Per il prossimo referendum del 17 aprile, legittimamente non andrò a votare

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di don Giorgio De Capitani
Chiariamo un po’ le cose. Mi riferisco ai referendum abrogativi, così chiamati perché riguardano “l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge”. Qualche notizia. Finora i referendum abrogativi – dal 1974 con il primo referendum, quello sul divorzio (la legge di attuazione referendaria era stata introdotta nel 1970) – sono stati 66, perciò quello del prossimo 17 aprile sarà il 67°. Di questi 66, una trentina non sono stati validi, ovvero non hanno raggiunto il quorum stabilito. Ed è proprio sul quorum che vorrei invitarvi a riflettere.
Perché il referendum sia valido, è necessario che si rechino alle urne metà degli aventi diritto al voto più uno. In altre parole, il legislatore prevede anche il “non voto”, e ne tiene conto, stabilendo che, se non si raggiungesse il quorum, il referendum non sarà valido.  Perciò, secondo il legislatore, il cittadino ha diritto di andare a votare sì o di andare a votare no, oppure di astenersi. (Non si contempla il caso in cui uno si rechi alle urne e metta scheda bianca o annulli la scheda: questo, secondo me, è un modo vigliacco di nascondere le proprie scelte, ad esempio quella di non andare a votare).
Quindi, se non vado a votare un referendum, e lo faccio coscienziosamente, nessuno mi dovrà accusare di essere assenteista (o indifferentista). Come cittadino, posso esercitare il mio diritto anche al non voto. Se qualcuno si permettesse di accusarmi di assenteismo (o indifferentismo), non lo querelerò, ma lo prenderò a calci nel sedere!
E a proposito dei partiti accusati di invitare la gente a non votare, anche qui chiarezza e coerenza: o i partiti politici si devono astenere dall’invitare i cittadini a votare sì o no, o a non votare, oppure lo possono fare in tutti e tre i casi, anche invitando ad astenersi. Una mia opinione personale: forse i partiti farebbero meglio a non dare indicazioni di voto o di non voto o di astenersene.
Per essere ancora più completo. Gli spot televisivi che vorrebbero spiegare ai cittadini in modo asettico e obiettivo i quesiti referendari, non devono limitarsi a dire: chi vuole abrogare la legge dica SI, mentre chi non la vuole abrogare dica NO, deve anche aggiungere: c’è una terza possibilità, ovvero del NON VOTO. Perché non lo si dice? È scorretto. 
Sono rimasto veramente esterrefatto quando ho letto la notizia che il Movimento 5Stelle, tramite il senatore Maurizio Buccarella, ha presentato presso il Comando dei Carabinieri del Senato un esposto alla Procura della Repubblica di Roma contro il vice ministro all’industria Teresa Bellanova (Pd) per le sue dichiarazioni in una intervista del 27 marzo scorso su L’Unità. Ecco le sue parole: «Se vogliamo far prevalere la ragione, la cosa più saggia da fare il 17 aprile è non andare a votare. Questa è la mia posizione e del mio partito, il Pd. E questo io farò». Ed ecco le motivazioni della denuncia del Movimento 5Stelle: «Le leggi dicono che “è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e multa da 600.000 a 4 milioni di lire, il pubblico ufficiale e comunque chiunque investito di un pubblico potere o funzione civile che, abusando delle proprie attribuzioni e nell’esercizio di esse, si adopera, fra l’altro, ad indurre gli elettori all’ astensione”». Ed ecco il colmo della stupidità. Il grillino Maurizio Buccarella commenta: «Leggi che si applicano anche in caso di referendum dal momento che il mancato raggiungimento del quorum inficia il risultato stesso della consultazione che è massima espressione di democrazia diretta». Dobbiamo ridere o piangere? Forse sarebbe il caso di controquerelare il Movimento 5 Stelle di cosciente disinformazione e di inganno. Ma la finale è un capolavoro di grettezza politica: «Il 17 aprile il Movimento 5 Stelle sta dalla parte della democrazia e della legge: tutti a votare e votiamo SI». Perché chi voterà NO sarà contro la democrazia e la legge?
Ognuno ha il diritto-dovere di informare correttamente i cittadini e di invitarli a votare sì o a votare no o a astenersi dal voto. Questa è democrazia!  
Ed ecco la domanda: perché uno decide coscienziosamente di non andare a votare? Le ragioni possono essere diverse: può capitare che i pro e i contro  si equivalgano; ma, il più delle volte, lo dico per esperienza personale, i quesiti referendari sono così complessi o riguardano temi che esulano dalla mia capacità critica, per cui, coscienziosamente, non mi senta di decidere per il sì o per il no, anche perché sono stanco di far decidere agli altri ciò che devo fare, e per altri intendo i partiti, i promotori del referendum, ecc.
Che ne sa la gente comune (non per questo la devo chiamare “popolo bue”) di bioetica o di scienza nucleare, ecc, tanto più che dire sì o dire no potrebbe anche costare poco, giustificando in tal modo l’uso scorretto di referendum impopolari? Il referendum di per sé non dovrebbe essere popolare? Non è forse il popolo, per una forma allargata di democrazia, che viene interpellato? Ma come ciò è possibile se i referendum sono “impopolari”, ovvero per soli specialisti?
Secondo me, è forse per questo che il legislatore ha imposto un quorum: proprio per vedere fino a che punto il popolo abbia capito o non abbia capito il quesito referendario. Se il popolo fosse veramente responsabile dovrebbe rifiutare di andare alle urne, qualora il quesito fosse incomprensibile o fuori della sua portata, oppure è solo strumentale. E non mi si dica che, proprio per illuminare il quesito, bisogna che la gente vada a scuola. A un corso accelerato, di poche settimane? E poi, a scuola di chi? Dei partiti o di chi vorrebbe a tutti i costi chiedere il mio consenso? 
Legittimamente NON ANDRÒ A VOTARE: è un mio diritto, come un diritto è votare sì o votare no. Non ci andrò, semplicemente perché il referendum del 17 aprile  è inutile, ingannevole e unicamente strumentale, ovvero politico. Non aggiungo altro perché non servirebbe. Che il Pd o altri partiti la pensino come me oppure all’opposto di me, non mi interessa. Prima che i partiti avessero deciso in un senso o nell’altro, avevo già chiara la mia scelta. Quando vado a votare, voto secondo la mia coscienza, e non mi faccio intimidire da nessuna minaccia, e non mi preoccupo dei miei simpatizzanti, pochi o tanti che siano.

