Meloni, sul caso De Angelis un silenzio rivelatore

da https://www.repubblica.it
07 AGOSTO 2023

Meloni,

sul caso De Angelis un silenzio rivelatore

di Carmelo Lopapa
La premier e le dichiarazioni del portavoce della Regione Lazio sulla strage alla stazione di Bologna
Una palude torbida, con fondo nero, sta risucchiando in un pericolosissimo vortice Giorgia Meloni, a meno di un anno dal suo insediamento a Palazzo Chigi. È come se si stessero sbriciolando d’un colpo tutte le ipocrite prudenze, i distinguo pelosi e i muri anagrafici che la leader di Fratelli d’Italia aveva frapposto tra sé e chi le ha chiesto di fare i conti con le sue radici politiche, di abiurare un pezzo del mondo e della storia di provenienza.
Adesso, in pieno agosto, mentre sta per risuonare con l’ultimo Consiglio dei ministri la campanella del rompete le righe per le vacanze, la premier si ritrova sbalzata inaspettatamente di fronte a un bivio. È l’ennesimo e non più aggirabile bivio della storia, che non ammette più ambiguità e rinvii.
La settimana che si è appena conclusa con le sparate eversive di Marcello De Angelis si era aperta con la commemorazione della strage di Bologna del 2 agosto, che passerà alla storia per la targa “terrorismo” con la quale Meloni ha tentato di sostituire virtualmente quella che – forte di sentenze passate in giudicato – campeggia all’ingresso della stazione del capoluogo emiliano.
Terrorismo: ma neofascista. E invece no, la leader di una destra che vorrebbe accreditarsi come nuova ed europea non ce l’ha fatta. Nemmeno “aiutata” dal presidente della Repubblica Mattarella che in quelle stesse ore ricordava – proprio a beneficio degli smemorati – che gli 85 morti e i duecento feriti di Bologna sono ascrivibili solo al terrorismo sì, ma di “accertata matrice neofascista”. Perfino la nostalgica seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa, lo aveva riconosciuto quel giorno. E così pure il Guardasigilli Carlo Nordio.
Meloni no, Meloni non sa farlo. Peggio. Meloni, evidentemente, non può farlo. Perché? A chi deve rispondere? Quale mondo e quali legami non può tradire? Di quali consensi non può privarsi?
Questo è il punto che la inchioda, al di là dei singoli episodi che ormai si moltiplicano con gli anniversari che si susseguono, dal 25 Aprile al 2 Agosto, dai partigiani alle stragi.
Fino alla storia meschina con la quale la settimana poi si è chiusa: il responsabile della comunicazione della Regione Lazio, Marcello De Angelis, ex parlamentare di An, che nel negare la matrice fascista della strage di Bologna si spinge fino all’oltraggio costituzionale, dando indirettamente dell’”apostolo della menzogna” al capo dello Stato, “reo” di aver ribadito appunto la verità dei processi.
Benché a ridosso di Ferragosto non siamo di fronte a colpi di calore, non si può ridurre le sparate a “elucubrazioni estive”. Ma soprattutto, la presidente del Consiglio non può pensare di cavarsela a modo suo. Lasciando trapelare da Palazzo Chigi il suo disappunto. La vergognosa nota con la quale il governatore Rocca (FdI) ieri ha preso altro tempo per decidere, anche lui omettendo volutamente la definizione “neofascista” della strage, conferma i peggiori sospetti sulle omissioni della destra oggi alla guida delle istituzioni.
Meloni conosce bene De Angelis, sono cresciuti politicamente insieme nella Roma delle borgate nere, poi entrambi “istituzionalizzati” e “parlamentarizzati” da Gianfranco Fini. De Angelis rappresenta, anche per legami familiari e per militanza cameratesca, un punto di riferimento politico, culturale e ideologico di un pezzo della destra che nel tempo ha sfondato il muro dell’eversione. Se Fratelli d’Italia, dalla Regione Lazio a Palazzo Chigi, non sa cacciare lontano dal suo recinto personaggi come il “camerata” De Angelis, è un serio problema non solo per quel partito, ma per le istituzioni.
La stanca obiezione anagrafica di Giorgia Meloni (“Io non sono fascista, sono nata trent’anni dopo”) non regge più. È giunto il tempo di decidere: se rinnegare quel mondo o continuare a coprirlo e, dunque, a proteggerlo.
Se la premier continuerà a galleggiare nella palude dell’ambiguità, questo comprometterà il suo ruolo di presidente del Consiglio, il suo rapporto con la più alta carica dello Stato, le sue legittime aspettative europee in vista del 2024.
Perché Bologna non è un incidente, ma 43 anni dopo è un crocevia della storia nazionale. E la presa di distanza dai complici ideologici non è un’opzione. O si sta di qua o di là. O si sta dalla parte dei De Angelis o dalla parte del Quirinale, delle istituzioni, della democrazia.
Il resto, presidente del Consiglio, anche per chi è nato nel 1977, è ambiguità inaccettabile, a Roma come a Bruxelles e a Washington. Il resto si chiama negazionismo. E, le piaccia o no, anche nel 2023, fa rima con neofascismo.
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da www.repubblica.it
06 Agosto 2023

Marcello De Angelis,

l’album di famiglia di un nero.

