. Sono convinto di aver parlato a un piccolo resto. La massa scuoterà la testa, dicendo: “Hai detto cose che non servono. Noi vogliamo goderci un po’ questa vita! Non ci interessa pensare”.
Anche se non sempre ce la farò, vorrei guardare oltre il pecorume e la valle delle ossa aride, per sentirmi ancora vivo, nonostante i miei anni. Non mi rattristo perché sono tanti, ma perché sono troppo pochi quelli che mi rimangono, pensando a ciò che vorrei ancora dire contro la stupidità di una massa informe, anche con la presunzione di risvegliare almeno qualche coscienza perché si riprenda dal coma e torni a Pensare in grande.  
7 febbraio 2015     
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