4 Commenti

  1. Carlo ha detto:

    Ciclicamente ci si interroga sui referendum, sulla loro efficacia e sulla normativa che li regola.
    Si tratta di una materia complessa.
    Ammetto di non avere le idee chiare: tutt’altro.
    Tuttavia non sono d’accordo con alcune delle affermazioni che ho letto nel suo testo.

    Premesso che lo strumento referendario è di grande valore nel nostro ordinamento giuridico, vedo le
    seguenti criticità (qui sono d’accordo con lei Don Giorgio):
    -Credo si sia fatto un uso a volte sbagliato dei referendum rendendoli strumentali a problemi politici.
    -Determinati temi sono molto difficili e fuori dalla portata delle competenze dei cittadini comuni e quindi non andrebbero proposti.
    Tuttavia resta vero che nella storia del nostro paese ci sono stati molti referendum importanti, utili al paese, alla politica, alla gente.

    Detto questo mi sembra che il tema da lei trattato sia in particolare quello dell’astenersi nelle consultazioni referendarie.
    Io trovo legittimo astenersi in caso di indecisione, di inadeguatezza personale rispetto al tema di indifferenza o protesta: è una posizione più che legittima e anche responsabile in questi casi.

    Non sono d’accordo invece che chi è interessato al quesito referendario punti al fallimento del quorum per facilitare il raggiungimento del proprio fine: trovo questa ipotesi una scorciatoia misera e che svilisce anche l’istituzione del referendum.
    Chi spinge gli elettori verso l’astensione lo fa con l’intento di appropriarsi di quel 25% o 30% fisiologico nella popolazione che comunque non va a votare mai, né alle politiche né alle amministrative.

    Non sono d’accordo con lei quando dice che l’astensione è “un diritto” al pari del voto SI o NO, al limite è una necessità o una possibilità subordinata ineludibile al voto.
    Sono convinto che chi ha scritto la legge sui referendum non avesse immaginato che i partiti avrebbero orientato gli elettori verso l’astensione né che gli elettori si sarebbero prestati all’astensione a scopo strumentale.
    Credo che fissare il quorum fosse la giusta esigenza di determinare una soglia di interesse della popolazione su una determinata materia.