Il fratello ex fidanzato di Meloni

e i rapporti con i terroristi

di Stefano Cappellini
L’ex senatore di An, cognato di Ciavardini, difese pure i neofascisti di Piazza della Loggia
In un vecchio documentario Rai di Giampiero Mughini sulla destra neofascista italiana, Nero è bello (vedi sotto), compare intervistato a un certo punto un giovane romano un po’ capellone. È Marcello De Angelis, che a favore di telecamera spiegava a Mughini il significato del simbolo “guerriero” di Terza Posizione verniciato su un muro di Roma. Era il 1980, lo stesso anno della strage alla stazione di Bologna. In Terza posizione militava pure Luigi Ciavardini, poi passato ai Nar di Mambro e Fioravanti, condannato per concorso nella strage e cognato di De Angelis, ne ha sposato la sorella. Perché questa è una storia di famiglia in tutti i sensi, famiglia naturale e famiglia politica, talvolta indistinguibili, matrimoni e scissioni, confluenze e fidanzamenti, elezioni e tragedie. Un fratello di Marcello, Nazareno detto Nanni, anche lui in Tp, morì in carcere in circostanze poco chiare, ufficialmente per suicidio, un altro, Renato, autore tv, è stato fidanzato di Giorgia Meloni.
Ricercato nei primi Ottanta, latitante a Londra, costituitosi a fine decennio per scontare una condanna a 5 anni e 6 mesi («Ma sfido a trovare un atto di violenza nel mio curriculum», sostiene lui), De Angelis ha giocato sulle sue disgrazie giudiziarie fin dal nome della band di cui era voce, i 270 bis – nel codice penale è l’articolo sull’associazione sovversiva – un gruppo squisitamente e orgogliosamente fascio-rock. De Angelis è la prova vivente che a destra c’erano meno barriere tra gruppi extraparlamentari e partito ufficiale. A differenza del Partito comunista italiano, odiato dall’ultrasinistra al punto che molti suoi leaderini passarono direttamente a Craxi e a Berlusconi, il Movimento sociale restava la casa madre, sapeva riaccogliere e perdonare, e De Angelis, che la politica aveva cominciato a farla in calzoni cortissimi nel Fronte della gioventù, l’organizzazione dei baby missini, è stato prodigo come pochi altri figlioli.
Sta in Alleanza Nazionale, la prima filiazione del Movimento sociale, già dalla fondazione nel 1995, è parlamentare per due legislature dal 2006 al 2013, nel partito prima è vicino alla destra sociale di Francesco Storace e Gianni Alemanno e dirige la rivista di corrente, Area, poi nel Pdl è consigliere del leader Gianfranco Fini, e dal 2011 diventa direttore del Secolo d’Italia, storico quotidiano ufficiale dei missini. Nel primo numero da lui firmato pubblica in prima pagina la foto dei “martiri per l’italianità di Trieste” e commenta: «La nostalgia è un gran bel sentimento». Intervistato dal Corsera per il debutto spiega che il suo obiettivo è «dare al Secolo l’identità perduta dei tempi dell’Msi, quella di una comunità politica e umana che ha fatto un percorso e non l’ha mai abbandonato». Dopo anni poco affollati, è il governatore del Lazio Francesco Rocca a portarlo con sé in Regione, avevano lavorato insieme anche in Croce rossa.
Appassionato di rugby come tutta la famiglia, da senatore De Angelis propose l’introduzione del terzo tempo in Parlamento, sul modello dei rugbisti che si bevono una birra dopo essersi presi a sportellate in campo. Quello dell’abbraccio con il nemico è un po’ vezzo d’onore, De Angelis ha realizzato un progetto editoriale con l’ex terrorista rosso di Prima linea Maurice Bignami, e un po’ vuota dichiarazione di intenti: a parole anche Terza posizione nasceva, come suggerisce il nome, per uscire fuori dallo schema dello scontro tra opposti estremismi, salvo che i suoi militanti erano e in qualche caso sono tuttora dei gran fascistoni. Ciò non toglie che De Angelis ha saputo prendere posizioni eterodosse, come quando pochi anni fa suggerì di togliere la fiamma dal simbolo di Fratelli d’Italia o come sul caso Cucchi: anche per la drammatica vicenda del fratello Nanni, fu uno dei pochi parlamentari di destra a chiedere con convinzione che fosse fatta luce sul caso. L’importante è che non si parli di stragi. Lì De Angelis, che di solito vede sempre nero, non vede mai nero. Già dopo la sentenza che nel 2010 mandò assolti gli imputati neofascisti per la strage di piazza della Loggia a Brescia del 1974 l’allora deputato del Pdl commentò a caldo con soddisfazione: «Sentenza condivisibile, i pm hanno illuso i familiari delle vittime cercando come sempre i colpevoli nell’area politica meno tutelata e perfetta come capro espiatorio». I neofascisti vittime secondarie delle stragi, insomma. Un altro fulgido caso di storia al rovescio.

1 Commento

  1. Giuseppe ha detto:

    Fin dal suo discorso programmatico e di presentazione del proprio governo Meloni ha cercato di prendere le distanze dal suo passato di attivista del fascio e della sua militanza tra i neo fascisti. Ma il passato a volte si trasforma in nemesi e diventa difficile, se non addirittura impossibile, nascondere le proprie responsabilità.

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