    Non è un caso che i referendum falliti prima del 1995 fossero stati pochissimi, e invece quelli falliti dopo il 1995 siano stati moltissimi.
    Infatti il primo (che io sappia) ad incentivare apertamente l’astensione di un referendum fu Bettino Craxi (referendum Segni) alla vigilia di mani pulite che invitò gli italiani ad andare al mare anziché andare a votare. Anche Berlusconi in svariate occasioni ebbe a schierarsi per l’astensione per agevolare il risultato politico. Prendo atto con amarezza che anche il PD oggi apprezzi questa scorciatoia.

    Al termine di questa breve risposta, che vorrebbe essere generale sul tema, mi sembra giusto aggiungere che personalmente probabilmente andrò a votare SI al prossimo referendum (non che interessi a qualcuno ma solo per trasparenza in relazione ai temi affrontati). MI spiace solo essere d’accordo con i 5 stelle in quest’occasione.

  2. GIANNI ha detto:

    Penso che le norme incriminatrici siano palesemente incostituzionali e che ognuno possa anche astenersi dal votare.
    Ma vorrei soffermarmi sopratutto su un aspetto.
    In diversi commenti ho sempre evidenziato come apparentemente certe decisioni siano in mano al politico o al cittadino, ma a me pare che non sia così, ed i referendum lo evidenziano.
    Nel senso che formulare tecnicamente i referendum richiede, comunque, una conoscenza tecnica di norme e leggi, che spesso è sottratta non solo al comune cittadino, ma anche al politico, e qui si tratta solo di abolire norme.
    A maggior ragione, figuriamoci poi se le norme si tratta di scriverle, come nella normale attività legislativa.
    In pratica, quindi, succede che alla fin fine siano sempre i tecnici aconcretizzare l’attività normativa o abrogatrice, ed i politici che fanno?
    Si limitano a fidarsi dei tecnici, di quello che questi dicono quando dichiarano ai politici che il lavoro svolto va nella direzione richiesta.
    Ad esempio di formulare norme per uno scopo, o abolirne altre per diverso motivo.
    E se poi, invece, sopratutto in materie complesse, le cose fossero almeno in parte diverse da quello che costoro dicono?
    Non è un tema di poco conto, come hanno evidenziato anche filosofi della politica.
    Nel senso che forse, più che in una democrazia, viviamo in una tecnocrazia, anche se non sempre ce ne rendiamo conto.
    Credo anche, quindi, che quando diversi parlamentari appongono la loro firma su un disegno di legge, sopratutto se uno di quelli con decine o centinaia di articoli, spesso non siano consapevoli, se non a grandi linee, dei diversi aspetti, a meno che si tratti di materia relativa a loro specifica sfera di studio o di interesse.
    Chi conosce gli infiniti articoli che accompagna sempre una legge finanziaria?
    FOrse neppure i singoli tecnici del ministero delle finanze, anche perchè per norme di questo tipo occorrono strutture complesse per lo studio e la redazione, probabilmente commissioni e sottocommissioni.
    Poi, certo, appunto ci sono le relazioni messe a punto da tecnici che spiegherebbero, ma se quei tecnici almeno in parte non dicessero la verità?
    Di qui quel furto di democrazia, che è il tipico fenomeno delle cosiddette democrazie avanzate, e che appunto diversi filosofi della politica e del diritto hanno evidenziato.
    Proprio perchè non è un’istanza politica in se stessa a definire un provvedimento, ma il tecnico che lo concretizza, certo, formalmente soggetto al controllo del politico o del cittadino, ma poi fino a che punto, sopratutto se le cose si rendono difficilmente comprensibili e tecnicamente inavvicinabili, se non da parte di superesperti?

  3. Giuseppe ha detto:

    Ho l’impressione che qualcuno strumentalizzi l’istituzione referendaria per confondere le idee alle persone comuni, che ovviamente non possono essere informate su tutto e conoscere, anche solo per grandi linee, l’intero ordinamento legislativo, a meno che non si affrontino argomenti che investono il proprio campo di interesse, competenze e/o attività lavorativa. Per questo trovo più che giustificata la prudenza che ha indotto a ritenerne valido il risultato solo nel caso di raggiungimento del quorum previsto. Per di più i promotori della consultazione e i sostenitori del SI o del NO spesso, nell’esporre le proprie ragioni, tendono a dar vita ad una vera e propria campagna elettorale che, come d’abitudine, serve esclusivamente per ottenere il successo, anche a costo di ignorare o porre in secondo piano il perseguimento del bene comune.

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